di Ilaria Pisa
Su Linkedin, il social network più conformista di tutti, tra i miei contatti giuristi sono molti a manifestare composta soddisfazione per la richiesta di assoluzione formulata dai PM nel processo milanese a carico di Marco Cappato, imputato (coattivamente, grazie al sussulto di un GIP) di aiuto al suicidio di Dj Fabo.
Eppure, le condotte di Cappato (accompagnamento e assistenza) realizzano in pieno il dettato normativo dell’art. 580 c.p., che punisce (oltre a un eventuale istigatore) anche chiunque agevoli “in qualsiasi modo l’esecuzione” del proposito suicidiario. Lo può capire anche un profano, digiuno di diritto.
Ma i PM opinano diversamente, e possono farlo perché il sistema giuridico odierno è positivista, quindi non vale più il principio di realtà aristotelico-tomista, ma la mera convenzione intorno al significato delle parole. “Agevolare” allora è una pura etichetta, che posso arbitrariamente riempire del contenuto che più mi piace o che più mi conviene: anche se, nella realtà fattuale, Cappato ha reso più facile il suicidio di Antoniani, la sua condotta non deve essere catalogata come “agevolazione”, perché non conviene agli obiettivi attuali del Manovratore. I PM, dal canto loro, giustificano questa capriola con alcune supercazzole pseudogiuridiche, confermandoci nella imbarazzante sensazione che l’unico argomento vero sia la “volontà di potenza” dell’individuo, l’urlo prometeico-luciferino, pregiuridico e agiuridico.
Avrebbero tutti fatto una miglior figura a dire “il fatto non sussiste perché sì, punto”.
Si è già visto un simile percorso di arbitrario rimaneggiamento semantico: nel concetto di “famiglia”, o nel contrabbando di idratazione e alimentazione come “cure”, frutto della recente ennesima porcheria legislativa (DAT). Storture? No, si tratta del coerente evolversi della scienza giuridica illuminista (prima) e liberale (poi): il giudice deve essere “bouche de la loi”, ma la legge è espressione di ciò che la collettività pensa nel suo auto-organizzarsi, o crede di pensare per effetto della propaganda di efficaci piazzisti (ciò che ho chiamato “il Manovratore”). In ultima analisi, quindi, “la loi c’est moi”. E’ la giungla, però in giacca e cravatta e con periodici “ludi cartacei”.
La tentata abrogazione, in via giurisprudenziale, di una delle norme più significative del nostro codice è espressione formale di questa realtà sostanziale, per la quale non abbiamo neppure bisogno di scomodare Overton: ovunque, anche tra i sedicenti cattolici, il senso della sofferenza come incorporazione alla Croce di Cristo è totalmente smarrito. Resta però il fatto che la prova è un crogiuolo da cui alcuni escono santificati e altri condannati, e l’esito non è scontato. Questa l’amara verità!
Ma la gerarchia modernista borbotta perlopiù parole di circostanza, stile Fabio Volo, e anche se si risvegliasse dal coma profondo non ha più, oramai, mordente alcuno sulle coscienze. (Pianga se stessa: l’ha ceduto tutto al mondo, barattandolo con l’illusoria e vuota sensazione di essere “al passo coi tempi”.)
Nello stucchevole parlarsi addosso, tra politici, lobbysti e grancassa sociale, su “autodeterminazione”, “dignità”, “pietà”, proprio la dignità è la grande assente. L’ha perduta la vittima disperata, carnefice di se stessa nel farsi burattino su un palcoscenico politico montato da altri. L’ha perduta Cappato, che secondo tradizione massonica sfrutta con opportunismo mascherato da filantropia le altrui tragedie, per affermare la propria agenda. L’hanno perduta i popolani plaudenti, disperati carnefici anch’essi, drogati dall’illusione che si possa decidere come vivere, come ammalarsi, come morire. L’hanno perduta i magistrati, anch’essi ridotti a tragiche maschere di teatro, il cui unico ruolo è amplificare la voce del Manovratore retrostante.
Il senso di schifo può soltanto crescere quando apprendiamo che uno dei Pubblici Ministeri ha letto in aula un passo di Utopia, in cui Tommaso Moro sosterrebbe la liceità di un “suicidio assistito” deciso dalla mano pubblica per malati inguaribili e troppo sofferenti. Peccato che Utopia – stando a chi l’ha studiata davvero, non a chi ci è inciampato in biblioteca – non fosse il pamphlet politico di un radicale ante litteram, ma l’evasione letteraria di un politico che per tutta la vita ha difeso la primazia papale, l’ortodossia cattolica e l’indissolubilità del Sacramento del Matrimonio di fronte alle intemerate protestanti e alla superbia di un re. Certo, fa più comodo dimenticare questi dettagli, e piegare la storia di un luminoso martirio ad usum delphinii: «Moro fu giustiziato per le sue idee, ma cinquecento anni dopo la Chiesa lo ha canonizzato come martire. Non vorrei – ha concluso il pm con una battuta – che oggi condannassimo Cappato per poi vederlo santificato tra cinque secoli» [fonte: La Stampa].
Quanto a me, invece, non vorrei essere nei panni della magistrata, quando dovrà rendere conto di queste sghignazzate blasfeme ad un giudice ben più esigente delle nostre Corti d’Assise.
.In margine all’amarissimo e puntualissio commento di Ilaria, vorrei solo richiamare, partendo anche dal caso in questione, tutta l’inconciliabilità della pratica democratica ( democrazia moderna) con la coscienza cristiana, proprio per la pretesa di questa pratica di stabilire il dominio dell’uomo sulla morale: appunto, la “loi c’est moi”, “ dio sono io”.
Ma che conquista! Ci crediamo onnipotenti, e non c’è più nulla che si tenga insieme…. Se ognuno deve essere quello che si sente di essere- perché ognuno è quello che è ed è un dovere corrispondersi (‘morale’ dal ’68) – non è per niente strano che dalle aule dei tribunali, escano le assoluzioni per tutte le follie comportamentali ….per ciascuna di queste una giustificazione pronta, e per ciascuna di queste un’alternativa nel ‘reinserimento’ sociale- tutte, ad eccezioni di quelle che, a lor giudizio, disturbano i Manovratori…