di Luca Fumagalli
Los Angeles. Lo scienziato Peyton Westlake sta sperimentando un modello innovativo di pelle sintetica. Nel momento in cui arriva a scoprire che il materiale è sensibile alla luce ma resistente in condizioni di oscurità, irrompono nel laboratorio il gangster Durant e i suoi uomini per recuperare un documento segreto rinvenuto dalla fidanzata di Peyton, Julie, legale di una delle più importanti imprese edilizie della città. La banda fa esplodere il laboratorio e Peyton viene dato per morto. Ridotto a un corpo sfigurato e ustionato, vittima di crisi isteriche, lo scienziato è pronto a diventare, suo malgrado, uno spietato vendicatore senza volto: è nato Darkman.
Sam Raimi, nel 1990 giovane cineasta reduce dal successo de La casa e La casa 2, decide di sperimentare le possibilità grafico-espressive del cinema horror in una storia, basata sull’opposizione tra bene e male, che ricorda da vicino il mondo del fumetto. Il suo “supereroe” – interpretato da un ottimo Liam Neeson – è uno scienziato la cui componente razionale si sposa con il carattere romantico e tormentato del fantasma dell’Opera. Non mancano inoltre tematiche preminenti come il doppio, la paura della deformità, l’amore per l’oscurità, la bella e la bestia, il carattere irreversibile di un’azione malvagia.
Darkman, oltre a vantare una sceneggiatura convincente e attori del calibro di Frances McDormand, Colin Friels, Larry Drake e Jessie Lawrence Ferguson, si eleva oltre la media degli attuali “cinecomics” per la profondità psicologica dei protagonisti, perennemente in lotta con se stessi, in bilico tra infamia e redenzione. Eliminato il classico “supereroe” perfetto, Raimi consegna allo spettatore un film semplice ma convincente, che, tra l’altro, non cerca il lieto fine a tutti i costi. Anzi, le sorprese e i colpi di scena non si faranno attendere.
Da evitare, invece, i due seguiti (non girati da Raimi), decisamente mediocri.