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Riad ai suoi sudditi «Lasciate il Libano». Tensione sempre più alta con Hezbollah «Il premier Hann trattenuto in Arabia». Stesso allarme ai concittadini anche di Bahrein, Emirati e Kuwait.

A sorpresa Macron allunga la visita nel Golfo e incontrerà il principe Mohammed bin Salman

di Camille Eid

Prende sempre più piede in libano l’ipotesi che il primo ministro Saad al-Hariri sia agli «arresti domiciliari» in Arabia Saudita, contro la sua volontà. Il presidente libanese Michel Aoun ha ribadito che non accetterà le dimissioni del suo premier, annunciate da Riad sabato scorso, finché non lo incontrerà di persona. Secondo una rete televisiva libanese, Aoun si sta muovendo verso una soluzione diplomatica «per risolvere il mistero intorno alla sparizione di Hariri». Altri partiti politici libanesi, compreso Hezbollah, si sono allineati con l’approccio di Aoun. A cominciare dallo stesso partito del “premier detenuto’; la Corrente del Futuro, che ieri al termine di una riunione ha chiesto il rientro in Libano del suo leader «per restaurare la dignità e il rispetto» del Paese. Ieri un esponente del governo di Beirut ha dichiarato che il Libano sta cercando di cooperare con diversi altri Paesi per rimpatriare Hariri.

Dopo aver ricevuto nei giorni scorsi – ma non si sa in quali condizioni – rappresentanti dell’Unione Europea, Gran Bretagna e Stati Uniti, Hariri ha incontrato ieri nella sua residenza di Riad l’ambasciatore francese in Arabia Saudita, a poche ore dall’arrivo nel Paese del presidente Macron per incontrare il principe Mohammed bin Salman. Hariri sabato ha sostenuto di essere in pericolo di vita in Libano, mentre ora varie fonti affermano che gli è stato ordinato di leggere il comunicato con cui ha annunciato le dimissioni a sorpresa. Nel suo discorso, il primo ministro ha accusato l’Iran e il suo alleato libanese Hezbollah di seminare discordia nel mondo arabo.

Le dimissioni hanno generato un terremoto a livello sia domestico che diplomatico, provocando reazioni in tutta la regione. Quale che sia la verità, è evidente la volontà del principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, di trasformare nuovamente il Libano in terreno di scontro con l’Iran. Intanto ieri le autorità di Riad hanno sollecitato i cittadini sauditi presenti in Libano a «lasciare subito» il Paese. Nei giorni scorsi, anche il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti – fedeli alleati dell’Arabia Saudita – avevano sconsigliato ai loro cittadini di recarsi in Libano. Ieri pure il Kuwait.

Un’altra vittima della politica di “contenimento” saudita dell’influenza iraniana è lo Yemen. Mercoledì il sottosegretario agli affari umanitari dell’Onu ha detto che la carestia che minaccia il Paese «sarà la peggiore che il mondo abbia mai visto da decenni» se la coalizione militare a guida saudita non deciderà di mettere fine all’assedio che ha già ucciso diecimila persone e lasciato senza cibo e senza assistenza medica sette milioni di yemeniti. L’allarme fa eco a quanto affermato dal direttore di Save the Children a Sanaa, che ha parlato di«milioni di bambini» che «perderanno la vita» a causa dell’embargo.

 

Fonte: Avvenire, edizione odierna


dal blog di Maurizio Blondet:

[…] La dimissione di Hariri va dunque inquadrata in questa purga: in pratica il principe [bin Salman] ha convocato il capo libanese per arrestarlo. I  sauditi hanno qualche volta rimproverato Hariri (con quello che lo pagano…) di  essere molle con Hezbollah;  in un  primo momento, dopo l’annuncio  di Hariri da Ryad, s’era pensato ad un inizio della guerra civile libanese, coi sunniti finalmente (secondo i desideri sauditi) a  prendere le armi contro gli sciiti libanesi.

Stranamente, pochi media hanno notato il vero motivo:  il 3 novembre, a sorpresa, era sbarcato a Beirut  un iraniano di grande prestigio, consigliere in politica estera della Guida Suprema,  Ali Akbar Velayati . Ex ministro degli esteri al tempo di Khamenei, medico e scienziato di professione,   eminenza grigia per eccellenza,  Velayati ha incontrato non solo Nasrallah (il capo di Hezbollah), il che  sarebbe normale, e il presidente Michel Aoun, cristiano e alleato di Hezbollah; ma anche Hariri, il  referente sunnita, il che è eccezionale.

