di Giuliano Zoroddu
Qualche anno fa per la festa dell’Assunzione mi capitò di ascoltare una omelia che, per esser clementi, dirò bizzarra. Il sacerdote commentava il noto passo dell’Apocalisse “Signum magnum appáruit in coelo: Múlier amicta sole, et luna sub pédibus eius, et in cápite eius coróna stellárum duódecim” (XII, 1), che, anche nel nuovo rito, fa da antifona d’introito alla Messa dell’Assunta. Questi, lungi da qualsiasi interpretazione sia ecclesiologica sia mariologica della “Mulier”, affermava con una certa compiacenza che, al di là delle predette interpretazioni patristiche, ciò che l’Apostolo Giovanni aveva visto era nientemeno che l’Umanità che, alla fine dei tempi, tutta entrerà nella gloria del Cielo.
Ora noi sappiamo che alla fine dei tempi vi sarà il Giudizio nel quale Cristo Signore, attorniato dal senato apostolico, separerà i buoni dai cattivi, accogliendo i primi nell’amplesso del Paradiso e scacciando i secondi fra i tormenti dell’Inferno. Non tutti dunque son i salvati, ma molti: “Multi sunt vocati, pauci vero electi” (Matth. XXII, 14). Sostenere il contrario e postulare anche la reintegrazione di Satana e dei suoi Angeli fu l’errore di Origene Adamanzio, il grande e dotto presbitero alessandrino vissuto tra il 185 e il 254, il quale sosteneva “che la bontà di Dio, attraverso la mediazione di Cristo, porterà tutte le creature ad una stessa fine” (De principiis, I, IV, 1-3). E questa sentenza, che fu condannata formalmente nel Concilio Costantinopolitano II del 553: “Se qualcuno dice o pensa che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo o che esso avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini empi, sia anatema” (Can. IX, DS 411), riappare oggigiorno nella sua forma deteriore e becera che è la “misericordina” e il pensiero connessovi, cioè in quel guardare il mondo “un po’ come Dio stesso guardò dopo la creazione la stupenda e sconfinata opera sua (prima del peccato originale però!) … con immensa ammirazione, con grande rispetto, con materna simpatia, con generoso amore”, non chiudendo gli occhi sulle miserie e sui peccati umani, ma guardandoli “con accresciuto amore, come il medico guarda l’ammalato, come il Samaritano il disgraziato lasciato ferito e semivivo sul sentiero di Gerico”, con “volto di Madre amante e perdonante” . Tutte cose “riscoperte” dalla Chiesa nel Concilio e grazie al Concilio: i virgolettati infatti son tratti dal discorso che Paolo VI, tutto ottimismo e simpatia immensa per l’umanesimo laico, rivolse al patriziato e alla nobiltà romana il 13 gennaio 1966. Evidentemente Papa Francesco non s’è inventato nulla!
Ma contro questi perniciosi errori, la cui confutazione possiamo leggere per esempio nel libro XI del De civitate Dei contra paganos del sommo Agostino; contro questo neoorigenismo modernista, ci viene in soccorso la verità consolante dell’Assunzione della Vergine Santissima. Maria che entra in Paradiso con la sua anima e col suo proprio corpo carneo rivestito d’incorruttibilità ed immortalità, ci predica la verità di fede che se è vero che Gesù Cristo è morto per riscattare dalla potestà del demonio tutto il genere umano morto in Adamo, la salvezza si applica non a tutti, ma a molti, cioè a coloro che “sunt Christi, qui in adventu eius credidérunt” (1Cor XV, 23) come ci fa leggere la Santa Chiesa nel Mattutino di oggi. L’Assunta ci rammenta che il Figlio di Dio non si è unito “con l’Incarnazione in un certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et spes, 22), che Cristo non è “in qualche modo unito con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – anche quando l’uomo non è di ciò consapevole” (Redemptor hominis, 14. Vedi anche Dives in misericordia), che non ha assunto in sé tutto il creato (Dominum et vivificantem, Laudato sì): ma che il Verbo suo Figlio, al quale ella fu “arcanamente unita … fin da tutta l’eternità ‘con uno stesso decreto’ (Pio IX, Ineffabilis Deus) di predestinazione” (Pio XII, Munificentissimus Deus), è unito solamente a coloro che volontariamente compiono la sua volontà, vivono su questa terra “ad superna semper inténti” (Orazione colletta).
