joker batman

 

di Isacco Tacconi

 

Siamo entrati nel Tempo di Passione, l’ultima e decisiva fase della liberazione dell’uomo, il rendiconto finale. Nell’ombra i suoi nemici contano il compenso per la loro congiura. I sicari estraggono i loro lunghi coltelli, digrignano i denti, bruciano interiormente d’odio implacabile finché non lo avranno cancellato dalla faccia della terra. I loro occhi di tenebra senza pupille spuntano su un viso velato dal pallore della morte riflettendo un rosso baluginio, come rubini già bagnati del suo sangue.

Il prescelto avanza come in un “grande rito” cui pure l’universo partecipa in una drammatica liturgia cosmica. Si sottopone alle abluzioni prescritte, deve attraversare l’acqua e il fuoco prima di salire il patibolo per immergersi infine nello stagno della morte.

Ma questa volta il simbolo che vorrei suggerire per penetrare meglio nel cuore della Redenzione è piuttosto inusuale. A prima vista in effetti sembrerebbe quasi sacrilego accostare un personaggio come Batman all’immagine del Dio vivo e vero. Ma abbiate pazienza e ne scorgerete una sorprendente analogia.

“Alla morte di un uomo si rivelano le sue opere. Prima della fine non chiamare nessuno beato: un uomo si conosce veramente alla fine”. (Sir 11 27-28).

Ma cosa può fare l’uomo carnalizzato, ridotto allo stato cannibalico e mefistofelico dinanzi all’esperienza più forte della vita umana, quell’esperienza drammatica e inquietante che è la morte? “In principio era l’azione!” dice il Faust di Goethe. Agire senza scopo, agire e basta. Il primato della prassi sulla contemplazione, dell’azione sulla preghiera, dell’immanente sul trascendente. Questa è l’unica risposta che una civiltà senza senso sa e può opporre al mistero dell’essere e del non essere. Ma un tale pervertimento metafisico si erge follemente contro la retta ragione la quale ci mostra che ogni cosa si muove e agisce in vista di un fine.

La risposta quindi è facile, l’uomo carnale occulta la morte, la ostracizza, la nasconde alla vista e alla considerazione degli uomini e delle donne affinché si dimentichino che dovranno morire, presto o tardi. L’unico modo di vivere all’interno di questo dettame è agire come un animale privo d’intelletto che non è autocosciente né si può interrogare sul perché del proprio esistere.

Nella trilogia cinematografica del regista Christopher Nolan il protagonista è un uomo chiamato Bruce Wayne che liberamente sceglie di consacrarsi al servizio del bene e dei deboli indossando una maschera. Questo occultamento d’identità ha lo scopo da una parte di terrorizzare i suoi nemici per strappare al loro potere “coloro che vivono nelle tenebre e nell’ombra della morte”, e dall’altra di divenire un simbolo che raduni gli uomini di buona volontà sotto un unico vessillo in una guerra di liberazione contro le forze del male.

Tuttavia dal vuoto abisso del nulla appare improvviso e sinuoso un nemico, un diabolico giullare, beffardo e sfuggente, uno spettro astuto e irrefrenabile. Suo scopo, dice lui stesso, è contendersi con Batman «l’anima di Gotham», vale a dire la città degli uomini. Il bene e il male si affrontano dunque per la conquista delle anime. Joker in effetti si presenta chiaramente come la personificazione del diavolo che dichiara: “Io agisco e basta. Non c’è scopo… la follia è come la forza di gravità: basta una piccola spinta”. Questo è il suo intento, innescare la follia nell’uomo e quando questi si lascia sedurre dal piacere del non senso finisce per perdere non solo il perché del morire ma, con esso, il perché del vivere. In tal modo egli rinuncia alla propria libertà chiudendosi irrimediabilmente alla possibilità di ricevere la verità e la salvezza. Mentre la Scrittura rivolgendosi al Cielo dice “insegnami a contare i miei giorni…”.

