Avviso ai naviganti: ogni tanto la lancetta impazzisce.
di Marco Manfredini
Gli amici della NBQ ci sono ricascati, la lancetta è di nuovo impazzita[1]. Ogniqualvolta il noto strumento si avvicina ad un campo magnetico generato da questioni economiche, l’indicatore ne subisce un fuorviante influsso e non è più in grado di fornire la direzione giusta. Ma non c’è problema, la correzione fraterna continua, pur nella consapevolezza che difficilmente saranno le nostre parole a far ravvedere Cascioli & friends, per altri versi, occorre dirlo, meritevoli. Confidiamo almeno che i lettori frequentanti sia la Bussola che queste pagine abbiano la possibilità di valutare i fatti e le idee alla luce dell’autentico magistero e discernere (scusate la parola) dove stia la verità.
Qualche tempo fa, grazie a E. Michael Jones abbiamo cercato di capire un po’ più obiettivamente chi fosse tale padre Sirico, il prete liberista incensato da NBQ, e l’istituto Acton da egli fondato, scoprendo cose a dir poco interessanti.[2] Vista la recidività dei nostri, riprendiamo ora l’argomento, avvalendoci anche stavolta della traduzione di uno scritto pescato in ambito anglofono, dove l’argomento è piuttosto dibattuto. Anche questo, tratto da The distributist review [3], non lascia spazio ad equivoci: il liberismo economico, come del resto quello filosofico, non c’entra nulla con la dottrina sociale della Chiesa correttamente intesa.
Se poi gli amici in questione vorranno contattarmi, sarò lieto di fornire loro un paio di nomi in grado non solo di far funzionare senza deviazioni eterodosse lo strumento di navigazione negli impervi scenari economico-finanziari, ma anche di fornire qualche coordinata GPS per essere sicuri di mantenere la rotta giusta con un ragionevole raggio di approssimazione e un margine d’errore ridotto al minimo.
L’Acton Institute è espressione genuina della dottrina sociale cattolica?
“Is the Acton Institute a genuine expression of catholic social thought?” di Thomas Storck, 4 luglio 2011. (http://distributistreview.com/is-the-acton-institute-a-genuine-expression-of-catholic-social-thought/)
traduzione di Marco Manfredini
Lord Acton (John Emerich Edward Dalberg-Acton, 1834-1902) viene oggi ricordato soprattutto per la sua osservazione che “il potere corrompe, e un potere assoluto corrompe in modo assoluto”, ma sarebbe bene aver presente che egli, essendo stato uno dei leader del cattolicesimo liberale nel diciannovesimo secolo è un simbolo adatto a rappresentare il conflitto tra le diverse visioni della Fede che hanno afflitto la Chiesa sin dagli anni ’60.
E’ interessante quindi che Acton sia stato scelto come patrono di un istituto situato in Grand Rapids, nel Michigan, e comunemente considerato come parte del “movimento” cattolico fedele al magistero negli Stati Uniti. Ma come vedremo, il nome e il patrono dell’istituto sono stati scelti, in modo appropriato, per proseguire la tradizione del cattolicesimo liberale e persino dissenziente a cui Lord Acton stesso prese parte; perciò molti dei sostenitori dell’Acton Institute senza dubbio arrossirebbero ad esserne identificati, se sapessero esattamente chi era e cosa rappresentava questo personaggio.
Il vero volto dell’Acton Institute emerge chiaramente dalle dichiarazioni rintracciabili, adesso o in passato, sul loro sito web. Ad esempio le gentili parole su Ignaz von Döllinger (insegnante di teologia di Lord Acton), il quale lasciò la Chiesa piuttosto che accettare la definizione di infallibilità papale del Concilio Vaticano I; oppure la loro opposizione alla censura della pornografia su Internet. Ma in questo articolo mi concentrerò sul loro dissenso al magistero sociale della Chiesa cattolica. Esaminerò le affermazioni del presidente dell’Istituto, padre Robert Sirico, per vedere se possono rientrare nell’esplicito insegnamento della Chiesa.
