trump madman

 

di Guido Rampoldi 

 

I critici di Donald Trump appartengono a due scuole di pensiero. Quelli di scuola ottimista attribuiscono al presidente americano un procedere erratico, casuale, ispirato da vanagloria o da un tornaconto personale, mai da una strategia coerente; sicché Trump sarebbe, politicamente parlando, un babbeo. Invece la scuola pessimista teme che il babbeo abbia un piano.

Annunciando il futuro trasloco dell’ambasciata americana a Gerusalemme Trump pare aver dato ragione ai primi. Il presidente avrebbe compiuto quella scelta “insensata” (così il Financial Times) per assolvere l’impegno preso con i due gruppi di pressione determinanti nella sua elezione, la destra fondamentalista Evangelical e l’ultradestra ebraica. Avrebbe agito solo per una mediocre convenienza personale: se davvero volesse imporre una sua soluzione al conflitto arabo-israeliano, si argomenta, non avrebbe vanificato mesi di colloqui con i palestinesi per un annuncio che smaschera la non-equidistanza tra le parti dell’amministrazione Usa. Eppure potrebbe esserci del metodo in tanta inettitudine.

Il colpo di scena trumpiano infatti è coerente con altre e più discrete iniziative con le quali il presidente ha contribuito a dinamiche che stanno cambiando il Medio Oriente: il protagonismo saudita contro Iran, Yemen, Qatar e Fratelli musulmani; l’isolamento di Hamas; il nuovo canone dell’islam “moderato”, una singolare sovrapposizione di repressione sempre più feroce e aperture sul terreno della morale pubblica; l’allineamento tra Israele e i regimi che guidano la Restaurazione post-primavere arabe (in sostanza Egitto e petro-monarchie).

Va da sé che per allestire il nuovo Medio Oriente trumpiano occorre innanzitutto risolvere il conflitto arabo-israeliano. E risolverlo, per Trump e per la sua corte significa far accettare ai palestinesi la sconfitta. Così il presidente ha incaricato isuoi negoziatori di sondare l’Autorità nazionale palestinese (Anp), pressatacontemporaneamente da Egitto e sauditi. Quando è stato chiaro che l’Anp recalcitrava, Trump ha rovesciato il tavolo applicando la sua versione della Madman Theory, la tecnica del dar di matto.

La inaugurò Nixon apartire dal 1971 per costringere i vietamiti a un armistizio. KissingerfecesapereadHanoi cheil presidente era un tipaccio imprevedibile, irragionevole, capace di tutto. Hanoi non fu molto impressionata e il fiasco di Nixon fu di lezione ai presidenti successivi. Ma non a Trump. Che pare aver ripristinato la Madman Theory prima con le minacce raggelanti scambiate con il dittatore nordcoreano, e adesso, se di questo si tratta, con l’annuncio provocatorio sul trasloco dell’ambasciata in Israele.

Come da copione i palestinesi hanno promesso fuoco e fiamme. Ma i sondaggi che da tempo rincuorano i politologi vicini al governo israeliano (per esempio Daniel Pipes) li danno per stremati, depressi, rassegnati: quanti altri lutti, quant’altra sofferenza potranno sopportare? Il calcolo di Netanyahu, e probabilmente anche di Trump, è che una nuova intifada, la terza in trent’anni, li sfiancherà definitivamente. Esaurite le capacità di resistenza nello scontro impari con la macchina militare israeliana, accetteranno la pace alle condizioni di Trump-Netanyahu. A firmare la capitolazione sarà Mohammed Dahlan, l’uomo che sauditi ed egiziani hanno piazzato allo scopo nel vertice dell’Anp.

Verosimile? Per quanto siano demoralizzati i palestinesi non sembrano disposti a rinunciare a Gerusalemme est e al 61% del West Bank, il prezzo della resa, in cambio di un’entità statuale con centro di gravità a Gaza. Sono deboli, ma meno deboli di quanto fossero prima che la provocazione di Trump riportasse la loro causa in cima all’agenda di nazionalismi arabi e islamismi, mettesse in difficoltà i regimi alleati di Israele e aprisse in Medio Oriente altri spazi a Teheran, Ankara e Mosca. Morale: applicata incautamente la Madman Theory può rovesciarsi facilmente nella Moron Theory, la tecnica del babbeo.

 

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano, ediz. cartacea di lunedì 11 dicembre