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Già il fatto che un rabbino faccia parte della Pontificia Accademia per la Vita è francamente incomprensibile. Figuriamoci quando il medesimo giustifica, sulla base delle Scritture (quali?), l’aborto in caso di stupro, o di severe disabilità del nascituro. Traduzione, con adattamenti, dell’articolo inglese originale. [RS]

Fishel Szlajen, in un articolo “prolife” pubblicato sul sito spagnolo InfoBae, condanna l’aborto “on demand”, ma in compenso fa un distinguo sulla base delle Scritture: in un solo caso la Bibbia autorizzerebbe l’aborto, ossia quando la vita del concepito mette inesorabilmente a repentaglio quella di sua madre. In tal caso, è la vita della madre ad avere la priorità.

Szlajen fonda questa interpretazione sulla legge giudaica del rodef, una sorta di “soccorso difensivo” che consente di uccidere qualcuno che stia minacciando la vita altrui. Curioso che i presupposti del rodef siano allora rintracciati in casi di anencefalia fetale, di patologie degenerative irreversibili e di malattie terminali che sicuramente faranno morire il concepito, visti come tzorech gadol (grave necessità) che giustificherebbe l’aborto. Analogamente dicasi per una donna violentata, per la quale la gravidanza comporterebbe un grave pericolo psicofisico.

 

 

 

Il rodef è stato oggetto di dibattito dottrinale nel mondo giudaico; da alcuni è stato impiegato per giustificare l’omicidio di politici o di cittadini pericolosi per lo Stato di Israele (v. Yigal Amir, che uccise Yitzhak Rabin a motivo degli accordi di Oslo con l’Autorità palestinese).

Del resto, Szlajen non è l’unico alla PAV ad essere possibilista sul tema aborto: prima ancora del suo arrivo, Nigel Biggar giustificava l’aborto prima delle 18 settimane, adducendo come motivazione il non chiaro status del feto, e il rabbino Avraham Steinberg negava la qualifica di persona umana al feto prima dei 40 giorni, e una qualifica “parziale” superati i 40.

 

 

 

Fonte: catholicherald.co.uk