The Good Fragrance of Jesus Christ is the bouquet most pleasing to Mary Purity, Love, Humility Letaille

Nota di Radio Spada: pubblichiamo oggi, nei nostri percorsi di riscoperta della vera letteratura di lingua italiana,  una poesia dedicata al Santissimo Nome di Maria scritta da S.E.R. Monsignor Giuseppe Mancini (1777-1855), arcivescovo di Siena. Fedelissimo agli ideali religiosi e politici dell’Ancien Regime, il Mancini incarnò, per tutta la vita e nel suo vasto operato, lo spirito dell’intransigenza cattolica contro il giacobinismo, la tirannide napoleonica, lo spirito liberale e rivoluzionario del secolo XIX. Fu incarcerato dal 1811 al 1814 dai francesi nella fortezza di Fenestrelle, quando era vicario generale della diocesi di Fiesole, con la complicità di  Antoine-Eustache d’Osmond, arcivescovo intruso di Firenze. Dopo la Restaurazione, lavorò a lungo per scardinare le massime e i fondamenti dottrinali del riformismo leopoldino nel granducato di Toscano. Arcivescovo di Siena per trent’anni, erudito e appassionato poeta, pubblicò nel 1835 un volume di liriche bibliche e devozionali. Della mirabile e acuminata introduzione, scritta di suo pugno, contro la poetica romantico-rivoluzionaria, riportiamo in calce un ricco e spumeggiante stralcio. Buona lettura! (a cura di Piergiorgio Seveso)     

Il Nome di Maria

Dolci è ver fra i tetti aurati

Sono i musici diletti,

Cui guidàr famosi vati,

Rare voci e mastri eletti.

Dolce è udir tra valli e prati

O dal fondo dei boschetti

Mescer l’agne i lor belati

Al garrir degli augelletti.

Piace il rivo mormorante

E l’auretta a mezzo Aprile

Fra le fronde tremolante:

Ma ogni dolce melodia,

Ogni suono più gentile

 Cede al Nome di Maria.

A Voi (giovani) che formate le speranze del mondo, offrasi questo volume. Una filosofia in delirio, una letteratura vaga di chimere, capricciosa, dissennata, tutta spirante fanatismo vi opprime co’ suoi libelli e vuole dimesticarvi co’ mostri. E tutto questo perché si rigeneri il mondo! Ma le specie non si propagano a forza di aborti e di questi oggi smisuratamente s’abbonda più che di felici e bei parti. Le poesie che vi offriamo non sono certamente quali le vorremmo. Noi pensiamo all’antica e quindi l’idea che del vero poeta ne porge Orazio, ci fa almeno conoscere di non meritare tal nome: ma se a pochissimi nel gran giro de’ secoli è dato il salire alle vette del Pindo, sarà poi disdetto a qualunque il tentar le sue falde con ritrarsi dalle paludi e bolge romantiche? Che se questa è colpa, ella ci sarà comune con altri molti: e perché niuna vi cadesse converrebbe estirpare dal mondo la più bella tra le arti belle, ed uopo sarebbe, perché rari sono i poeti sommi, che vi fossero più poeti. Ben altra colpa avvi da rimproverare al secol nostro quella cioè di voler compensare la scarsezza di genio con la violazione del buon gusto e della morale. Non è dunque così?  Bassi e mediocri ingegni, in dispetto a Minerva, ma ingordi pur essi di plauso e fama, spiarono l’indole del secolo e scorgendo in lui predominante l’amore della novità e della licenza, su tali norme coniarono i lor versi e le romantiche prose. Quindi nuovi e bizzarri modi d’eloquenza e di poesia, fraseggiar duro e contorto, iperboliche e strane voci, rapidi e concitati metri intempestivamente usati; storie, novelle, poemetti senza disegno e senza lega, ove ti assordano stemprate nenie e compianti sulla oppressa umanità: e sempre ad eccitar sacro stupore, un tal linguaggio d’ispirazione e d’anima fortemente passionata, inquieta,  d’arcani sensi compresa;  e tutto ciò non rado per accreditare indegne massime ed abbellire sconci fatti, o per dar corpo a sogni politici e deliramenti di parte.

Fonte: Poesie liriche di Monsignore Giuseppe Mancini, arcivescovo di Siena, tra gli arcadi Filodemo Cefisio. Siena, dalla tipografia di Pandolfo Rossi, all’Insegna della Lupa, 1855.