Benedizione del fuoco di sant’Antonio (Orotelli, Nuoro)

Benedizione del fuoco di sant’Antonio (Orotelli, Nuoro)

 

di Giuliano Zoroddu

 

Il 17 gennaio, dall’Oriente all’Occidente, è sacro alla memoria di sant’Antonio Abate.

La vicenda di questo Patriarca del deserto inizia quando, rimasto orfano ancora adolescente e con una sorella a carico, ascolta in chiesa le parole del Vangelo: «Se vuoi essere perfetto, va’ e vendi quanto hai, e dallo ai poveri» (Matth. XIX, 21). Come se in quel momento il Signore le rivolgesse a lui, il giovanotto vendette ogni suo possesso e, provveduto al mantenimento della sorella in un monastero femminile, si ritirò nel deserto a condurre sulla terra un genere di vita celeste. Qui divenne padre e maestro di molti altri monaci, nonché sostegno per i Martiri durante la persecuzione di Massimino Daia e conforto per i Confessori della Fede Cattolica al tempo in cui Ario devastava con la sua eresia la vigna del Signore. Dopo ottantasette anni di lotta col demonio e di intima vita con Dio, Antonio spirò la bell’anima a centocinque anni d’età, il 17 febbraio 356.

La sua vita, scritta da sant’Atanasio (che ebbe modo di frequentarlo), diventò ben presto un best seller in tutta la Cristianità, anche grazie agli spostamenti continui che il santo Vescovo d’Alessandria dovette sopportare a motivo della persecuzione di cui lo facevano oggetto gli Ariano in odio alla fede cattolica.

Ma la diffusione massima del culto e della devozione verso sant’Antonio abate la si ebbe a partire dall’XI secolo in concomitanza con la diffusione del morbo dell’Herpes zoster detto anche “fuoco sacro” e noto ai più come “fuoco di sant’Antonio”, che i Canonici Ospedalieri Antoniani usavano curare con balsami prodotti col grasso dei maiali – un maialino sempre accompagna il Santo nell’iconografia – le cui carni servivano inoltre per sostentare gli infermi.

Su questa base storica si svilupparono lungo i secoli le varie tradizioni dei popoli cristiani, fra le quali quelle dei fuochi che vengono accesi il 16 gennaio, ai primi vespri di sant’Antonio. Chi scrive è sardo e ben consoce quest’usanza, diffusa anche altrove (si pensi alla imponente  Fòcara di Novoli, in provincia di Lecce).

Dice la leggenda, insegnata ad ogni bimbo, che essendo ancora la terra tutta ghiacciata a causa della mancanza del fuoco, sant’Antonio, pieno d’amore per gli uomini decise di discendere all’Inferno per strappare al Diavolo quest’elemento. Riuscito con l’astuzia e con l’aiuto del fido porcellino a nascondere dentro una canna di ferula una scintilla del fuoco infernale, fece ritorno sulla terra. Quindi il Santo agitò il bastone dicendo: «Focu focu, peri su locu, peri su mundu, focu iucundu» (Fuoco, fuoco, in ogni luogo, in tutto il mondo, fuoco giocondo) e così i mortali ebbero il fuoco. Un sant’Antonio prometeico insomma. Per questo motivo è una costante di tutta l’Isola, seppur nelle differenti declinazioni locali, innalzare in onore del Santo – invocato appunto come “Sant’Antoni ‘e su fogu” (sant’Antonio del fuoco) – dei falò attorno ai quali si accende oltre alla sentita devozione verso il Taumaturgo, la gioviale fraternità: al cibo spirituale per l’anima segue quello materiale per il corpo. Il Cattolicesimo Romano dopotutto non è una religione spiritualista, gnostica, ma la religione del Verbo Incarnato, del Dio che salva l’uomo nell’anima e nel corpo. E sempre per lo stesso motivo Iddio, che per la salvezza del genere umano si degnò assumere la natura umana e un vero corpo di carne, si serve anche della materia per porgere la grazia ai suoi fedeli, la materia – il fuoco, i carboni che ne rimangono, i pani, i dolci – benedetta e purgata da eventuali presenze diaboliche funge quasi da sacramentale per fugare il diavolo che come leone ruggente cerca costantemente di farci soccombere. Ma per evitare le fiamme dell’Inferno non bastano i sacramentali o gli oggetti benedetti! Lo stesso Santo ce lo ricorda: «Credete a me, fratelli – diceva – Satana teme le pie veglie, le preghiere, i digiuni, la povertà volontaria, la misericordia e l’umiltà, massimamente poi l’amore ardente a Cristo Signore, al cui solo segno della santissima Croce fugge spossato» (Lectio VI ad Matutinum).  Invochiamo quindi sant’Antonio perché ci scampi dalle malattie, dal fuoco e dagli altri mali, ma ancor di più perché ci assista nell’evitare il fuoco eterno con una vita santa. Perciò vogliamo concludere con una strofa dei gosos (lodi) cantati in onore del Santo nel paese di chi scrive:

 

Ca sedes de grande fama
Contra su focu infernale,
In custa vida mortale
Contra su focu Bos giamant
Dogni babbu e dogni mama
Ca sedes miraculosu.
De sos dimonios turmentu
Sant’Antoni gloriosu!

 

Traduzione: Poiché grande è la vostra fama
Contro il fuoco infernale,
In questa vita mortale
Vi invoca contro il fuoco
Ogni padre e ogni madre
Poiché siete miracoloso.
Dei demoni tormento,
sant’Antonio glorioso!