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Nota di Radio Spada: pubblichiamo l’introduzione de “La religion de combat” dell’ Abbè Joseph Lèmann nella traduzione che ci dona l’amico professor Paolo d’Onofrio, operoso studioso cattolico: possa essere di sprone ai nostri lettori per quest’anno di battaglie che inizia con rinnovata fatica e lena guizzante. (a cura di Piergiorgio Seveso)

                                                                                                           Certa bonum certamen

                                                                                               (Combatti la buona battaglia)

                                                                                                           S.Paolo a Timoteo

 

Parigi, Librairie Victor Lecroff, Rue Bonaparte 90, 1891.

 

27 gennaio 1891

Imprimatur, J.A. Cardinal Foulon, Arcivescovo.

Un’apologia del cattolicesimo sotto una forma un po’ bellicosa non dispiacerà al pubblico. I tempi la richiedono. Religione di preghiera, di perdono, di pace, di fraternità, il cattolicesimo è anche religione della lotta. Questo nome non è una novità. La Chiesa sulla terra non è forse chiamata militante? Essa è il campo militare del Signore degli eserciti. Essa combatte gli errori, i vizi, l’orgoglio, la barbarie. Ordina a tutti i suoi figli di fare come lei. Primo, di trasportare, nel loro foro interno, la lotta contro le passioni. Poi di aiutarla, in tutti i luoghi, nella sua dolora ma superba lotta. Leone XIII, come generalissimo del Re del Cielo, lo ricordava ieri: La Chiesa, società perfetta, molto più grande di qualsiasi altra società, ha ricevuto dal suo Artefice il mandato di combattere per la salvezza del genere umano, come un’armata ordinata in battaglia..Alla sua guardia le sono state affidate la difesa dell’onore di Dio e la salvezza degli uomini…..i cristiani sono nati per la lotta.[1]

La religione della lotta non è dunque cosa nuova; ma mettere in rilievo questi aspetti sarebbe una nuova maniera di presentare l’apologia della religione. Non nova, sed nove. Noi l’abbiamo sperimentato. Ci è parso di trovare l’ incoraggiamento a regalare questo rilievo alla grande combattente in una lezione venuta dal cielo in tempi che richiamano i nostri. Cominciava la persecuzione contro i cristiani, per durare tre secoli. Il diacono Stefano era stato citato davanti al Sinedrio. I membri di questo Gran Consiglio avevano ascoltato con rabbia, e digrignando i denti, il più bel riassunto che sia mai stato fatto del popolo d’Israele come preparatore del Cristo. Alla perorazione, Stefano, pieno di Spirito Santo, esclamò: “Vedo i cieli aperti e il Figlio dell’Uomo che è in piedi alla destra di Dio![2]” I suoi uditori, induriti, lo lapidarono. Ma il santo diacono ebbe il tempo di contemplare e di annunciare alla Chiesa di Dio questo spettacolo, fortificante per essa: il Figlio dell’Uomo, prima disprezzato, d’ora in poi circondato della potenza divina, nella maestà divina, è in piedi! “Era in piedi, dice san Gregorio il Grande, perché restare in piedi è l’attitudine propria a un combattente e a chi porta soccorso”. Ecco quale fu (e resta!) l’attitudine del Cristo, nel pericolo della sua Chiesa. Ecco qual è attualmente, in unione con il suo Capo invisibile, l’attitudine della Chiesa nel pericolo della civiltà e della società. La civiltà e la società sono minacciate, e la Chiesa è in piedi! Parimenti in piedi devono essere i figli della Chiesa! Celebrando questa attitudine sotto la bella denominazione dei figli della luce, l’apologeta renderà dunque un servizio. La Religione dei figli della luce è, con loro, in ginocchio per pregare, seduta per insegnare e in piedi per combattere!

[1] Citazione tratta dall’Enciclica di Leone XIII Sapientiae Cristianae del 1890.

[2] Atti degli Apostoli, VII,53