Per questo quando alla fine del mondo i morti risorgeranno “cum suis propriis corporibus … quae nunc gestant” (Conc. Lat. IV, Cap. I, DS 801), la Giustizia misericordiosa farà sì che solo le pecorelle di destra, l’umanità santa e salvata, seguiranno la sorte dell’Assunta, mentre i capri di sinistra, la massa dei dannati, andranno in Inferno, per esser dannato nel corpo e nell’anima. A noi la scelta in questa vita: imitare Maria che ci porta a Cristo o il Diavolo che ci perde, soprattutto ingannandoci con false speranze di misericordia (Cfr. Sant’Alfonso Maria de Liguori, Apparecchio alla morte, XVI-XVII). L’augurio in questa festività agostana, che è la Pasqua di Maria, è quello che traiamo dal sublime Officio Divino dell’Assunta e cioè che possiamo sempre correre “dietro ai profumi degli unguenti” (Terza antifona delle Lodi e dei Vespri) della Madonna per poterla un giorno vedere “coronata sul celeste trono alla destra del Figlio” (Seconda antifona delle Lodi e dei Vespri) e con lei bearci in eterno della visione dell’Augusta Trinità.
Signor Giuliano Zoroddu mi permetta di procedere con i piedi a terra a modo mio, sulla sua questione, facendo salvo la tesi dei ragionamenti edotti da lei. E la “terra” per me, in questo caso, è principalmente il testo dell’Apocalisse di Giovanni, i quattro evangeli e l’arte sacra del Rinascimento e la ragione umana.
Sull’apocatastasi, esaminando quella di Origene, occorre superare lo scoglio annoso del “terrore” dei partigiani avversi a questa concezione. Cioè che al limite, rifacendoci all’Apocalisse di Giovanni, la Bestia e tutti i suoi accoliti, ritornano in libertà così com’erano all’origine, angeli splendenti, ma con il germe in loro, causa della loro originaria caduta. Questo è il loro dubbio atroce: di qui la cattiva sorpresa di ritrovarli nelle stesse condizioni dell’inizio della creazione.
Dunque per uscire fuori da questo tranello, “scritture alla mano” per cominciare, si parte dallo «stagno di fuoco» (Ap 20,17) dove i reprobi verranno gettati, in cui – secondo me – risiede una chiave di comprensione.
A cosa si può paragonare lo «stagno di fuoco», cioè l’inferno, esaminandolo con un esempio pratico, come una certa parabola evangelica? A un impianto fusorio di rottami – mettiamo – di autoveicoli e similari. Sappiamo però che precede questa fase la rottamazione in cui si attua un accurato recupero di parti riutilizzabili che, una volta revisionati sono preziosi per risultare economici pezzi di ricambio.
Allora se l’uomo, nella sua disposizione di buon provvido economista industriale, è così saggio, tanto più lo è Iddio per far di meglio, anziché distruggere del tutto i reprobi, siano essi umani e/o demoni. Qualcosa di buono pure lo hanno – mettiamo – l’abilità spirituale-corporea, una di tante funzioni neutrali, tutte “parti riutilizzabili”: insomma ne hanno eccome! Si capisce che i soggetti “immersi” nello “stagno di fuoco”, una volta “riutilizzati” (mi sembra un parlare fantascientifico, ma è calzante) sono tutt’altra cosa. Ed è questo che alla fine può rientrare nel concetto dell’apocatastasi. Si tratta di un concetto in evoluzione, questo è il punto. Perciò gli esseri “rinnovati”, reduci dallo “stagno di fuoco”, non hanno nulla a che vedere con quelli di prima carichi, più o meno, di peccati veniali e mortali. Notare che questo processo rigenerativo vale per tutti, buoni e cattivi, uomini e demoni, infatti così è scritto nell’Apocalisse 19,17-18:
Si tratta della «prostituta» Ap 17,16: . È qui lo “stagno di fuoco” in funzione!
