Caro papa Francesco,
non posso dimenticare che ogni volta che ti ho scritto per sottoporti un mio problema e chiedere il tuo parere o sollecitare il tuo assenso tu hai sempre soddisfatto, con le tue parole, con le tue azioni o con i tuoi silenzi, le mie richieste.
Oggi, grato di tutto ciò, vorrei in qualche modo ricambiarti il favore, donandoti qualche consiglio per chiudere la bocca a quei pochi stolti tradizionalisti che insistono nel vedere differenze tra il tuo Vangelo e quello di Gesù Cristo.
Si tratta, come brillantemente intravisto da padre Sosa, di rivisitare le Sacre Scritture alla luce del mondo odierno e della tua misericordia. Lasciamo perdere l’Antico Testamento, specchio di una divinità vendicativa, e che non interessa più nessuno, ma concentriamoci sul Nuovo.
Per questioni filologiche e di archeologia testuale possiamo lasciare inalterato il testo greco, facendo però notare come questo rispecchi solo l’opinione dei suoi estensori, non avendo questi portato alcuna documentazione utile per un’attribuzione a Cristo, specie delle parti più sconcertanti per l’uomo moderno. Anzi, già l’uso stesso della lingua greca dimostra, al di là di ogni possibile dubbio, che non si tratta assolutamente delle parole di Cristo. E visto che, come insegnano i Padri, ogni traduzione è tradimento, è doveroso apportare delle piccole modifiche nelle versioni in lingua moderna, che ci riconducano al vero pensiero di Cristo, ripulito dalle incrostazioni dovute ai suoi primi discepoli.
Lungi da me l’idea di importi una ben precisa stesura, mi limito a qualche, spero utile, suggerimento, esaminando alcuni dei brani più controversi.
Inizierei senz’altro da Mc 10,11-12, che va riletto alla luce di Amoris laetitia. Il testo, chiaramente corrotto, recita: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”. Ora è evidente che il copista, non sappiamo se in buona fede, ha capovolto il senso facendo cadere la negazione originariamente presente, che va quindi necessariamente reintrodotta: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, non commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, non commette adulterio”. Mt 19,9, che dipende dal testo di Marco, deve essere analogamente emendato.
Veniamo ora alla frase di Mt 5,37 tanto frequentemente e stoltamente adoperata per condannare il relativismo: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. Qui l’errore è meno facile da individuare e il senso rimane un po’ incerto, ma ritengo che la colpa sia nuovamente attribuibile alla caduta della negazione. Propongo quindi di restituire il testo così emendato: “Non sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più non viene dal maligno”, che è un chiaro invito a non prendere posizioni assolute, constatando come l’apertura al dialogo e all’ambiguità non possa assolutamente venire attribuita al diavolo.
Una vera e propria glossa è stata inserita al termine del racconto dell’adultera perdonata di Gv 8,1-11, con l’evidentissima intenzione di annullare l’insegnamento misericordioso del Signore. Occorre quindi senz’altro eliminare l’abusiva aggiunta “va’ e d’ora in poi non peccare più”, limitandoci alla formula di congedo “va’”, o sopprimendo anche questa: non abbiamo elementi certi per optare per l’una o l’altra soluzione.
Veniamo alle lettere di san Paolo. Mi limiterò all’analisi di 1 Cor 6,9-10: “né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio”. Qui è evidentissimo come un originario polisindeto, figura retorica utilizzata per accentuare l’universalità della misericordia divina, sia stato incompreso o coscientemente rigettato, trasformandolo in una serie di ossessive quanto insulse negazioni. Se all’epoca fosse esistito un registratore, potremmo ascoltare le vere parole pronunciate dall’Apostolo: “e immorali, e idolatri, e adulteri, e effeminati, e sodomiti, e ladri, e avari, e ubriaconi, e maldicenti, e rapaci erediteranno il regno di Dio”.
Non continuo, perché il mio scopo non è quello di fornirti, caro Francesco, un elenco esaustivo, ma solo di evidenziare il problema e di suggerire un primo nucleo di correzioni da apportare. I tuoi teologi di riferimento, e primo fra tutti il dottor Kasper, sapranno certamente migliorare e completare questo mio modesto abbozzo.
Sperando di averti fatto cosa utile, ti saluto con immutato affetto.
Tuo fedele
Cristian Adulto
beh, allora usciamo dalla Bibbia, testo di cui non possiamo fidarci, e rimaniamo fermi al detto anch’ esso antico, quello che proclama che il “risus abundat in ore stultorum , che tradotto potrebbe essere:”Gli stupidi ridono senza freno”. Come illustrato magnificamente da questo figuro qui in foto.
Che se poi vogliamo tornar a quel libro della bibbia, potremmo questa volta fidarci di quel suo detto che proclama il riso una follia:”Del riso ho detto: è una follia” (e quindi, chi vi si abbndona, è un folle….). Potremmo questa volta fidarci, dell’autenticità del testo, vista la sua convergenza con altro testo esterno ad esso….
“Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza” (San Giacomo).
Io prendo queste parole, greco o non greco, tradotto bene o tradotto male, per come sono scritte, e sono scritte secondo verità: infatti costui qui sopra in foto, invece che piangere sulla sua miseria, ride come un pagliaccio, da FOLLE appunto! Come dice Qohelet.