di Giuseppe Brienza
Come si è prodotto il “paradosso Veil”
L’aula di Strasburgo ricorda l’ex ministro francese che ha legalizzato l’aborto con un film e un minuto di silenzio. Oggi i funerali di Stato a Parigi e, in tale circostanza, attesa è la decisione del presidente Macron sull’eventualità di seppellire la Veil nel “Panthéon della Patria”. Intanto il vicepresidente dell’Europarlamento Tajani propone per lei il “premio per la gender equality” e la definisce uno «spirito grande». La politica centrista, piuttosto, ha fatto da sponda ai fautori della cultura della morte, facendo accettare la legalizzazione dell’omicidio dell’innocente nel grembo materno con il pretesto del «carattere eccezionale e drammatico della decisione»
Abbiamo già ricordato ieri con l’interessante articolo di Andrea Vannicelli la figura dell’ex ministro francese Simone Veil, morta il 30 giugno a Parigi, sulla soglia dei novant’anni. Superstite di Auschwitz e appartenente a una famiglia ebraica da secoli trasferitasi in Francia, nel secondo dopoguerra l’ex politica “centrista” è stata fra le principali promotrici dell’integrazione europeista, tanto da guadagnarsi nel 1979 l’incarico di primo presidente del Parlamento europeo che, da par suo, ha osservato lunedì un minuto di silenzio in piedi in suo onore e, ieri, è stato teatro di una cerimonia di commemorazione durante la quale è stato proiettato un film con immagini di repertorio della prima presidentessa dell’Assemblea di Strasburgo.
«Proporrò al Parlamento che le venga dedicato il nuovo Parlamentarium qui a Strasburgo e il premio che diamo per la gender equality», ha dichiarato in suo favore il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, in apertura dei lavori. Il deputato di Forza Italia, che oggi parteciperà a Parigi anche ai funerali nazionali di Stato della Veil, l’ha definita «una grande figura della nostra epoca che ha segnato la storia dell’Europa e ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo del nostro Parlamento. Appartiene a quella generazione di spiriti grandi di cui faceva parte anche Helmut Kohl».
Personalmente non ci aggiungiamo di certo all’elenco di coloro che, peggio se cattolici, si avventurano a definire l’ex cancelliere della Germania unita uno “spirito grande”. Questo innanzitutto perché, a tacer d’altro, a 83 anni suonati si è voluto fare testimonial del “matrimonio” omosessuale, facendo peraltro da battistrada alla pessima uscita in favore delle unioni gay di Angela Merkel. Non è un caso che per il leader storico del partito cristianodemocratico Cdu, morto anch’egli di recente (16 giugno), siano stati organizzati i primi “funerali di Stato dell’Ue”, dando luogo anzitutto a una contraddizione in termini, perché l’Ue non è uno Stato!
In secondo luogo, poi, onorando colui che, in nome della fiducia (e dei voti!) di generazioni e generazioni di famiglie e di elettori di fede cristiana (tanto cattolici quanto protestanti), si è reso ridicolmente disponibile a fare da testimone all’unione civile omosessuale del suo avvocato, Stephan Holthoff-Pfoertner che, nel luglio 2013, a Tegerensee, in Baviera, si è legato ufficialmente al collega Klaus Saelzer. «L’ho fatto molto volentieri», ha dichiarato in proposito Kohl, rispondendo ad un’agenzia di stampa tedesca e scandalizzando quelli che, ancora, ingenuamente continuavano a credere in lui e nella Cdu (cfr. G. Brienza, La Germania fa l’occhiolino al matrimonio gay. Il “testimonial” è il padre costituente dell’Europa Kohl, in “Tempi.it”, 22 luglio 2013).