In primo luogo dobbiamo considerare il problema alla base, di fatto alla radice del dissenso dell’Istituto Acton nei confronti della dottrina sociale cattolica, che risiede nell’accettazione senza riserve del liberalismo. Parlando di liberalismo è necessario riconoscere che questo termine, inteso come da insegnamento magisteriale, non ha lo stesso significato che troviamo nella discorso politico contemporaneo negli Stati Uniti. E’ necessario spendere qualche parola per definire esattamente cosa significa liberale, al fine di comprendere il fondamentale disaccordo tra l’Acton Institute e la dottrina cattolica.
Liberalismo, come il termine viene inteso nel magistero pontificio, certamente in Europa e in buona parte del mondo, è quel movimento della civilizzazione occidentale che sorge in opposizione all’ordine politico ed economico cristiano medioevale e alla continuazione di quell’ordine da parte dei governi europei anche dopo la fine di quell’epoca. Quei governi erano consapevoli di avere dei doveri verso Dio, compreso quello di occuparsi dei poveri e di vegliare affinché l’economia adempisse la sua funzione di fornire a tutti i cittadini i beni materiali necessari per questa vita. Certamente questi governi adempivano i loro compiti in modo non perfetto, ma nessuno di essi avrebbe negato doveri di questo tipo.
Il liberalismo a tutti gli effetti nega che lo stato o la comunità di uomini siano una creazione di Dio, o abbia doveri verso di Lui. Al massimo accetta che siano i singoli individui ad avere doveri verso di Lui. Un importante pensatore liberale come John Locke, sosteneva che la società e lo stato si originavano da un accordo tra uomini (il cosiddetto “contratto sociale”), e quindi che fosse una creazione puramente umana, e come tale, non potesse avere doveri verso Dio. Scrittori economici liberali, come Adam Smith, attaccavano l’idea secondo la quale lo stato doveva regolare l’economia nell’interesse del bene comune, postulando invece che l’economia fosse un meccanismo autoregolante, e meno interferenze aveva da parte dello stato meglio era.
La Chiesa cattolica si confrontò col liberalismo nel diciottesimo e soprattutto diciannovesimo secolo; contro questa dottrina si espresse Pio IX, e ancora più chiaramente il suo successore, Leone XIII, insegnando che lo stato in quanto tale fosse una creazione di Dio e quindi avesse esso stesso dei doveri verso Dio.
Gli uomini uniti in società non sono meno soggetti a Dio dei singoli individui, né la società ha minori doveri dei singoli verso Dio, per la cui volontà è sorta, per il cui assenso si conserva, dalla cui grazia ha ricevuto l’immenso cumulo di beni che possiede.[4]
I liberali erano ostili non solo al concetto di stato creato da Dio e soggetto alle sue leggi, ma si opponevano ad ogni sforzo del governo di intervenire nel supposto mercato autoregolante. Essi gridavano a squarciagola che tali restrizioni economiche avrebbero ritardato il progresso dell’umanità. L’attività economica non aveva più bisogno di essere regolata, visto che c’era la “mano invisibile” di Adam Smith a garantire che l’avidità e l’interesse di ognuno avrebbero portato beneficio a tutti.
Quale fu il risultato di questo nuovo approccio all’economia e al governo? Vale la pena riportare la descrizione che fece Papa Leone XIII:
Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balìa della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un’usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile.[5]
Così il liberalismo, come inteso nei documenti pontifici, con la sua influenza sull’ordine economico, indicava la strada per quello che Giovanni Paolo II ha definito “rigido capitalismo”, o “capitalismo senza briglie”, vale a dire un approccio economico da mercato completamente libero (questo ovviamente include importanti elementi di ciò che negli Stati Uniti chiamiamo conservatorismo).
Ora torniamo alle dichiarazioni dell’Acton Institute e vediamo come queste si situano nella relazione tra liberalismo e cattolicesimo.
In un articolo del numero di settembre/ottobre del 1997 di Religion & Liberty, padre Sirico scrive dell’enciclica Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, affermando che in quel documento
Due tradizioni si sono unite… l’ortodossia religiosa e il pensiero sociale liberale classico.
