di Cristiano Lugli
La domanda più corrente nelle ore che hanno seguito il fatto di cronaca nera consumatosi a Lloret de Mar è particolarmente una, ripetuta da tutti: “cosa avremmo fatto noi?”
Partiamo da qui per costruire una breve analisi di quanto accaduto in quella ordinaria serata di follia, dove Niccolò Ciatti, all’età di soli 22 anni, ha perso la vita a seguito di un pestaggio compiuto fino all’ultima goccia di sangue, sangue su cui l’intrepida folla ha continuato a ballare non appena il corpo è stato trascinato fuori, come testimoniato da un connazionale del giovane che si trovava al St. Trop’s di Lloret. Il tutto filmato dall’occhio clinico delle decine di cellulari presenti in cerchio, come una grande arena di spettatori con il pollice rivolto verso il basso.
Ebbene proprio partendo da questo è decisamente opportuno fare un passo indietro, andando alla radice delle questione che in pochi, o forse quasi nessuno nel mondo della cronaca laicista – e finanche cattolica – ha finora affrontato. E cioè: la domanda principale da porsi non è “e io cosa avrei fatto”, ma “io, ci sarei stato lì in mezzo?”. Per quanto mi riguarda, la risposta è tassativamente negativa. A questo punto qualcuno mi potrebbe invitare a non giudicare le scelte altrui, giacché ognuno si diverte nel modo che ritiene più opportuno e, perché no, anche frequentando le discoteche di Lloret de Mar. L’obiezione però, nella sua fattispecie, risulta incompleta privandoci di quella capacità razionale in grado di farci giudicare un evento nella sua totalità, nonché nella complessità che è propria a questo caso: dove regna lo sballo, la perdizione più esasperata, ivi regna la follia che non conosce limite né tanto meno è disposta a placarsi una volta partita. In pochi, infatti, dimenticano di dire cosa è Lloret de Mar dove, tanto per intenderci, mentre scriviamo è appena stata stuprata una ragazza di 19 anni all’interno di un ostello, a solo poche ore dal violento omicidio del ragazzo toscano: the show most go on, e niente, nemmeno una tregua dettata dallo shock collettivo di un giovane morto sotto i riflettori, può sedare la passionalità giovanile immersa nel girone infernale che tutto permette e niente vieta. Già, perché questo in particolar modo è Lloret de Mar. Una Babilonia senza regole, lasciata a se stessa e dove vi è l’ordine tassativo di lasciar fare: sesso, droga, alcool, devasto…tutto questo deve essere perseguito senza che nessuno crei intoppo, ed ecco perché la sicurezza lì scarseggia. Volutamente scarseggia perché i giovani devono essere liberi. Vi ricordate Pinocchio, Lucignolo e il paese dei balocchi? Ecco, la storia è la stessa.
Questa tragedia è solo una delle tante che si consumano ogni sera, purtroppo. Certe finiscono così – non è poi molto lontano negli anni l’omicidio con stupro di massa annesso della giovane Federica Squarise, ammazzata nel 2008 sempre a Lloret – altre un po’ meglio, altre vengono probabilmente occultate, ma tutto procede senza colpo ferire. Proprio per questo è importante porsi da un altro punto di vista, e cioè quello dell’inammissibilità di un certo stile di vita e di certe frequentazioni. Non serve un cattolico per arrivare a capire che questi posti, queste mete di scellerato turismo giovanile andrebbero abbattute, rase al suolo definitivamente. Non servono i cattolici per capire che sono dei tritacarne e dei tritanima, delle roulette russe dalle quali non si è certi di uscire senza una pallottola piantata in testa, o un calcio in faccia che si rivelerà fatale e mortale. Sciocco è parlare di caso sporadico, di violenza relegata a tre persone folli, cecene e paramilitari che siano.
Quello di Niccollò è stato uno dei tanti casi, che presto verrà dimenticato per non turbare troppo il turismo che fa business e che porta anime al Diavolo. Tante anime e tanti sacrifici umani, questo è il prezzo che si paga a Lloret de Mar e in tutte le destinazioni di turismo giovanile analoghe.
La lezione, per quanto drastica che sia, si può presumere non servirà a nulla e a nessuno, in particolare non servirà nemmeno ai tanti genitori che non hanno pagato il devastante scotto pagato da quelli del ventiduenne assassinato in discoteca. Eppure è proprio da questo fattore educativo che si dovrebbe ripartire, per quanto può risultare utopico se associato ad una civiltà che non ha più niente da dire, specie nel campo dell’educazione. Non possiamo meravigliarci di queste cose se esse accadono all’interno di una bolgia infernale dove nessuno è chiamato a rispondere delle proprie azioni. E perché dovrebbe farlo? Senso comune? Quale?! Educazione? Quale?! Rispetto? Quale?! Nessuno è tenuto a niente e le regole, a Lloret de Mar, sono accantonate o comunque fatte per essere infrante.
Basta vedere alcune delle interviste ai ragazzi italiani là presenti per accorgersi della situazione folle. Tutti dichiarano che la cocaina, l’hascisc, gli allucinogeni sono all’ordine del giorno e non ci sono controlli. Dove si pone il problema, dunque? Voi andreste mai da soli in una giungla piena di belve inferocite e in preda a raptus animaleschi? Io francamente no.