Contare i giorni, il tempo. Il tempo che non possediamo ma nel quale siamo immersi e che misura le nostre azioni, buone o cattive. “Vanità – dice l’Imitazione di Cristo – è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene. Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d’ora al futuro. Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura eterna gioia”.

Eppure quando la morte ci viene a visitare sbugiarda il nostro nulla, la nostra vacuità, la nostra evanescente esistenza che non è necessaria alla vita del mondo e dell’universo. Essa ha il potere di svelare la contingenza del nostro essere, la relatività e la subordinazione del nostro esistere rispetto all’Assoluto che sfugge completamente alla nostra limitata comprensione.

Tutti moriamo, dunque, ma si muore in molti modi diversi. “Se vivremo così anche noi, – insegna Sant’Antonio – come se ogni giorno dovessimo morire, non peccheremo. Questo significa che ogni giorno, quando ci svegliamo, dobbiamo pensare che non arriveremo fino a sera, e di nuovo, al momento di coricarci, dobbiamo pensare che non ci sveglieremo più. La nostra vita è incerta per natura ed è misurata giorno per giorno dalla Provvidenza”.  (Sant’Atanasio – Vita di Antonio).

La trilogia del “Cavaliere Oscuro” pensata in ogni suo dettaglio dal genio cinematografico di Christopher Nolan è un grande affresco sull’irriducibile dignità dell’atto libero e incondizionato dell’uomo dinanzi al bene e al male. Non c’è neutralità, non c’è “laicità” possibile dinanzi all’opzione di Dio.

Joker dice: «L’unico modo sensato di vivere, è vivere senza regole». E non è un caso che Aleister Crowley, considerato il più famoso esoterista e satanista moderno, proclamò solennemente “Fai ciò che vuoi sarà tutta la Legge”. Questa è l’unica norma dell’uomo finalmente illuminato da Lucifero ed emancipato da Dio.

Tuttavia ciò che avvicina in maniera sorprendente la figura del Batman di Nolan all’immagine del Giusto sofferente è il fatto che anche questa sentinella notturna della città degli uomini dopo aver consacrato la sua vita al servizio dei deboli si vede ripagato con il male e il disprezzo, la sua generosità gratuita ricambiata con una violenta ingratitudine.

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2Cor 5,21). Questo è il destino dell’unico innocente che sia venuto al mondo, questo è il destino di tutti coloro che ne seguono le orme: obbrobrio, persecuzione, calunnie, odio e, dopo tutto questo, la morte.

La Grande Settimana si avvicina. Il cuore agonizzante del cristianesimo sta per svelarsi dinanzi a noi: il mistero della passione e morte del Giusto. Egli ci indica la Via, l’unica via attraverso la quale si giunge alla vita e alla resurrezione: la morte.

Il cristiano, come un cavaliere ignoto, è colui che si allena ogni giorno alla morte, che contempla il Crocifisso per potersi conformare all’immagine di Lui. Il cristiano non è colui che vive ottimisticamente come “un risorto” ma “portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2Cor 4,10). La tentazione di trasformare l’annuncio del Vangelo in una promessa di consolazione, tranquillità e pace in questa vita è sempre dietro l’angolo, ma questa come insegna sapientemente l’esorcista padre Francois Dermine o.p. è la caratteristica delle sètte che le distingue radicalmente dalle grandi religioni.

La religione infatti non promette di risolvere i nostri problemi ma ne svela la causa e ci permette di offrirli a Dio come giusta espiazione. Il vero culto che si rivolge a Dio perciò conduce ed “educe” l’uomo attraverso la via dell’umiltà: “Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (1Pt 2,21). La resurrezione è il premio e il termine, non la via.

L’idea di una “nuova evangelizzazione” basata sul Cristo risorto e glorioso corrisponde all’antico e mai scomparso errore che condusse i Giudei a rifiutare l’immagine di un Messia crocifisso e sofferente: la Croce non ha smesso né mai cesserà di essere uno “scandalo”.