Il fatto che la Centesimus Annus accetti la tradizione liberale sia vero o meno lo esamineremo in seguito, ma è interessante notare che padre Sirico non sia sufficientemente audace da sostenere che la Chiesa abbia sempre accettato il libero mercato, visto che nel medesimo articolo scrive:
La Chiesa, durante certi periodi, ha criticato aspramente quella che fu costruita per essere la società libera, in parte a causa di alcuni pensatori sociali che misero insieme la teoria del liberalismo economico col libertinismo morale, considerandole come teorie che si rinforzavano reciprocamente e confluenti in un unico pensiero.
Ma ora, sostiene, grazie
al coraggio di Giovanni Paolo II e il suo sostegno a favore della società libera… non ci sentiamo più obbligati a parlare di liberalismo classico e ortodossia religiosa come appartenenti a due mondi intellettuali separati.
Così abbiamo la franca ammissione di padre Sirico di muoversi nella tradizione del pensiero liberale, e se dovessimo scoprire che la Chiesa ha sempre condannato quella tradizione, allora logicamente l’intera impresa di padre Sirico cadrebbe. Come in effetti accade, visto che i papi si sono sempre opposti alla tradizione liberale non solo vedendola come promotrice di “libertinismo morale”, ma perché portatrice di una concezione del ruolo di governo che è completamente in contrasto con quella cattolica. Il governo come tale è una creazione di Dio, e come tale ha dei doveri verso di Esso e verso chi gli è soggetto. Non può essere un semplice esecutore di contratti, ma deve avere una parte attiva nel realizzare il bene comune.
Nello stesso articolo padre Sirico esprime alcune istruttivi pensieri su Lord Acton. Parlando del conflitto tra la Chiesa cattolica e la tradizione liberale, egli afferma:
Al crescere delle tensioni nella seconda metà del diciannovesimo secolo, la fedeltà di uomini come Lord Acton fu messa a dura prova, poiché si trovarono a dover scegliere tra l’autorità spirituale e i dettami della ragione, una situazione che i tardo scolastici avrebbero visto come un grave allontanamento dall’insegnamento del loro maestro, San Tommaso.
Non solo i tardo scolastici avrebbero visto un tale uomo con allarme, ma lo stesso San Tommaso. La risposta del Dottore Angelico sarebbe stata che il povero uomo in questione non aveva ragionato bene se si è ritrovato in opposizione all’insegnamento della Chiesa. Il necessario accordo tra fede cattolica e ragione umana non significa affatto necessario accordo tra fede cattolica e ragionamento di Lord Acton. Visto che il nostro ragionare può essere erroneo, ma quello della Chiesa no, risulta chiaro quale dei due deve arrendersi. Non si tratta di denigrare la ragione, ma di sottolineare che nessun individuo è infallibile nella sua capacità di ragionare.
Prima di procedere oltre daremo un’occhiata ad alcune dichiarazioni di vari pontefici per verificare se vi sia una tradizione consolidata di condanne magisteriali del liberalismo, inclusa la tradizione liberale per quanto riguarda governi e questioni economiche. In questa selezione, che ho preso da vari documenti pontifici, mostrerò come il liberalismo, chiamato o meno in questo modo, sia stato esplicitamente definito come nemico della fede cattolica e della civiltà cristiana. Le prime due da papa Pio XI:
Quanto al potere civile, Leone XIII, superando arditamente i limiti segnati dal liberalismo, insegna coraggiosamente che esso non è puramente un guardiano dell’ordine e del diritto, ma deve adoperarsi in modo che “con tutto il complesso delle leggi e delle politiche istituzioni ordinando e amministrando lo Stato, ne risulti naturalmente la pubblica e privata prosperità”[6].
Infatti, l’enciclica Rerum Novarum ha completamente rovesciato i traballanti principi del liberalismo che hanno a lungo ostacolato un efficace intervento dei governi. Ha guidato i popoli stessi a sviluppare delle proprie politiche sociali in modo più forte e su linee migliori, incoraggiando anche i cattolici a fornire un efficace aiuto e un’assistenza agli stati le cui assemblee legislative erano non di rado i principali sostenitori della nuova politica.
