di Luca Fumagalli
Sono passati oltre dieci anni dalla prima stagione di Boris, serie Tv made in Italy che, in poco tempo, è diventata un fenomeno di culto soprattutto presso gli spettatori più giovani. Il dietro le quinte del mondo televisivo del Bel paese, rappresentato con ironia e sarcasmo, diventa in Boris una sorta di cartina tornasole del profondo malessere di una nazione tutta corruzione, raccomandazioni e inciuci. Il grandissimo share che ha la soap opera “Gli occhi del cuore”, paccottiglia indigeribile mal recitata e mal girata, sta lì, come un monumento, a testimoniare il fallimento culturale di un popolo.
Dopo tre stagioni, chiuse nel 2010, il 2011 è stato l’anno di uscita del film Boris, per la regia di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo.
Sulla falsariga della serie, lo spettatore si ritrova ancora una volta ad avere a che fare con René Ferretti (interpretato da uno strepitoso Francesco Pannofino) e la sua sgangherata troupe. Questa volta, però, il regista romano, per anni costretto a fare tanta brutta televisione, non ci sta più. Ora vuole fare il grande passo: girare il suo primo film. Per fortuna gli capita tra le mani una buona sceneggiatura, tratta dal libro bestseller “La Casta”, e anche la rete televisiva sembra interessata a finanziare il progetto. Con nuovi e blasonati collaboratori René è pronto a partire; ma, come prevedibile, le cose sin da subito non andranno per il verso giusto.
Il salto di Boris dal piccolo al grande schermo, da un pubblico di nicchia al grande pubblico, è singolarmente felice. La pellicola, con la sua delicatezza, con il suo umorismo fine, non annoia, intrattiene e invita lo spettatore, col sorriso sulle labbra, a confrontarsi con l’implacabilità di un sistema tanto marcio quanto impossibile da scalfire. Il cast di grande livello – che comprende, tra l’altro, Caterina Guzzanti, Luca Amorosino, Valerio Aprea, Ninni Bruschetta, Paolo Calabresi e Antonio Catania – è un valore aggiunto che dona profondità e spessore alla trama.
Boris si congeda quindi dal suo pubblico con un film cinico e godibile, che dice tutto quello che deve dire senza alcuna ipocrisia. Un finale da amaro in bocca regala allo spettatore la fastidiosa sensazione di essere finito in una trappola da cui è impossibile uscire: cinema e televisione, con il loro sottobosco di raccomandazioni politiche e incompetenza, sono infatti lo specchio fedele di un Paese sull’orlo del baratro.