citazione a cura di Luca Fumagalli

Termina con questo brano il nostro viaggio tra le pagine migliori de “Il trionfo del re”, romanzo storico del 1905 a firma di mons. R. H. Benson.

Christopher, il protagonista del libro, da qualche giorno a Overfield, ospite presso la villa familiare, è raggiunto dalla notizia della morte di Thomas More, avvenuta il 6 luglio 1535. La vicenda è narrata da un valletto che ha assistito all’esecuzione. La famiglia Torridon, riunita nella sala, ascolta il drammatico racconto con il cuore pieno d’angoscia. More accetta il martirio con il solito buonumore, una serenità che gli deriva dalla consapevolezza di morire per Cristo, l’unico re che saprà premiarlo secondo giustizia.

Thomas More dà l’addio alla figlia Margaret (
Edward Matthew Ward, XIX sec.)

«Come erano le parole?»

«Non me ne ricordo bene, ma erano secondo il suo solito umore: ‘Conducetemi su voi, signor Luogotenente; a venir giù ci penserò io!’ Così raggiunse il palco e batté due o tre volte i piedi allegramente sull’assito per vedere se era sicuro. Poi tenne un discorso e invitò tutti i presenti a pregare per lui. Disse loro che moriva per la fede della Chiesa cattolica, come il vescovo di Rochester[1]». «Avete saputo che il capo del suppliziato è stato portato ad Anna Bolena?» interruppe impetuosamente Nicholas[2].

Sir James alzò lo sguardo: «L’apprendiamo soltanto ora».

L’uomo proseguì.

«Quindi Sir More si inginocchiò per recitare le preghiere e tutta la gente stava in silenzio. Non c’era uno che alzasse la voce contro di lui. Poi si rialzò, si tolse il vestito, scoprendo in tal modo il collo su cui passò, sorridendo, una mano. Poi disse al carnefice che il suo collo era corto e gli ordinò di farsi animo e di colpire giusto, altrimenti il suo buon nome ne andava di mezzo: quindi si stese al suolo e pose il collo sul ceppo; ma prima di dare il segno si mosse di nuovo e tirò fuori la barba da sopra il ceppo mettendola davanti; durante la prigionia era cresciuta alquanto».

«Vogliamo le parole», gridò Nicholas incollerito.

«Disse che la sua barba non aveva consumato alcun tradimento e perciò non doveva essere suppliziata con lui. Poi allungò la mano per il segnale e un colpo deciso pose fine a tutto».

«Maledetti!» sibilò tra i denti Nicholas come una specie di amen al racconto, voltandosi rapidamente verso il focolare in modo che la sua faccia non potesse essere vista. Ci fu silenzio assoluto per alcuni secondi.

Il valletto, impassibile, teneva gli occhi bassi; poi riprese a parlare.

«Quanto alla testa del vescovo di Rochester dicono che sia stata portata alla… alla regina in un sacco bianco e che essa l’abbia colpita sulla bocca».

Nicholas lasciò cadere il suo capo sulla mano appoggiata al legno che adornava il focolare.

«E il corpo denudato rimase tutto il giorno sul palco con gli alabardieri che brindavano intorno; al sopraggiungere della notte fu rovesciato in una buca, nel cortile della chiesa di Barking».

«Per ordine di chi?»

«Di Sir Cromwell».

Ci fu di nuovo silenzio, interrotto però subito dal valletto. «Si dicevano ancora altre cose…» Si fermò esitante.

Il vecchio gli fece segno di continuare. «Dicono che la testa del monsignore risplendesse come una luce, ogni notte sul ponte», aggiunse l’uomo con riverenza; «nei pressi c’era una grande calca tutto il giorno, cosicché le vie adiacenti erano sempre bloccate e nessuno poteva andare o venire. E così alla fine, gettarono la testa nel fiume; almeno così si crede – poiché non c’era più quando io andai per vederla».

Nicholas si volse: i suoi occhi luccicavano e il volto era adirato e pallido.

Sir James si alzò e parlò con voce rotta:

«Grazie, brav’uomo. Avete raccontato bene la vicenda». Mentre il valletto faceva per andarsene, il signor Nicholas si girò rapidamente dalla parte del focolare, nascondendosi nel braccio la faccia, e Christopher vide che profondi sospiri gli sollevavano le larghe spalle.

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[1] John Fisher fu condannato a morte il 22 giugno 1535, pochi giorni prima di More. Entrambi furono canonizzati da Pio XI il 19 maggio 1935.

[2] Nicholas Maxwell, marito di Mary Torridon, sorella di Christopher e Ralph.