A seguire, un passaggio da papa Pio XII:
E mentre lo Stato, nel secolo decimonono, per soverchio esaltamento di libertà, considerava come suo scopo esclusivo il tutelare la libertà con il diritto, Leone XIII lo ammonì essere insieme suo dovere l’applicarsi alla provvidenza sociale, curando il benessere del popolo intero e di tutti i suoi membri, particolarmente dei deboli e diseredati, con larga politica sociale e con creazione di un diritto del lavoro.[7]
La seguente è di papa Paolo VI:
Dall’altra parte si assiste a un rinnovamento dell’ideologia liberale. Questa corrente si afferma sia all’insegna dell’efficacia economica, sia come difesa dell’individuo e contro le iniziative sempre più invadenti delle organizzazioni e contro le tendenze totalitarie dei poteri politici. Certamente l’iniziativa personale deve essere mantenuta e sviluppata. Ma i cristiani che s’impegnano in questa direzione, non tendono, a loro volta, a idealizzare il liberalismo, che diventa allora un’esaltazione della libertà? Essi vorrebbero un nuovo modello, più adatto alle condizioni attuali, e facilmente dimenticano che alla sua stessa radice il liberalismo filosofico è un’affermazione erronea dell’autonomia dell’individuo nella sua attività, nelle sue motivazioni, nell’esercizio della sua libertà. Ciò significa che anche l’ideologia liberale esige da parte loro un attento discernimento.[8]
Queste dichiarazioni da sole dovrebbero bastare a dimostrare, a qualsiasi cattolico che abbia a cuore di pensare con la Chiesa, che la Chiesa si è sempre opposta al liberalismo e alla sua ristretta nozione di ruolo di governo. Ma ora prenderò alcune affermazioni specifiche dell’Acton Institute, affermazioni che rivelano l’applicazione del liberalismo in economia, in contrasto con l’insegnamento della Chiesa, incluso quello della Centesimus Annus.
Leggiamo una frase di Lord Acton, stampata sulla copertina di un volantino distribuito dall’Istituto.
La libertà è il più alto fine politico dell’uomo.
Questa asserzione è difficilmente conciliabile con l’insegnamento della tradizione cattolica. San Tommaso, ad esempio, dice che il fine della società è “di vivere secondo virtù”. E questo fatto, che sia l’individuo che l’uomo in società sono ordinati non verso la virtù, ma verso la libertà come fine ultimo, è la verità sulla quale l’intera tradizione liberale si fonda.
Libertà come più alto fine politico dell’uomo? Non giustizia, né virtù, e nemmeno bene comune? Tutto il resto viene da questo errore fondamentale, l’errore, in effetti, di Lucifero, che desiderò la libertà sopra ogni altra cosa.
La società che ritiene la libertà il suo più alto obiettivo politico, che rifiuta di salvaguardare il bene comune (eccettuate pie intenzioni) e che permette una completa libertà contrattuale, sarà nel dominio del Demonio, dei suoi adepti e apologeti.
La prossima dichiarazione di padre Sirico che vediamo è questa:
Fino a quando gli individui evitano azioni di forza o fraudolente nei reciproci rapporti d’affari, il governo deve starne alla larga.[9]
Chiunque conosca la tradizione dell’insegnamento sociale cattolico sa che questo difficilmente può essere conciliato con esso. Solo per fare qualche esempio, Leone XIII nella Rerum Novarum insegna:
Il ceto dei ricchi, forte per se stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue.[10]
E in un’affermazione che contraddice totalmente quanto afferma padre Sirico, Leone XIII respinge la teoria che un libero accordo fra datore di lavoro e lavoratore dovrebbe essere la regola negli affari economici quando egli osserva, sulla questione del giusto salario, che
[…] vi entra però sempre un elemento di giustizia naturale, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti, ed è che il quantitativo della mercede non deve essere inferiore al sostentamento dell’operaio, frugale si intende, e di retti costumi.[11]
E’ semplicemente falso dire che, esclusa violenza o frode, lo stato deve stare fuori dagli affari dei privati.