E cosa ha detto Velayati d Hariri?  Secondo il quotidiano Al-Moustaqbal, questo: “Teheran  ha spiegato alla sede del primo ministro: noi sosteniamo l’indipendenza del Libano”. Secondo An-Nahar, più esplicito: “Teheran accorda grande importanza al mantenimento al potere  del governo Hariri – perché ciò servirà da riparo ad Hezbollah di fronte alle sanzioni Usa e perché si inquieta che le misure punitive del’Arabia Saudita ed altri paesi  del Golfo che hanno di mira il governo libanese”.  Ha   riferito del recente incontro a Teheran di Putin   con la guida, e che i due avevano definito “imperativo” il mantenimento della stabilità del Libano. Velayati aveva definito”buono,   positivo e costruttivo” l’incontro con Saad Hariri.

Ed anche  “Hariri era molto soddisfatto ed ottimista dopo l’incontro con l consigliere della guida suprema Velayati”,   attesta l’informatissimo blogger Moujtahed. Insomma, là dove il Sauditi (e  Israele) volevano lanciare i sunniti libanesi contro Hezbollah,  si è chiaramente andata profilando una pacificazione fra le tre componenti etnico-religiose.  Sotto l’egida, e quindi l’influenza, di Teheran l’arcinemico, e con Mosca sullo sfondo.

La sola cosa inspiegabile è perché Hariri, dopo aver ottenuto questo endorsment, è andato a Ryad  a mettersi nelle mani di Bin Salman. Forse aveva da riferire una proposta di mediazione? Forse non può non obbedire quando Ryad lo chiama?

Bin Salman lo ha obbligato a leggere  le sue dimissioni dall’estero. Se sperava di riaccendere la   ferita aperta fra sunniti e sciiti in Libano, ha fallito. Nel suo primo discorso radiofonico  dopo le dimissioni di Hariri,  il leader di Hezbollah, Sayyid Hassan  Nasrallah ha subito chiarito, sereno e pacato: “Non  siamo stati noi a volere le dimissioni; in generale le cose andavano bene”, riferendosi al governo di coalizione, dove Hezbollah ha due ministri.

[…]

Il già citato blogger Moujtahed  ha citato un altro motivo: “Il principe ereditario vuole tenere Hariri in Arabia Saudita l per recuperare i suoi fondi all’estero”. Qualunque cosa ciò voglia dire, è un  fatto che Bin Salman, ha fatto arrestare gli 11 principi i trenta ministri (oltre che i capi delle tv)  sotto l’accusa di corruzione, opportuna, perché gli permette di  sequestrare e  incamerare le ricchezze degli arrestati:  fra cui c’è il principe Al Walid Bin Talal, il sesto  uomo più ricco del mondo, valutato fra i 18 e i 32 miliardi di dollari; e gli altri, tutti figli del defunto re Abdullah, non sono da meno.  Quindi la  purga e la retata  concentra a nella mani del giovane  futuro re una ricchezza finanziaria prima troppo dispersa, e di cui ha un gran bisogno: l’economia va a pezzi, i buchi di bilancio aumentano,  la guerra in Yemen costa un occhio  e va malissimo  – proprio nelle stesse ore della è purga,   gli Houti dallo Yemen hanno tirato un missile mirato all’aeroporto di Riad.  L’antiaerea saudita – 4 missili  americani  Patriot manovrati da tecnici esteri – sembra sia riuscita ad intercettare il missile; ma  il fatto stesso che i ribelli   dispongano di un razzo della gittata di mille chilometri, e con cui hanno  minacciato la capitale del regno, è stato un trauma per i sauditi e certo non  ha contribuito ad innalzare la loro fiducia  in Bin Salman.

Il quale ha bisogno di denaro anche per un altro motivo:  Trump gli ha chiesto di quotare con on  IPO (offerta pubblica iniziale) la Aramco, il conglomerato petrolifero proprietà del regno saudita. Con un tweet, come al solito:

Donald J. Trump‏ @realDonaldTrump – 12:49 PM – 4 Nov 2017

Would very much appreciate Saudi Arabia doing their IPO of Aramco with the New York Stock Exchange. Important to the United States!

[…] Ultima, per ora:  Bin Salman ha  fatto anche arrestare Ahmed al-Jarba Riad Hijab, due politici siriani sunniti, ferocemente anti-Assad, su cui Ryiad aveva puntato  nel  progetto di prendere  il  controllo sulla Siria e  ristabilirci un regime wahabita amico. I due non hanno mai avuto un vero seguito in Siria, ma la casa dei Saud  li ha a lungo e generosamente finanziati come pedine dei loro progetti. Adesso, arrestati per “riciclaggio e contrabbando”.  Il loro arresto “conferma che la purga di Mohamed bin Salman mira a riorientare radicalmente le priorità  del regime saudita”,  commenta l’analista Adam Garrie.  Ma in quale direzione, non è ancora chiaro.

 

 

Fonte: maurizioblondet.it