Pertanto da che cosa capiamo che Dio ci ama? Dal fatto che è risorto? No di certo. La risurrezione in un certo senso è una conseguenza scontata perché non era possibile che l’Autore della vita rimanesse prigioniero della morte. Invece la notizia davvero straordinaria, inaudita e sconvolgente non è che un dio possa risorgere ma che Dio abbia voluto morire.

Dalla domenica di Passione fino al Venerdì Santo la Chiesa canterà l’inno del Vexilla regis in cui i cristiani proclamano che Dio, il Re dei re della terra, regna dalla croce («Regnavit a ligno Deus»).

Perciò in cosa ci è manifesto l’amore di Dio per noi se non nel fatto che Egli è morto per noi? Non per nulla i Santi meditavano non sulla Resurrezione di Gesù ma sulla sua dolorosa Passione. Ora è chiaro che non c’è opposizione tra l’una e l’altra ma la resurrezione futura che ci attende è un’opera che compete a Dio solo, non è nelle nostre mani. Mentre seguirlo sulle orme del nostro calvario quotidiano portando la nostra croce è propriamente ciò che compete all’uomo: è la nostra parte da recitare in questo dramma.

In effetti il distintivo del vero Cristo che ci permette di riconoscerlo dal falso Cristo sono i segni dei chiodi, come testimonia quel noto aneddoto della vita di San Martino:

“Un giorno infatti – scrive Sulpicio Severo – preceduto ed egli stesso circonfuso da una luce splendente, per trarlo più facilmente in inganno con la luminosità dell’assunto fulgore, ed anche vestito d’un abito regale, cinto da un diadema di gemme d’oro, con coturni dorati, sereno l’aspetto, lieto in volto (così che tutto poteva esser giudicato fuorché il diavolo), apparve a Martino in preghiera nella sua cella. E poiché Martino al suo primo apparire rimase stupefatto, a lungo mantennero ambedue un profondo silenzio. Allora il diavolo, per primo: «Sappi, o Martino, chi scorgi: io sono il Cristo; apprestandomi a discendere in terra, prima ho voluto manifestarmi a te». A tali parole, poiché Martino continuava a tacere e non dava alcuna risposta, il diavolo osò iterare la sua sfrontata dichiarazione: «Martino, perché dubiti? Credi, poiché vedi! Io sono il Cristo». Allora Martino, alla rivelazione dello Spirito, concessagli affinché comprendesse trattarsi del diavolo e non del Signore, disse: «Non profetizzò il Signore Gesù che sarebbe venuto vestito di porpora né con un diadema splendente; io non crederò che è venuto Cristo, se non in quell’abito e sembianza in cui soffrì la passione, e se non porta chiaramente i segni della croce». A queste parole quegli svanì come fumo”[1].

Ma torniamo ora per un momento al Cavaliere Oscuro poiché la sua vicenda si riannoda invisibilmente all’esempio di San Martino.

Disprezzato e odiato da coloro cui ha fatto del bene, Batman di fronte al ricatto di Joker sembra soccombere sotto la propria umana debolezza. Schiacciato dalla forza del peccato decide di andarsi a costituire e dice: «Nessuno morirà più a causa mia». Questa è la più estenuante tentazione che questo Cavaliere deve subire. Questa è la tentazione di chiunque lavora e lotta perché il bene vinca in questo mondo: soccombere al peso dei propri e altrui peccati rinunciando al combattimento spirituale per adagiarsi finalmente in una vita più comoda, “normale”, senza sacrifici.

Tuttavia il prezzo per chi sceglie di arrendersi dinanzi al male non è la pace e la tranquillità ma il tormento di coscienza, la consapevolezza che potevamo fare di più, la consapevolezza che se non ci fossimo arresi il male non avrebbe prevalso. La verità infatti è che non si può combattere il male senza che ci siano dei caduti. Non è possibile cioè essere dei “cavalieri” senza sapere in anticipo ed accettare il fatto che in battaglia si muore. La vita infatti non è degna di essere vissuta se non siamo disposti a perderla per un bene più grande, come la giustizia, la verità e il bene.