Abbiamo già visto come nella Quadragesimo Anno Pio XI dice che Leone XIII
superando con coraggio le restrizioni imposte dal liberalismo, e senza paura proclama la dottrina che il potere civile è più di un mero guardiano di legge e ordine.[12]
In altre parole, Pio XI nega esplicitamente la concezione di governo che padre Sirico sostiene, e come Leone XIII pensa ad un forte, sebbene non illimitato, ruolo per lo stato. E’ vero che i papi sono stati attenti a non invocare una soluzione statalista dei problemi socio economici, ma dovrebbe essere chiaro che auspicavano un ruolo attivo dei governi, pur entro certi limiti.
In ogni caso, questi limiti non sono quelli che padre Sirico vorrebbe imporre allo stato. Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus chiarisce di nuovo che lo stato ha un ruolo più ampio di mera applicazione di leggi contro frode e costrizione:
È compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l’ambiente naturale e l’ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato. Come ai tempi del vecchio capitalismo lo Stato aveva il dovere di difendere i diritti fondamentali del lavoro, così ora col nuovo capitalismo esso e l’intera società hanno il dovere di difendere i beni collettivi che, tra l’altro, costituiscono la cornice al cui interno soltanto è possibile per ciascuno conseguire legittimamente i suoi fini individuali.[13]
E immediatamente prosegue:
Si ritrova qui un nuovo limite del mercato: ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non possono essere soddisfatti mediante i suoi meccanismi; ci sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica.[14]
Altre affermazioni nella medesima enciclica suonano altrettanto in contrasto con la posizione di padre Sirico. La seguente è una di quelle che Sirico e pensatori a lui affini utilizzano spesso:
Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni.[15]
Ma il pontefice immediatamente aggiunge:
Ciò, tuttavia, vale solo per quei bisogni che sono «solvibili», che dispongono di un potere d’acquisto, e per quelle risorse che sono «vendibili», in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato. È stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano. È, inoltre, necessario che questi uomini bisognosi siano aiutati ad acquisire le conoscenze, ad entrare nel circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro attitudini per valorizzare al meglio capacità e risorse. Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le son proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità.[16]
Una prudenza simile sul libero mercato possiamo trovarla nella seguente affermazione di Giovanni Paolo II, in un discorso sul tipo di società verso cui dovremmo tendere:
Essa [una tale società] non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società.[17]
Queste parole dovrebbero essere sufficienti a chiunque per capire che padre Sirico e l’insegnamento cattolico non sono conciliabili; padre Sirico non ammetterebbe mai che il mercato necessita di controllo, in ultima istanza, da parte dello stato.
L’apparente plausibilità delle posizioni di padre Sirico derivano dal fatto che egli contrasta il libero mercato solamente opponendovi altri mali come lo statalismo, il socialismo e il comunismo. Molta gente pensa che il capitalismo o qualche forma di socialismo siano le sole opzioni disponibili per quanto riguarda i sistemi economici. Difficilmente c’è consapevolezza che i sistemi economici auspicati dai pontefici non sono né quelli socialisti né quelli del libero mercato capitalista, e se qualcuno dovesse parlare di distributismo o solidarismo, probabilmente si sentirebbe rispondere che non esistendo, e forse non essendo mai esistite, queste opzioni non meritano di essere prese seriamente. Il che ha tanto senso quanto dire che siccome non c’è mai stata una società nella quale la castità venisse interamente osservata, non dovremmo occuparci di promuovere la castità nella nostra società. Né possiamo ignorare quest’altro pensiero di Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus:
E’ inaccettabile l’affermazione che la sconfitta del cosiddetto «socialismo reale» lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione economica.[18] (“socialismo reale” significa, ovviamente, socialismo o comunismo marxista).
Vorrei anche far notare come padre Sirico e i suoi colleghi travisino le opinioni di altri nello sforzo di promuovere il liberalismo classico. Per esempio, nel loro sito hanno una sezione titolata In the Liberal Tradition, nella quale ospitano vari pensatori che essi affermano essere liberali. Diamo un’occhiata ad un paio di essi.