Sarebbe ingiusto fare una colpa di tutto alla vittima che ne ha pagate le più amare conseguenze, e ciò che più personalmente mi rincresce è sapere di una morte così brutta fatta da un mio coetaneo. E che ne è della sua anima? In quali condizioni è morto, in mezzo ad un bagordo tumultuante di strepiti e di impudicizia? Questo è il fatto più straziante. Una morte butta e orrenda certo, ma non solo per il corpo. Anzi…
La colpa è generale, e obiettivamente non si sa nemmeno più a chi darla: si può solo guardare sgomenti una società che è ormai al collasso, che nel corso delle generazioni ha visto via via peggiorare sempre di più, come una valanga di detriti, tutto il suolo sociale e morale.
I genitori non sono più capaci di educare i figli, non hanno più le facoltà di insegnare cosa è bene e cosa è male perché non credono più in Dio, perché non hanno la fede e, ragion per cui, non hanno le potenzialità razionali per conoscere loro stessi questo distinguo fra giusto e sbagliato, fra lecito ed illecito. Permettono, non proibiscono, accarezzano in modo assupinato e non bastonano più là dove vi è la necessità di farlo. Sono impotenti davanti ai figli e permettono che essi diventino bestiame qualunque, la cui vacanza di svago non può mancare anche a costo di rischiare la pelle. Tanto – dicono – perché dovrà capitare proprio a mio figlio? Che qualcuno ce la mandi buona!
Ora, affrontate queste considerazioni che dovevano assumere il carattere primario, possiamo porci la fatidica domanda tormentone: “e noi (nel caso in cui per assurdo ci fossimo trovati lì) cosa avremmo fatto?”. Difficile dirlo, su questo siamo tutti d’accordo. Difficile saper cosa fare se ci si trova davanti alla furia omicida di tre pazzi drogati che vogliono andare fino in fondo. Ancor più difficile è se questi pazzi drogati non sono come gli italiani che, come diceva bene Guareschi, fanno la mossa di buttarsi addosso a qualcuno ma puntualmente intervengono gli amici ad impedirgli di “compromettersi”. Questi picchiavano sul serio, con cattiveria e con ogni mezzo disponibile: se avessero avuto una pistola avrebbero concluso la faccenda in modo ancor più rapido.
Questa prima considerazione rispetto al “cosa avremmo fatto” lascia però spazio alla seconda considerazione, di gran lunga più importante.
In quella notte di ordinaria follia, il consumo di un omicidio tribale ha evidenziato anche la generazione perversa sì, ma pure molto smidollata che abbiamo creato: una cloaca di fantasmi tutti intenti ad immortale l’attimo, a fotografare e a filmare la morte in diretta per accaparrarsi like e commenti. È la morte non di un solo uomo, ma dell’uomo in generale.
In quegli istanti riprodotti da un telefonino e che balzano ai nostri occhi, vediamo veramente la crisi del maschio, la sua perdita totale di identità votata quantomeno – nei casi peggiori ed estremi – ad un istinto di sopravvivenza e di altruismo. Certo che in cinque contro quelle tre macchine da morte si sarebbe potuto temere, ma come possibile lasciar finire una persona così?
Ma nemmeno fosse questo il caso, visto che ad occhio possiamo tranquillante permetterci di dire che in quel rodeo della catalona ci stavano almeno 100 ragazzi, di cui 50 maschi. Questi 50 sono stati solo fantasmi spettatori, fatto salvo uno che ha preso un pugno in faccia perché venutosi a trovare da solo. Qui nessuno si sarebbe aspettato di veder saltar fiori Maciste a prenderli tutti e tre per la giacchetta facendoli volare fuori dall’altra parte dello squallido locale, ma almeno si sarebbe dovuta vedere quella parte, se vogliamo anche irrazionale e selvatica, che è il moto istintivo dell’essere maschio a difesa del debole, che in quel particolare momento veniva interpretato da Niccolò: solo contro tre.
Come in tre si sono fatti branco per uccidere, nel medesimo modo i 50 inermi e vigliacchi spettatori potevano farsi branco, azionare quell’energia quasi automatica che scatta in situazioni analoghe pur’anche se si trattasse di sconosciuti: lì, il maschio, dovrebbe sapere cosa fare in funzione della propria biologia volta a condizionamento della morale maschile.
Invece che farsi branco a scopo positivo, per salvare attraverso una forza quasi primordiale una persona, si è deciso di farsi pubblico dimettendosi dalle proprie responsabilità. Piuttosto che rischiare qualcosa, ci si dimette e si guarda la morte di qualcuno in diretta senza aver fatto nulla per evitarla. Checché inutili in una società che ha fatto del maschio una mezza donna incapace anche di rispondere ai propri richiami istintivi, se non a quelli di una sessualità quasi repressa e ormai anch’essa vissuta per noia e già predisposta a convergere in vizio contro natura.
Le risse esistevano anche settant’anni fa, ma difficilmente si sarebbe vista una tale indifferenza. Piuttosto gli amici di qualcun’altro si sarebbero fatti ammazzare. Erano migliori? Nient’affatto, ma un passo c’è stato: dalla nota gioventù bruciata si è passati alla gioventù putrefatta.
Questo, e purtroppo molto altro ci ha insegnato una notte di ordinaria follia a Lloret de Mar.
Che il Signore abbia Misericordia dell’anima di Niccollò, questa è la cosa che ora conta più di ogni altra.