di Luca Fumagalli e Piergiorgio Seveso
Per chi si avvicina al mondo della Sede Vacante in maniera non epidermica o accidentale (non da “sedevacantista da bar sport”, per intenderci), prima o poi avviene il contatto con la figura e la storia del vescovo Thuc. Per l’esattezza Ngo Dinh Thuc (1897-1984), vescovo vietnamita nel 1938, arcivescovo di Huè, poi critico e infine “ribelle” verso le “autorità” conciliari. A lui, ovvero alle tre consacrazioni episcopali senza mandato romano del 1981 da lui realizzate a Tolone (Guerard des Lauriers nel maggio, Carmona y Rivera e Zamora y Hernandez in ottobre), il mondo sedevacantista deve, quasi nella sua interezza, vescovi, preti e sacramenti. Non possiamo, né vogliamo in questo articolo analizzare pregi e limiti di questo vescovo vietnamita: già tanti ne hanno dibattuto e le rispettive posizioni ormai sono cristallizzate in un contrasto insanabile (e anche, alla lunga, uggioso, perché non porta più a nulla). I nostri lettori, fruendo delle vaste informazioni che circolano in rete, potranno farsi un quadro della complessità della sua figura. Gli ambienti del tradizionalismo ostile al sedevacantismo lo declassano quasi sempre e sbrigativamente a “pazzo” o “dall’incerta sanità mentale”. Infatti, nell’arazzo del tradizionalismo e dell’integrismo, nostrano e internazionale, c’è un sottile filo grigio fumo che si intreccia con l’oro e l’argento di molte e insostituibili virtù naturali e sovrannaturali: la calunnia, la mormorazione, l’utilizzo sistematico della diceria. Difatti, nel nostro piccolo mondo, non si usa mai solo l’attacco frontale, la confutazione dottrinaria o pratica (costerebbe tempo e fatica e nell’epoca del sedevacantismo liquido il tempo è sempre poco), ma si pratica la facile archiviazione: una frase detta a mezza bocca, un accenno vago, uno spicciante giudizio, una tagliente allusione, comunicata in qualche oscura latebra, su un “sagrato” d’occasione o in una prosaica pizzeria, con pizzico di gravitas occasionale ed il gioco è fatto. Anche l’Eccellenza Thuc patisce di queste ingiurie, in ambiente “conservatore moderato” .
Quante croci, quante prove ma anche quante incertezze e quanti sbagli… Per il nostro mondo, spesso diviso e lacerato dalle incertezze e dalle cadute, è una figura emblematica. Quanti, anche tra noi, possono sbandare tra sedeplenismo apparente o abitudinario, sedevacantismo totale di comodo o di esuberanza, apparizionismo smodato oppure rovinano nel nulla dell’apostasia quotidiana. Pensiamo ai laici che abbiamo visto sparire e diventare fantasmi, ma anche e persino ai religiosi che abbiamo visto fluttuare e talvolta svanire nella nebbia di un mattino di Sede Vacante.
I De Bligniers, i Lucien o ancora peggio i Milani, i Munari non sono stati e non sono per noi che scriviamo motivo di scoraggiamento o di incertezza, tutt’altro. Questo non è il tempo di grandi carismi, di grandezze e di trionfi, di portentosi segni e di quei fiammeggianti prodigi che adornano tanti libri di pietà: è l’ora dell’incertezza, del buio e della Seduzione. In una parola: della debolezza del Bene. I cattolici fedeli sono sballottati tra i flutti, come naufraghi sulla zattera della Medusa che è poi oggi la Chiesa cattolica, priva del suo nocchiero visibile.
E quanti sbagli, quanti scivoloni, quanto non sapere cosa fare e come farlo: la tentazione di non pensarci più o di buttare tutto all’aria è forte, ma guardiamo a monsignor Thuc.
La grandezza e la santità (almeno umanamente parlando) dell’Eccellenza Des Lauriers commuove i cuori e le menti: chi l’ha potuto conoscere, ha testimoniato davvero il profondissimo sensus Ecclesiae di questo religioso, la sua passione per la Chiesa che l’ha posto in una posizione scomoda e isolata. Anche per i critici o lontani, la sua figura impone rispetto e attenzione.
Davanti ad una figura come questa ci sentiamo piccini, come mocciosi incorreggibili (o, per utilizzare un’espressione tratta dal manuali del neotomismo intransigente, “eterni adolescenti”), ci sentiamo pervasi da una grande reverenza ma anche da un certo timore.
Ma se guardiamo a Monsignor Thuc, vediamo anche le sue debolezze, il suo NON sapere cosa fare, il suo magari cadere in errori o inganni, il suo essere vescovo che vive integralmente sulla sua pelle la crisi della Chiesa.
E lo sentiamo più vicino a noi, parvuli sedevacantisti che cercano di servire la Chiesa cattolica e il Papato, e vediamo anche che in tante dubbiezze l’Eccellenza Thuc ha fatto delle cose buone dall’immensa portata, tipo le consacrazioni episcopali del 1981 o la dichiarazione sulla Sede vacante del 1982.
E un po’ siamo consolati nella nostra inadeguatezza e ci pervade la sensazione che basta davvero poco per essere eroi. Fare le scelte giuste al momento giusto, saper dire No a tempo debito, con la Grazia di Dio e l’aiuto delle persone di buona volontà, fare del bene e FARLO almeno abbastanza bene. Anche Monsignor Thuc, in infirmitudine animi et in tempestate cordis, ha reso alla Chiesa cattolica un servigio immenso, di cui forse oggi ci sfugge ancora la completa portata.
Il suo nome sarà forse scritto un giorno sul libro d’oro del Cattolicesimo, come uno dei più grandi difensori dell’Ordine Sacro in questi tempi di tregenda.
Così anche noi, consapevoli della nostra debolezza e del nostro bisogno di aiuto, consapevoli anche dei nostri errori, fissi gli occhi sulle stelle polari della Verità e della Carità, abbiamo fatto o potremmo fare tanto bene. Nel nostro nulla, nel nostro quasi imbarazzante niente, difendiamo la Chiesa cattolica, difendiamo la sua Missione, la sua Natura, la sua Teologia, i suoi Sacramenti, la sua Storia. Tutto insomma.
Nell’Ottavario dei Morti