a cura di Luca Fumagalli

Continua il nostro viaggio tra le pagine migliori de “La tragedia della regina”, romanzo storico del 1906 a firma di mons. R. H. Benson.

La regina Maria Tudor si trova nella spinosa situazione di dover decidere della condanna a morte di Thomas Cranmer, arcivescovo di Canterbury sotto Enrico VIII ed Edoardo VI. L’uomo è colpevole di aver contribuito alla diffusione della Riforma in Inghilterra, elaborando tra l’altro le basi della liturgia anglicana. Cranmer è descritto come un pavido, disposto a tutto pur di salvarsi. La sua condanna a morte, però, lo trasformerà in un martire della resistenza anticattolica: meglio sarebbe stato tenerlo in vita, vittima della sua stessa nullità.

Lady Magdalene Dacre[1] sedeva, intenta al ricamo, nella piccola stanza che dava sulla camera della regina, a Greenwich, con la sua bella faccia seria china sopra il telaio di legno, da cui sbucava fuori un giglio, per metà riempito di seta gialla e per metà solo un profilo di colore rosso. Il freddo sole primaverile entrava da sud-est e gettava losanghe di colore e di luce pallida sulla paglia appiattita intorno alla sua sedia.

Lavorava con grande decisione, tirando forte il filo e distendendolo con le sue bianche dita, ma stava pensando ad altro.

Stava lì da oltre un’ora, sin da quando era giunto il messaggero da Oxford e la regina se n’era andata da sola con le carte tra le mani, dicendo che non doveva essere disturbata finché non avesse dato il segnale.

Da allora non era venuto il minimo suono dalla stanza interna tranne, una volta, quello dell’aprirsi e del richiudersi di un’altra porta; mezz’ora dopo, si era udito di nuovo lo stesso suono. Magdalene sapeva cosa ciò significava: era la regina che andava e veniva a pregare in privato nella cappelletta sotto il corridoio.

Sapeva anche su cosa fosse attesa la decisione della regina. Mistress Dormer aveva fatto una capatina per dirle in un sussurro cosa si mormorava al piano di sotto: cera il destino di Master Cranmer da decidere. Era stato degradato poco più di un mese prima: uno dopo l’altro i suoi poteri gli erano stati tolti, nei simboli dei paramenti di canapa che gli erano stati strappati dalle spalle. Da allora era crollato completamente; aveva firmato mezza dozzina di ritrattazioni, una più abietta dell’altra; aveva confessato la sua eresia; si era comparato al ladrone pentito, si era totalmente sottomesso senza riserva al giudizio di Santa Romana Chiesa in ogni questione di fede e di morale, e aveva scongiurato pietà dalla donna nelle cui mani si trovavano la vita e la morte e che lui aveva offeso ripetutamente, dall’infanzia sino all’incoronazione, con ogni mezzo in suo potere. Nei primi anni aveva detto che sua madre era una concubina e che lei era una bastarda; aveva insultato la sua fede così come la sua nascita; aveva giurato di sostenere la religione che già nel momento stesso del giuramento aveva intenzione di sovvertire; aveva complottato contro la successione della regina; aveva ripudiato il Santo Sacrificio per l’offerta del quale era stato ordinato, cosa che lei considerava l’atto più sacro che si potesse fare sulla terra; aveva tradito l’ampia fiducia che gli era stata accordata alla sua consacrazione dietro le più solenni promesse – e ora, dopo lutto questo, marciva in prigione, un vecchio a pezzi, in agonia alla prospettiva della morte che lui stesso aveva inflitto ad altri per crimini quasi identici ai suoi, e firmava tutto quel che gli veniva messo davanti, ritrattando tutte le opinioni che gli avevano dato prosperità e implorando pietà dalla donna che odiava e di cui diffidava, e che aveva dichiarato non riconoscere come regina.

***

Magdalene non poteva avere dubbi su quale decisione sarebbe stata presa; conosceva troppo bene quale fosse il pensiero dei consiglieri che erano andati e venuti nell’ultimo mese; anche se la regina aveva voluto mostrare clemenza, era impossibile per lei affrontare un simile peso di opinioni.

La sua mente si ritirava però dal pensiero con orrore. Era una tale pietosa immagine di umiliazione e miseria; non ci poteva essere sottomissione più abietta; inoltre, pensava, non c’era alcuna lezione più salutare che la vista di Master Cranmer che trascorreva lentamente i pochi anni che gli rimanevano sulla terra, vivo, perché non valeva la pena di ucciderlo, e libero, perché non valeva la spesa tenerlo in prigione – una lezione pratica sulla futilità dell’ambizione e dell’eresia e sulla misericordia dei ministri di Dio. Sarebbe stato certamente meglio dell’aura di coraggio che il rogo gli avrebbe conferito. Inoltre lui era sempre stato gentile e cortese, salvo quando era stato necessario mostrare zelo per la sua nuova religione; aveva ricevuto tutte le virtù domestiche – era stato sposato due volte e si diceva fosse stato un buon marito per la donna che definiva sua moglie; in effetti era stato un timido e tranquillo uomo studioso per tutta la vita, del tutto incapace di misurarsi con i suoi doveri pubblici o di fronteggiare il feroce padrone che serviva. La stessa debolezza di carattere che ora lo spingeva a firmare le sue numerose ritrattazioni l’aveva portato alla situazione in cui firmare era una necessità.

[1] Magdalen Dacre (1538-1608), nobildonna inglese, è stata per qualche tempo dama di compagnia di Maria.

(brano tratto da: La tragedia della regina, Fede & Cultura, 2015)