di Martino Mora
I risultati dei referendum sull’autonomia in Lombardia e in Veneto ci offrono almeno due risultati positivi. Il primo è evidente: se cinque milioni e mezzo di persone (tre milioni di lombardi e due e mezzo di veneti) sono andati a votare per l’autonomia, cioè per l’autogoverno, allora nonostante la globalizzazione, lo sradicamento e la massificazione imperanti, è ancora vivo, soprattutto nei centri medio-piccoli, un forte sentimento identitario. Che trionfa in Veneto, ma emerge con forza anche in Lombardia. I globalisti non ne saranno contenti, come non ne sono contenti i nazionalisti e i centralisti eredi del Risorgimento. Non possiamo che compiacercene.
Naturalmente c’è chi parla di “egoismo” o di grettezza economicistica. Ma non ci vuole molto a capire che il “calcolo economicistico” è quello di chi considera Lombardia e Veneto alla stregua di un bancomat. Semmai c’è da chiedersi per quale motivo l’autogoverno di un territorio dovrebbe svantaggiarne altri. Solo in una logica parassitaria l’autogoverno altrui diventa una minaccia. Un romano o un napoletano o un calabrese o un pugliese orgoglioso di essere tale, non dovrebbe avere nessuna paura e non dovrebbe provare nessun risentimento verso quei veneti e quei lombardi che chiedono maggiore autonomia. Chiedere maggiore autonomia non è sinonimo di egoismo. Purtroppo molti meridionali sono stati abituati da troppo tempo dalla classe politica e mediatica a considerare l’assistenzialismo dello Stato come un diritto indiscutibile. Ma se la fortuna del Sud sono le tasse che vengono dal Nord, perché il divario tra Nord e Sud non cessa d’aumentare? Eppure i finanziamenti sono stati e rimangono molto ingenti.
Leggo che giornali come “Il Tempo” e “Il Messaggero” di Roma o “Il Mattino” di Napoli stanno drammatizzando l’accaduto, secondo la classica mentalità risentita e piagnona. La diminuzione del residuo fiscale al Nord svantaggerebbe il Sud? Solo in una logica assistenziale. Lo Stato non può essere concepito come una mammella alla quale attaccarsi, anche perché a sua volta dovrà taglieggiare imprese (sempre le piccole, chissà perché) e i territori. Se il mercatismo è senz’altro un male che ci affligge (l’idolatria di Mammona), lo statalismo e il fiscalismo rapace sono figli della stessa logica materialista. Ciò non ha nulla a che fare con la dignità dell’uomo. Né con la risoluzione dei problemi del Mezzogiorno. Altrimenti sarebbero già risolti da un pezzo.
Il secondo risultato positivo è che finalmente l’Italietta centralista del 1861 comincia ad essere messa in discussione per davvero e non per finta. La sciagurata scelta centralista liberal-sabauda, basata sui prefetti napoleonici e l’uniformazione giuridica del Regno con l’estensione delle leggi piemontesi a tutto lo Stivale danneggiò tutti, a cominciare dal Regno delle Due Sicilie, annesso dal duo Garibaldi-Cavour violando (come per lo Stato della Chiesa) il diritto internazionale. L’ottusa scelta centralistica dell’Italietta dovrebbe cominciare ad essere messa in discussione anche al Sud, di cui fu la rovina. Sperando che il Mezzogiorno si svegli dal suo sonno letargico, i popoli veneto e lombardo hanno battuto un colpo. W le Italie.
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