di Luca Fumagalli

Evelyn Waugh
Evelyn Waugh (1903-1966) può essere a ragione considerato quasi una sorta di anti-Graham Greene. Quest’ultimo, infatti, complice la volontà polemica e il progressismo culturale, costituì un punto di svolta per la narrativa cattolica del XX secolo, portando il romanzo verso strade ancora inesplorate. Waugh, al contrario, rappresentò il culmine della tradizione; la sua opera, tanto nei contenuti quanto nella forma, si trovò a chiudere idealmente un ciclo che affondava le proprie radici nella seconda metà dell’800 – quando i “papisti” poterono finalmente tornare ad avere un ruolo nella vita pubblica inglese – e che annoverava nomi del calibro di J. H. Newman, W. F. Barry, R. H. Benson, M. Baring, G. K. Chesterton e molti altri ancora. Gli scritti di Waugh furono, in altre parole, lo sfolgorante canto del cigno di un mondo che aveva fatto il suo tempo.

“Declino e caduta” (1928)
I primi romanzi, Declino e caduta (Decline and Fall, 1928) e Corpi vili (Vile Bodies, 1930), sono libri di satira sociale che descrivono i comportamenti cinici e frivoli della generazione post-bellica appartenente all’alta società. I cocktail sostituiscono la realtà, e i personaggi fanno dei balli vorticosi un’occasione per sfuggire a una vita vuota, congestionata da feste senza fine ma priva di significato. Se in Declino e caduta il vizio trionfa sempre sulla virtù, in Corpi vili i due termini non hanno più alcun valore. Vi è già in questi lavori quella nota malinconica, dal retrogusto nostalgico, tipica del carattere di Waugh, tra l’altro egli stesso animatore della vita notturna londinese degli anni ’20, quella dei cosiddetti “Bright Young Things”.
La conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1930, sulle prime sembrò non influire più di tanto sulla sua produzione letteraria. Misfatto negro (Black Mischief, 1932), ad esempio, seppur ambientato in Africa, continua la caricatura della società contemporanea senza esplicitare nulla riguardo la Fede.
Sarebbe comunque sbagliato classificare i romanzi del periodo come mere continuazioni di quanto prodotto in precedenza.

“Una manciata di polvere” (1934)
Una manciata di polvere (A Handful of Dust, 1934), da molti critici considerato il capolavoro di Waugh, quantunque non contenga temi cattolici espliciti, mostra una profondità di scrittura inedita. Il protagonista, Tony Last, conduce una vita apparentemente idilliaca, almeno fino a quando scopre che Brenda, la moglie, ha una relazione con John Beaver, un losco arrampicatore sociale. Il divorzio e la consapevolezza di essere stato ingannato da chi più amava, rivelano a Tony un’amara verità: il mondo ideale a cui credeva di appartenere, tutto cavalleria ed etichetta, semplicemente non esiste. Il finale, unico caso nell’intera produzione di Waugh, è terribile e non lascia spazio a redenzione alcuna.
Una manciata di polvere, al netto dei limiti, contiene in nuce molti elementi tipici della Catholic novel – in testa il senso della precarietà e l’ansia del riscatto – che saranno le colonne portanti di quel gioiello intitolato Ritorno a Brideshead (Brideshead Reviseted, 1945), tra i romanzi cattolici più belli che siano mai stati scritti in Inghilterra.
Prima di questo, però, Waugh pubblicò L’inviato speciale (Scoop, 1938) e Sempre più bandiere (Put Out More Flags, 1942), due libri che, nella rappresentazione farsesca del giornalismo e della vita dissipata del giovane Basil Seal, tornano ai toni satirici d’inizio carriera.
Ritorno a Brideshead, a differenza di molta letteratura apologetica inglese, non assale frontalmente il lettore, stordendolo con tesi preconfezionate, ma la verità della Fede emerge gradualmente durante il lento incedere della trama. Le vicende legate alla famiglia Flyte, aristocratici cattolici che abitano nella splendida dimora di Brideshead, sono raccontate dall’ingenuo Charles Ryder. I protagonisti, inizialmente allo sbando, avvinazzati che stringono al petto orsacchiotti di pezza, riescono a ritrovare se stessi per merito di quella Grazia divina che ha il proprio correlativo oggettivo nelle mura della casa, simbolo di ordine e tradizione. La decadenza della nobiltà è il primo, preoccupante segnale dell’incombere di una modernità anarchica che, nelle previsioni dell’autore, non risparmierà niente e nessuno.

“Ritorno a Brideshead” (1945)
A Il caro estinto (The Loved One, 1948), in cui Waugh svela una certa ostilità nei confronti della cultura americana, seguì Elena (Helena, 1950), il lavoro che lo scrittore amava di più. Si tratta di uno smilzo volumetto incentrato sulla figura di Elena, la madre dell’Imperatore Costantino; in verità è un romanzo mediocre, capace con i suoi affreschi e i reiterati anacronismi di dare almeno il senso dell’universalità della Chiesa di Roma.
Uomini alle armi (Men at Arms, 1952), Ufficiali e gentiluomini (Officers and Gentlemen, 1955) e Resa incondizionata (Unconditional Surrender, 1961) costituiscono la trilogia bellica ripubblicata nel 1965 con il titolo Sword of Honour. A partire dalla personale esperienza al fronte, Waugh imbastisce un lungo racconto che ha per protagonista il cattolico Guy Crouchback, un uomo fiero e coraggioso, i cui alti ideali di vita si scontrano con la miseria di un conflitto che premia i codardi ed esalta gli egoisti. Tradito e abbandonato da tutti, Crouchback accetta la croce degli eventi con umiltà, snocciolando, lacrime agli occhi, i grani del suo rosario. Una piccola consolazione giunge nel finale, quando il frutto del peccato diviene provvidenzialmente il seme di una nuova speranza.

La trilogia “Sword of Honour” (1965)
In quasi ogni libro Waugh offre dunque una rappresentazione impietosa del genere umano. La sua visione, come accennato in precedenza, è condizionata dalla nostalgia di un passato ideale, di un’età dell’oro che forse non è mai esistita. Il presente, in questo senso, è latore di una malvagità in grado di sovvertire la virtù tradizionale. Ma lui era capace anche di autoironia – come dimostra La prova di Gilbert Pinfold (The Ordeal of Gilbert Pinfold, 1957), storia picaresca di uno romanziere cattolico depresso – e la risata, per quanto a volte amarissima, frammista al grottesco e al camp, non cede mai il passo al pessimismo. La Fede, infatti, è un antidoto potente. Uno dei motivi per cui lo scrittore inglese amava la liturgia romana era proprio il senso di certezza che essa emanava (da qui il suo odio viscerale per le riforme promosse dal Concilio Vaticano II).
La promessa di felicità che Waugh consegna al lettore – testimoniata anche in varie novelle e saggi – non è questione di compassione umana, ma è giocata interamente sull’accettazione della religione quale verità in grado di riconciliare l’uomo con le sconfitte e i dolori della vita. Nella commedia dell’esistere il ruolo che è assegnato a ciascuno è il modo attraverso il quale Dio guida le proprie creature. Il mistero e la redenzione, per fortuna, sono le uniche due forze che animano l’universo e che contano qualcosa sulla via del destino.