di Luca Fumagalli

Da sx a dx: G. K. Chesterton, George Tyrrel e John Gray

Da sx a dx: G. K. Chesterton, George Tyrrell e John Gray

Se un’attitudine valorosamente apologetica era certamente condivisa da una buona fetta dell’intellighenzia cattolica inglese, la crisi modernista, all’alba del XX secolo, mise in luce quanto fosse profondamente variegato e complesso il panorama delle opinioni.

Lord John Dalberg-Acton, il barone Friedrich von Hügel e il gesuita George Tyrrell furono gli esponenti più significativi del modernismo britannico. Acton e von Hügel erano cattolici per eredità, che vissero e morirono in comunione con la Santa Sede nonostante le posizioni teologiche eterodosse; l’irlandese Tyrrell – di gran lunga il più noto e importante dei tre – venne invece scomunicato.

Eppure, nonostante la questione dell’autorità avesse da sempre rivestito un ruolo di primo piano nella letteratura cattolica in Inghilterra (soprattutto nella seconda metà dell’800), il modernismo, tutto sommato, suscitò uno scarso interesse. Ad eccezione di mons. Robert Hugh Benson, gli altri scrittori, anche quelli favorevoli alla scomunica di Tyrrell come Hilaire Belloc e G. K. Chesterton, piuttosto che alle pagine di un romanzo, preferirono affidare le proprie opinioni alle conversazioni occasionali o alle epistole.

Benson, al contrario, fece della sua opera un piccolo manifesto dell’anti-modernismo. Il tema è sviluppato sia nel romanzo utopico L’alba di tutto che nel bestseller distopico Il Padrone del mondo, dove il modernismo e lo spirito massonico sono presentati come i due pilastri su cui l’Anticristo edifica il regno della perversione.

Diversi autori mostrarono nei confronti del modernismo un atteggiamento ambivalente. Tyrrell, infatti, oltre a godere di una grande stima presso i circoli culturali dell’Impero, era una figura di gran lunga più affascinante rispetto ai modernisti francesi suoi contemporanei. Inoltre, a differenza di un Loisy, nonostante fosse stato privato dei sacramenti, non lasciò mai la Chiesa.

In tal senso è esemplare il comportamento di Wilfrid Ward, direttore del «Dublin Review», il più prestigioso periodico cattolico del tempo. Ward, figlio del grande William George, pur provenendo da una delle famiglie più famose dell’intransigentismo inglese, dimostrò una moderata simpatia per i novatori, a cui concesse ampio spazio sulla sua testata. Dopo la condanna espressa da San Pio X con l’enciclica Pascendi del 1907, Ward ritornò ubbidiente nei ranghi dell’ortodossia e si spese per mettere in guardia i fedeli dai pericoli delle false idee.

Lo stesso atteggiamento oscillante di Ward si rintraccia in uno dei romanzi più riusciti della moglie, Josephine Mary, scrittrice di successo sotto lo pseudonimo di Mrs Wilfrid Ward. Out of Due Time, pubblicato significativamente nel 1906, narra la storia di un gruppo di intellettuali impegnati in una logorante battaglia per “aggiornare” la Chiesa, con lo scopo dichiarato di ricondurre l’agnosticismo filosofico moderno nell’alveo della dottrina cattolica. La scelta di una protagonista femminile e la narrazione in prima persona testimoniano la vicinanza dell’autrice ai riformatori. Gli avversari, di contro, sono violenti, cocciuti e sottilmente vendicativi. Ma, lungi dalle facili contrapposizioni, le pagine del libro dipingono in realtà uno scenario complesso e contraddittorio; per esempio, mentre elogia i modernisti, Mrs Wilfrid Ward non può fare a meno di insistere sulla necessità di un’autorità infallibile a capo della Chiesa. Out of Due Time, al netto delle differenze, rimanda con tutta evidenza a Il Santo di Fogazzaro (1905), non a caso citato nell’epigrafe introduttiva.

Oltre ai coniugi Ward, solo un ridotto gruppo di cattolici confessò apertamente una certa attrazione nei confronti delle istanze moderniste.

Il reverendo John Gray – ex poeta decadente e amante di Oscar Wilde – era appassionato d’esegesi biblica e il nome di Loisy ricorre svariate volte nella sua corrispondenza con l’amico Marc André Raffalovich. Tutt’altro che sprovveduto, Gray era comunque consapevole dei pericoli che si nascondevano nelle nuove dottrine. Anche Raffalovich, che pure si offrì di aiutare economicamente Tyrrell quando quest’ultimo venne scomunicato, mal sopportava i modernisti.

La pubblicazione dell’enciclica Pascendi cambiò considerevolmente l’attitudine dei fedeli inglesi nei confronti del modernismo. Gli incerti ritornarono sulla retta via, ad eccezione di pochi che furono assaliti da dubbi e angosce. Tra questi vi erano Katherine Harris ed Edith Cooper, due amiche che scrissero una quarantina di romanzi sotto il nom de plume comune di Michael Field. Mai rassegnatesi alla decisione pontificia, la Harris e la Cooper stilarono alcune pagine in difesa della libertà di coscienza e del diritto al dissenso. Il loro, tuttavia, rimase un caso isolato.

Negli anni seguenti i più (persino Benson) presero a considerare il modernismo come una parentesi ormai conclusa o, per dirla secondo le parole del gesuita Cyril Martindale, «un vecchio fenomeno». Purtroppo – come è evidente dalle sciagure del tempo presente – si sbagliavano.