San Tommaso d’Aquino: viene presentato come un liberale citando alcune delle sue parole in favore della proprietà privata. Con questo metodo assurdo potrebbero arruolare tra i loro anche Chesterton e Belloc, entrambi aspramente critici nei confronti del capitalismo, ma robusti difensori della proprietà privata. In ogni caso, padre Sirico dovrebbe sapere che la difesa della proprietà privata (cosa che io stesso sostengo) in nessun modo può arruolare d’ufficio nelle file del liberalismo classico; semplicemente indica che uno non è comunista.
Altrettanto ridicolo è tirare dalla propria parte C.S. Lewis, a quanto sembra sulla base di commenti favorevoli che egli ha fatto sulla democrazia e contro un governo dai poteri illimitati. Ignorando le seguenti parole di Lewis tratte da Il cristianesimo così com’è:
Nondimeno il Nuovo Testamento ci dà, senza entrare nei dettagli, un’idea abbastanza chiara di come sarebbe una società pienamente cristiana. Forse ci dà più di quanto possiamo prendere. Ci dice che non devono esserci pesi morti e parassiti: chi non lavora, non mangi. Ognuno lavori con le proprie mani, e soprattutto il lavoro di ognuno produca qualcosa di buono: niente fabbriche di stolidi oggetti di lusso, niente pubblicità ancora più stolida per indurci a comprarli. E nessuna ostentazione né boria, nessun darsi delle arie. A questa stregua, una società cristiana sarebbe, diremmo oggi “di sinistra”.[19]
E nel paragrafo successivo, sempre in merito a questa società, dice:
Troveremmo che la sua vita economica ha un’impronta spiccatamente socialistica, e in questo senso è “avanzata”; ma che la sua vita familiare e il suo codice di comportamento sono piuttosto antiquati, forse addirittura troppo formali e aristocratici.[20]
Sembra che questa parte del pensiero di Lewis sia stata opportunamente trascurata.
E tutto fuorché chiaro come padre Sirico e altri cattolici libertari possano giustificare il loro tentativo di conciliare la tradizione cattolica col liberalismo classico. Credono veramente che la dottrina sociale della Chiesa e la tradizione possa cambiare così facilmente da rendere obsoleti secoli di magistero pontificio? Sono essi veramente ignari di tali notevoli pensatori cattolici del ventesimo secolo che rivolsero la loro attenzione a questioni economiche, come G.K. Chesterton, Hilaire Belloc, Christopher Dawson e molti altri, furono critici del capitalismo?
Non so rispondere a queste domande. Ma ciò che posso dire è che la promozione del liberalismo da parte dell’Acton Institute non è qualcosa che possa essere abbracciata da un cattolico fedele all’ortodossia. Sirico, come Acton e Döllinger, non sono guide sicure, piuttosto persone dissenzienti dalla pienezza della fede, guide cieche che condurranno certamente i loro seguaci in una fossa. Per favore Signore, fa che non sia quella senza fondo.
[1] Articolo incriminato: http://www.lanuovabq.it/it/sirico-il-mercato-a-difesa-della-dignita-della-persona
[2] Articolo incriminato precedente: http://www.lanuovabq.it/it/una-via-cattolica-a-difesa-del-mercato-parla-sirico
Contestazione all’articolo: http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&view=article&id=332086:economia-cattolica-strangolata-unaltra-volta&catid=83:free&Itemid=100021
[3] http://distributistreview.com/
[4]Leone XIII, Enciclica Immortale Dei, 1 novembre 1885
[5]Enciclica Rerum Novarum, 15 maggio 1891.
[6]Enciclica Quadragesimo Anno, 15 maggio 1931.
[7]Pio XII, Radiomessaggio ai lavoratori, Pentecoste 1941, nel 50° anniversario della Rerum Novarum.
[8]Paolo VI, Octogesima Adenines, 14 maggio 1971, nell’80° anniversario della Rerum Novarum.
[9]Acton notes, gennaio 1998.
[10]Enciclica Rerum Novarum, 15 maggio 1891.
[11]Ibidem.
[12]Enciclica Quadragesimo Anno, 15 maggio 1931.
[13]Enciclica Centesimus Annus
[14]Ibidem.
[15]Ibidem.
[16]Ibidem.
[17]Ibidem.
[18]Ibidem.
[19]Mere christianity, C.S. Lewis.
[20]Ibidem.