Kohl, esattamente come la Veil e, in Italia e altrove, come tanti leader democristiani e “centristi”, non è stato altro che uno dei fautori di quel “centro che ci portò a sinistra”, significando con tale efficace formula non solo l’esito politico-parlamentare delle maggioranze costantemente sponsorizzate ma, anche e soprattutto, l’orizzonte legislativo e culturale ispirato a quello che chiamiamo “i falsi miti del Progresso” (cfr. Roberto de Mattei, Il Centro che ci portò a sinistra, Edizioni Fiducia, Roma 1994). Nel 1974 Simone Veil fu chiamata dal primo ministro di centrodestra Jacques Chirac a ricoprire l’incarico di ministro della sanità e, non a caso, proprio a lei bussò l’allora presidente della République Valéry Giscard d’Estaing, per chiedergli la “consulenza” sulla legge ipocritamente denominata di “pianificazione familiare”. Con il solito pretesto di contrastare una super-gonfiata pratica dell’aborto clandestino, quella infausta legge che, ancora oggi, porta il nome dell’ex ministro centrista, «introdusse quella che in linguaggio politico (e buonista) viene chiamata “interruzione volontaria della gravidanza”. I francesi, che sono specialisti nel creare sigle delicate, la chiamano IVG» (Andrea Vannicelli, Simone #Veil è morta, la sua legge no, in “La Croce quotidiano”, 4 luglio 2017, p. 4).
Ed è inutile stracciarsi le vesti illudendo che la Francia abbia «tradito Simone Veil», in quanto a 40 anni dall’approvazione della legge sull’aborto l’Assemblea nazionale votò una risoluzione per «riaffermare il diritto fondamentale all’aborto» (cfr. Nemmeno la madre della legge Simone Veil pensava che l’aborto fosse un «diritto fondamentale», in “Tempi.it”, 28 novembre 2014). Come hanno protestato piuttosto i giovani Francesi migliori, quella storia non è “accidentale” ma, piuttosto e, è un film già visto. Piuttosto che “figli” della Veil, quindi, «da parte nostra ci consideriamo suoi “sopravvissuti”, se consideriamo che la funesta legge che porta il suo nome ha permesso di uccidere, dal 1974 a oggi, quasi 9 milioni di bambini» (Lionel, Florian Philippot veut que Simone Veil soit inhumée au Panthéon, in “Contre-information”, 2 juillet 2017 – www.contre-info.com).
Per il presidente Emmanuel Macron la Veil rappresenta «un esempio e una fonte d’ispirazione per tutti i francesi» e, per questo, ha ricevuto di buon grado una petizione firmata da 160mila cittadini francesi che gli chiedono di inumare le spoglie mortali dell’accademica di Francia nel «Panthéon della Patria». A chiedergli di seppellire l’artefice della legge francese sull’aborto accanto a Alexandre Dumas (2002), Victor Hugo (1885), Jean Jaurès (1924), André Malraux (1996), Jean Moulin (1964), Jean-Jacques Rousseau (1794) Voltaire (1791) ed Émile Zola (1908), sono esponenti di tutto l’arco costituzionale francese, compresa l’ala filo-gender e omosessualista del Front National, incarnata dal numero 2 del partito di Marine Le Pen, Florian Philippot (gay dichiarato). Paradossalmente (ma non troppo) sono proprio le nipoti della leader politica centrista ad essere contrarie alla “panthéonizzazione” della nonna, e in nome dello stesso principio contro il quale, oggettivamente, la Veil si è battuta, cioè la santità e indissolubilità del matrimonio. «Penso che i miei nonni non sarebbero così contenti di essere separati dopo 65 anni di vita in comune», hanno dichiarato Deborah e Valentine, le nipoti della politica scomparsa (cit. in Claire Bommelaer-Claire Conruyt, Simone Veil au Panthéon, mais à quelles conditions?, in “Le Figaro”, 3 juillet 2017). La Veil, infatti, è stata unita in matrimonio quasi un secolo con Antoine Veil, che è morto nell’aprile del 2013 e, con lei, aveva progettato di essere seppellito nel piccolo mausoleo costruito nel cimitero di Montparnasse, a Parigi. Per questo si vocifera che, piuttosto che l’inumazione, l’omaggio della Francia laica e repubblicana alla Veil sarà posto solo con una placca commemorativa in una delle cripte del Panthéon, com’è stato fatto in analoghe circostanze nel 2011 nel caso del “poeta della negritudine” Aimé Césaire (19132008). Insomma, la “République” che si professa continuamente “laïque” e rifugge da ogni religione (tranne il relativismo massonico), sembra ancora avere davvero bisogno di “santi” e di “santuari”…
Fonte: La Croce, oggi mercoledì 5 luglio