di Luca Fumagalli
Un’America devastata da un cataclisma: grigia, spoglia e fredda. Un padre e un figlio sulla strada, verso sud, alla ricerca di un posto migliore in cui abitare. Intorno la desolazione di una terra morta dove, come loro, pochi sopravvissuti tentano di andare avanti procurandosi cibo, esplorando case abbandonate ed evitando i predoni e i cannibali. I colori sono assenti tranne nelle rievocazioni del padre che racconta al figlio squarci della sua infanzia felice, quando con loro c’era ancora la madre e tanta voglia di vivere. Infatti il vero nemico per i protagonisti, più che i malintenzionati che incontreranno lungo il loro cammino, sarà la disperazione, ovvero quella tentazione costante di abbandonare ogni desiderio per consegnarsi il più rapidamente possibile a una morte che, col passare dei giorni, appare inevitabile.
Trasponendo le visioni distopiche dell’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, il regista di The Road (2009), John Hillcoat, isola la relazione padre-figlio per descrivere con grande cura l’amore incondizionato dei due, che resistono ai guasti della solitudine e ai morsi della fame. Esattamente come ne Il Signore delle mosche, il contesto post-apocalittico appare più che altro come un pretesto per analizzare il dramma umano che è messo in scena, il vero focus della pellicola.
Viggo Mortensen è un padre premuroso e dolce che cresce con l’esempio un figlio – l’ottimo Kodi Smit-McPhee – costretto dalle circostanze a diventare adulto un po’ troppo in fretta. Poche le figure di contorno, splendidi Charlize Theron, Robert Duvall e Guy Pearce che con le loro fugaci apparizioni danno ulteriore spessore a un trama lenta ma coinvolgente, una parabola del bene che trionfa e di come la famiglia, in tempi tanto orribili, costituisca davvero l’ultimo baluardo della civiltà.