Si deve immaginare che gli «uccelli» non siano altro che una sorta di “operatori” legati – parafrasando – agli argomentati processi fusori della pratica industriale umana suddetta. Di qui la supposta fase “fusoria” di trasformazione. E poi si capisce anche che questi “volatili” riguardano la bestia e le dieci corna (i re): Ap 17,16. Insomma sono loro che stanno a banchetto. Ma alla fine di questo scritto si accorgeranno dell’atroce beffa…
Ma c’è molto di più in chiave dottrinale, trasmessa sempre dall’Apocalisse di Giovanni Ap 17,17, che fa trapelare tutto un preordinato processo di “trasformazione” animico-spirituale-corporeo dei soggetti destinati alla vita “eterna”, la chiave di volta dell’Apocalisse di Giovanni:
Si capisce che è un versetto, chiave di fondamento dell’Apocalisse, chiaramente un occulto compromesso fra Dio e mammona. Una scrittura che non è stata mai approfondita e che risolve il mistero della rigenerazione degli esseri, siano umani che angeli decaduti.
Ed ecco che a questo punto l’Arte fa capolino sull’Apocatastasi in questa visione, a darvi man forte. Questo tema era avvertito nell’arte del Rinascimento, tant’è che nel Duomo di Orvieto spicca l’affresco del giudizio universale di Luca Signorelli. In questo dipinto è in risalto un interessante dettaglio, un demone e la sua donna si salvano per decisione di un Arcangelo che sembra essere Michele: in base a quell’accordo tra Dio e mammona certamente. (Ap.17.17) Ma quest’altro caso d’arte è ancora più clamoroso sullo stesso tema.
In un’altra chiesa, quella dei SS. Nazaro e Celso di Brescia dove è esposto una pala del Moretto, L’incoronazione della Vergine. Qui risalta l’Arcangelo Michele che non è più il solito essere armato (come nel caso precedente di Orvieto), ma visibilmente effeminato con il capo inghirlandato con fiori. Non solo, ma egli con la sua lancia quasi sembra avere un rapporto erotico con la bestia ai suoi piedi piacevolmente supino. Questa immagine non ha altre spiegazioni se non quella in linea col solito versetto 17,17, chiave dell’Apocalisse di Giovanni: il tacito compromesso fra Dio e mammona.
Tenere da conto che si tratta di opere esposte in edifici di culto della Chiesa, esposte alla venerazione dei fedeli!
Infine, in quanto al concetto di rottamazione nella prospettiva della pena dello “stagno di fuoco” apocalittico, varrà pure l’esempio di come l’uomo epocale si dispone a questa ragione di recupero delle cose in “perdizione”.
Alla fine della prima guerra mondiale un sacerdote ebbe l’idea di far fondere tutti i cannoni del conflitto bellico per realizzare la famosa campana Maria Dolens a Rovereto. Suona a distesa per un’ora tutti giorni al tramonto con la nota fondamentale Si1, la più acuta della scala sonora! Di più non si può per sentirla scampanare!
Esistono poi i paradossi del cristianesimo che, più di altre religioni, mettono di fronte il sacerdote conformato ai sacri doveri di non uccidere prima d’altro, e un emblematico dovere patriottico che lo pone nella condizione contraria. È il caso di don Pietro Boifava (1794-1879) che imbraccia il fucile e combatte il nemico austriaco che ha invaso la sua patria. Egli è stato definito “Un patriota nel cattolicesimo sociale bresciano”. Quale la soluzione ad hoc se non il “tacito” accordo fra Dio e mammona (della guerra), risolta appunto dal versetto Ap 17,17 che sappiamo?
Il problema è capire quale sia il vero “male” che Dio vorrebbe vedere noi combatterlo e vincerlo. Al tempo del Dio Jhawé fu come la lotta di Giacobbe con l’angelo di Dio e alla fine egli vinse. Di qui il detto di Gesù che vi da man forte: «Non crediate che io sia venuto per portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace ma una spada.»? (Matteo 10,34) per inneggiare alla guerra contro chi minaccia l’integrità della nostra anima. Naturalmente non è una lotta ma è una “resilienza”: cioè una lotta dall’interno. È una sottigliezza che conta.
Ma oggi, che siamo ad un bel passo in avanti con l’insegnamento del Gesù della “spada”, che ci lacera la mente, e allora, abolendo l’idea di una guerra da combattere, forse è veramente il caso di seguire il suggerimento emblematico dell’accordo fra Dio e mammona Ap 17,17. Sono troppe le guerre di ogni genere e tipo sul nostro pianeta! Attenzione perciò alle spade, come quella sua di Radio Spada che deve essere rinfoderata come ordinò di fare Gesù a Pietro nell’orto degli ulivi!
