charlie

 

di Mario Giordano

 

Caro Papa, mi scusi se mi permetto di scriverle una lettera aperta, ma ho una cosa importante da dirle. Importante e urgente. Riguarda Charlie, quel bimbo di 10 mesi, che tra poco uccideranno in un ospedale di Londra.

Volevo suggerirle: perché, prima che lo ammazzino, non lo va a prendere? La Santa Sede possiede un ospedale pediatrico, il Bambin Gesù, che legittimamente si vanta di essere «il più grande policlinico e centro di ricerca pediatrico d’Europa», fra l’altro «collegato ai maggiori centri internazionali del settore». Ci lavorano 2.600 persone, ogni anno si effettuano i milione e 550.000 prestazioni sanitarie e oltre 100 interventi chirurgici, alcuni all’avanguardia. Possibile che non ci sia spazio per il piccolo Charlie?

L’altro giorno lei ha fatto un tweet. Non si arrabbi, Santo Padre, ma ci è sembrato un po’ pochino. Un po’ freddino. Lei è sempre così generoso con la cornunicazione: stringe le mani, chiacchiera, si fa abbracciare, si lascia andare, tante volte telefona. Telefona un sacco, telefona a tutti. Persino alle trasmissioni tv, in diretta. A Eugenio Scalfari. A Emma Bonino, che ha regalato l’aborto al nostro Paese e che lei ha definito una grande italiana. Ecco: possibile che abbia trovato il tempo per chiamare la Bonino e non lo abbia trovato per chiamare i genitori di Charlie? Come mai? Per la radicale malata parole affettuose e per il bimbo malato solo un gelido tweet? E per altro senza nemmeno chiamarlo per nome?

Il nome è la cosa più bella che abbiamo. Ci viene data con il battesimo, insieme alla luce e alla veste bianca. «Gesù ti chiama per nome», c’insegnavano al catechismo. E allora perché il nome di Charlie è sparito da quel tweet? Qui non ci sono segreti da proteggere, diplomazie da salvaguardare: c’è solo un bimbo che disperatamente sta lottando per rimanere attaccato alla vita. E ci sono i suoi genitori, che gli hanno dato quel nome, e adesso non vogliono vederlo morire. Non così. Non per decisione dei magistrati. Non senza aver inseguito l’ultima speranza. È un nome bellissimo Charlie: quasi bello come Francesco. Non so per quale motivo l’altro giorno lei non l’abbia pronunciato, Santo Padre. Ma so che potrebbe farlo ora. Ci pensi: »Charlie, vieni, ti portiamo al Bambin Gesù». Sarebbe un altro bel tweet, no? In quel suo primo messaggio lei diceva che «difendere la vita umana è un impegno d’amore che Dio affida ad ogni uomo». Un po’ asettico, ma indiscutibile. Che cosa abbiamo fatto, però, per difendere la vita di Charlie? Fino a ieri non si è mosso nessuno. Gli unici in Italia che si sono indignati e che hanno sollevato il caso con un po’ di evidenza, caro Papa, siamo stati noi della Verità. Ci assolva dal peccato di superbia, ma è così. Adesso anche altri si stracciano le vesti, ma è un po’ tardi.

A questo punto, infatti, l’unico che potrebbe fare ancora qualcosa per difendere la vita di Charlie è proprio lei. Mi scusi se mi permetto ma «l’impegno d’amore che Dio ci affida» (per usare le sue parole) è semplicissimo. Basta mandare un aereo del Vaticano, prendere quel bimbo con i suoi genitori e trasferirlo nel suo ospedale, dove se non sbaglio non ci si limita a seguire i principi della medicina, ma si seguono anche quelli della morale cattolica. A cominciare da quel rispetto della vita che si deve essere un po’ perso lassù al Nord, fra formule scientifiche e dibattiti giuridici.

Il Bambin Gesù è un ospedale modello. Un’eccellenza nella ricerca, un’eccellenza nelle prestazioni cliniche, un’eccellenza nella qualità delle persone che ci lavorano. Nelle brochure di presentazione viene definita «opera carissima al Cuore del Santo Padre» e che lavora per «attuare in pienezza il comandamento di Cristo: curare i malati, servire gli infermi». Perfetto: quale occasione migliore per dimostrarlo? C’è un malato da curare, c’è un infermo da servire: si muovano i potenti mezzi del Vaticano, non ne faremo mica una questione economica, no? Dall’ospedale pediatrico, come è noto, uscivano i soldi che finanziavano l’attico di lusso con annessa terrazza del cardinal Bertone. Possibile che non possano uscire quelli che servono per ricoverare Charlie? Bisogna fare in fretta, bisogna farlo subito.

È per questo che mi sono permesso di scriverle, Santo Padre, confidando nella sua benevolenza nei confronti di chi infrange i protocolli ufficiali. Qui c’è in gioco la vita di un bimbo, che già di per sé è un valore sconfinato. Ma c’è in gioco anche di più: c’è in gioco l’idea stessa che noi abbiamo della nostra civiltà, il futuro che vogliamo dare a questa nostra convivenza. Si può sperare di costruire un futuro di umanità partendo da un gesto così disumano, com’è quello di uccidere un bimbo malato di 10 mesi? E se passa il principio che giudici e medici possono liberamente decidere quali sono le vite che vale la pena vivere e quale no, che ne sarà di noi? Quante altre vite ci troveremo a spegnere perché un tribunale ha detto che non sono vite umane? Quanti altri malati ci troveremo a sopprimere perché i medici hanno detto che è troppo costoso curarli?

Non sappiamo, Santo Padre, se i luminari del Bambin Gesù, collegati con i «maggiori centri internazionali del settore», possono davvero trovare una cura per alleviare le sofferenze o allungare la vita di quel bambino. Quasi sicuramente no. Ma sappiamo che se una possibilità ci fosse, ebbene loro la troverebbero. E sappiamo anche che, per quei «principi morali della fede cattolica» su cui si fonda l’ospedale, ci proverebbero davvero. Fino all’ultimo. Senza lasciare nulla di intentato. Senza badare a quello che costa. E, allo stesso modo, siamo sicuri che se non dovessero farcela, lascerebbero andare quel piccolo secondo la volontà di Dio e non secondo quello della Dea Scienza. Magari con il Papa vicino, che gli dà una carezza. E finalmente lo chiama per nome, sussurrandogli: ti vogliamo bene, Charlie.

 

 

Fonte: La Verità di oggi lunedì 3 luglio 2017