a cura di Luca Fumagalli

Termina con questo brano il nostro viaggio tra le pagine migliori de “La tragedia della regina”, romanzo storico del 1906 a firma di mons. R. H. Benson.

Maria Tudor, la regina inglese, sta per morire. Con lei rimangono in pochi. Gli altri, quasi tutti, sono già accorsi da Elisabetta a giurare fedeltà alla futura sovrana. Nel momento della solitudine, quando davanti ai suoi occhi scorrono le immagini di numerosi fallimenti, Maria riscopre Dio come unica consolazione. Non le rimane che consegnare fiduciosamente a Lui la sua sconfitta.

Non sapeva quanto tempo fosse passato quando sentì di nuovo una voce, ma risalì dalle nere profondità alla penombra, e vide una mano davanti al suo volto, con sopra un grande anello, e qualcosa di bianco tra le dita. C’era anche una voce d’uomo che parlava, ma non riusciva a capire cosa dicesse.

La mano avanzò veloce e si posò, e sul disco bianco lei vide una croce in rilievo.

Le sue labbra si aprirono, e i suoi occhi si chiusero. Poi si richiusero anche le labbra, e lei rimase lì, sentendo che qualcosa le si scioglieva sulla lingua e sforzandosi di capire cosa fosse.

Era di nuovo consapevole del suo corpo ora, dei suoi fianchi malconci, del suo petto sfiorito; e attraverso ogni fibra di esso venne dolcezza. Era in quella cosa orribile e distorta che era venuto il Corpo del Signore; era quell’anima pietosa che era stata così tanto sporcata dai guai, e lacerata da desideri e passioni, confusa, percossa, disprezzata, che la tormentata Anima senza macchia, la terribile Divinità del Dio che lei aveva tentato di servire così inefficacemente, si era degnata di visitare.

«Jesu! Jesu!» esclamò, «esto mihi Jesu![1] Ho fallito, dolce Gesù, ma Tu no».

La penombra tornò a sciogliersi in dolce oscurità, e l’oscurità in nero.

Poi qualcuno la toccò; si accorse che una mano le era passata sul volto, premendole le palpebre e le labbra, e una voce aveva mormorato da una distanza infinita dicendo parole che non riusciva a sentire.

I piedi le divennero freddi, e li sollevò per metà prima di capire. Poi li distese verso la mano consacrata.

Quando la voce ebbe finito, lei sapeva tutto. Tutto ciò che poteva esser fatto era stato fatto. Doveva solo aspettare adesso, passiva e piena di aspettative per la chiamata che non poteva farsi attendere a lungo.

Si sentiva perfettamente appagata e senza timore. Che c’era da temere? Aveva fallito, lo sapeva bene, in tutto ciò a cui aveva messo mano. Ma questi non erano affari suoi ora, perché non aveva fallito di sua volontà. C’era solo una cosa che le si richiedeva ora, di starsene tranquilla senza peccare in pensieri o parole. Doveva andare dal suo giudice in innocenza.

***

«O Signore Jesu! Che sei salute di tutti gli uomini viventi, e la vita eterna di quelli che muoiono nella fede, io, povera peccatrice, consegno me stessa e mi sottometto totalmente alla tua santa volontà…»

Che cosa stava leggendo questa voce? Beh, lo sapeva benissimo; era Jane, ed era la preghiera che lei le aveva detto di leggere quando sarebbe giunta la fine.

«…Ora lascio questa fragile e perversa carne, nella speranza della risurrezione, che me la ridarà in migliore forma… Vedo e so che non c’è in me nessuna speranza di salvezza, ma tutta la mia fiducia, speranza e confidenza è nella tua bontà misericordiosa. Non ho meriti né buone opere da poter recare davanti a Te…»

Questo era davvero abbastanza, Dio lo sapeva; non aveva altro che fallimenti da presentare – Filippo, l’Inghilterra, Elisabetta, Calais[2]; aveva fallito persino in ciò in cui riescono i peggiori peccatori – addirittura nell’ottenere amore e confidenza da quelli che la conoscevano meglio, […] nessuno la amava. C’erano uno o due altri che forse l’amavano – l’anziana donna che stava piangendo ora dall’altra parte del letto; la ragazza la cui voce era scossa dai singhiozzi mentre leggeva; anche forse quei due strani gentiluomini, che non era mai stata capace di comprendere. Master Kearsley[3] e Master Manton. Ma poteva forse portare questo davanti al suo Dio?

«… Ora, misericordiosissimo Salvatore, fai che mi siano di profitto queste cose che Tu mi hai liberamente dato. Tu che ti sei dato per me…»

Anche questo era vero. Anche Lui era sembrato un fallito… Presso la Croce di Gesù stava Maria sua madre, e Maria, la madre di Filippo; – oh, non Filippo; come andò? Ma non c’erano giù di tre o quattro persone; gli altri l’avevano dimenticato ed erano scappati.

«… Quando la morte avrà portato via l’uso della mia lingua e della parola, allora che possa il mio cuore esclamare a Te, In manus tuas Domine»[4].

La pesantezza mortale stava tornando, ronzando e ruggendo. Non riusciva a sentire né a capire. Allora era così che veniva la morte? Il vago luccichio verde si stava affievolendo; un orribile malessere prese il suo corpo; il sudore le colò dal viso e dalle mani.

Ah! Ma questo fu un sollievo. Avrebbe dormito di nuovo ora. Avrebbe ripetuto a se stessa quelle ultime parole. Non era ancora la morte, dopotutto.

«Domine Jesuaccipe spiritum meum. Amen»[5].

Così andava meglio. Avrebbe dormito un po’.

 

(Brano tratto da: R. H. BENSON, La tragedia della regina, Verona, Fede & Cultura, 2015)

[1] «Stammi vicino Gesù!».

[2] Calais, ultimo avamposto inglese in terra di Francia dopo la Guerra dei cent’anni, fu riconquistato dai francesi nel 1558.

[3] Dick Kearsley è un anziano gentiluomo della regina, brusco ma leale, spesso impiegato per importanti missioni.

[4] «Nelle tue mani o Signore». È una citazione delle ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce (Lc 23, 46).

[5] «Signore Gesù accogli il mio spirito».