Ma intanto, rinunciandovi, si deve credere che in modo occulto avvengono in noi processi di trasformazione ne neanche immaginiamo, ma a certe condizioni.
Potrei andare oltre ma occorre “uscire dal gregge” come quella centesima pecora evangelica. E sono gli evangelisti Luca e Matteo a ricordarci questa cosa per stare a vedere che c’è qualcosa di nuovo che trapela in stretta relazione con la discussa Apocatastasi:
«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.» (Luca 15,3-7)
«Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.» (Matteo 18,12-14)
Notate l’ultima frase: «Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.».
Ed ecco un altro “attacapanni” della tesi Apocatastasi, ma basta sfogliare bene i testi sacri per trovarne tanti altri.
La spada di Radio Spada vuole essere quella di Gesù quando disse:
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.»? (Matteo 10,34-35)
Ma siamo giusto nel tempo in cui la stessa spada sta operando col coronavirus! Non è forse un certo «separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera»? quanto basta per mantenere la distanza minima di un metro? E di conseguenza anche le nazioni fra loro.
Mentre si profila il Gesù, di terribile del giustiziere! Ecco il Figlio dell’uomo in lui, l’altra sua faccia, quello della “spada”!
Gesù non risparmiava nessuno come voleva che fossero gli uomini secondo lui, e lo abbiamo visto all’opera con la frusta nel Tempio di Gerusalemme.
E oggi egli ritorna alla carica armato fino ai denti con lo «scettro di ferro» (citazione dell’Apocalisse).
E allora se fosse il coronavirus il dardo che scaglia il primo cavaliere sul cavallo bianco con l’arco, che apre i countdown dell’Apocalisse, al momento in cui l’Agnello apre il primo sigillo?
Se così fosse, che nesso ha quell’arco che potrebbe valere come “spada”?
L’arco vien teso per far scoccare il dardo, cioè si inflette e poi viene rilasciato: ecco l’analoga attività dei polmoni in cui si insinua il dardo-coronavirus, ma all’incontrario, verso l’interno e in breve è causa di morte.
Viene detto nell’Apocalisse che al cavaliere «gli fu dato una corona e poi uscì vittorioso per vincere ancora.» (Ap 6,1). E si afferra il senso della corona, cioè la chiara allusione al nome coronavirus, ma c’è di più perché questo bacterio circola continuamente e oggi c’è l’allarme dei virologi che esso ritornerà alla carica, una volta che sia scomparso.
Meno male che i sigilli da aprire ancora, avvengono presumibilmente come la meccanica della scienza quantistica, cioè a «a salti»! Quindi prendiamo fiato…
Però, ripeto, attenzione alle “spade” attivate da mani d’uomini perché sono ritorcenti, ed ecco anche la chiave per capire il tranello in cui cade la “bestia” (il guerrafondaio) dell’Apocalisse, che si nutre della carne della “prostituta” Ap 17,16: tutto preordinato da Dio che ha allestito il suo tremendo “cavallo di Troia”, e Giovanni dell’Apocalisse ce lo dice col versetto 17,17! Ecco Yahweh ṣĕbā’ōt il Dio degli Eserciti! Il Cavaliere con “scettro di ferro”!
Cordialità
Gaetano Barbella
Notare che questo processo rigenerativo vale per tutti, buoni e cattivi, uomini e demoni, infatti così è scritto nell’Apocalisse 19,17-18:
Si tratta della «prostituta» Ap 17,16: . È qui lo “stagno di fuoco” in funzione!
Ma c’è molto di più in chiave dottrinale, trasmessa sempre dall’Apocalisse di Giovanni Ap 17,17, che fa trapelare tutto un preordinato processo di “trasformazione” animico-spirituale-corporeo dei soggetti destinati alla vita “eterna”, la chiave di volta dell’Apocalisse di Giovanni:
Continuo a non capire perché non vengono riportati nel mio testo i versetti dell’Apocalisse di Giovanni (19,17-18), (17,16) e (17,17)
Pensateci voi a farlo per cortesia e col mio grazie.