E tu, cristiano? tu che sei stato segnato nel battesimo con il nome del Figlio di Dio, saresti disposto tu a dare la vita per ciò in cui credi? Saresti disposto a rinunciare a tutto ciò che possiedi? Saresti disposto a morire per Colui che per te morì affinché io e te avessimo la vita?

Tienimi per scusato… – risponde uno alla chiamata esigente del Crocifisso – ho una parrocchia che mi è stata affidata, non posso rinunciarvi”. “Tienimi per scusato… – dice un altro – ho moglie e figli, ho molto da perdere”. “Tienimi per scusato…nella mia posizione potrei fare tanto del bene, non puoi chiedermi questo, ti prego, tienimi per scusato…”. “Ti rendi conto Signore – chiede un altro esterrefatto e quasi disgustato – cosa mi stai chiedendo? Perderei tutto ciò che possiedo, il frutto del lavoro di una vita! No no, non puoi chiedermi questo, tienimi per scusato…”.

Di fronte al male e al chaos, di fronte ad un “mondo spietato”, dinanzi all’apostasia della fede che non ha risparmiato né i pastori né le pecore il cristiano quale possibilità ha? È ancora libero di scegliere il bene? È ancora possibile credere?

La domanda che nessuno di noi può eludere in fondo è questa: Anche se tutto intorno a te ti spingesse a compiere il male voltando le spalle all’aspra via della fede quando ne hai intuito la verità, anche se tutti intorno a te pervertissero la loro condotta, anche se tutti tradissero e disertassero tu sei ancora in grado di agire bene o male? Presto o tardi dovremmo rispondere a questa domanda.

Nel frattempo Joker, il giullare del diavolo, confonde le menti, mette gli uni contro gli altri, spinge gli uomini al male. È lui stesso a confessarlo quando dice: «Io sono un agente del caos… Se inserisci un po’ di anarchia tra la gente tutto diviene caos». Di fatti è Joker a suggerire ad Harvey Dent che i veri malvagi sono coloro che si sforzano di fare il bene: ipocriti! Nessuno può fare il bene! L’unica soluzione è unirsi al caos perché secondo Joker «il caos è equo».

Vinto dalla disperazione Dent cede alla tentazione dell’iniquo beffardo e nel colmo della sua perversione rivolgendosi a Batman dichiara: «Pensavi che potessimo essere persone per bene in questi tempi in cui tutto è male, ma ti sbagliavi! Il mondo è spietato e l’unica moralità in un mondo spietato è il caso, imparziale, senza pregiudizi, equo». In fondo la convinzione che emerge in tutti coloro che si lasciano sopraffare dal male è che “non è possibile fare il bene in questo mondo di malvagità! Perciò bisogna unirsi al male”. In questo modo danno ragione a Joker, cioè al diavolo, quando dice: «L’unico modo sensato di vivere, è vivere senza regole», il che equivale a dire che il bene e il male non esistono.

La tragica vicenda di Harvey Dent, colui che era considerato il “Paladino di Gotham”, ci insegna che anche l’uomo più puro e retto se non sta attento ai mezzi che sceglie per inseguire il bene può tramutarsi nel peggior criminale e diventare “Harvey due facce”. «Ho preso il paladino di Gotham – dice Joker – e ne ho fatto un agente del male…la follia è come la forza di gravità: basta una piccola spinta».

Ciò significa che per difendere il bene bisogna essere disposti a sacrificare tutto, la propria vita, i propri affetti. Nel film Batman pur di non venire meno alla vocazione di combattere il male perde la donna che amava, oltre alla propria libertà, la propria reputazione, finendo per prendere su di sé la colpa della morte di Harvey Dent.

Batman sceglie di prendere su di sé tutto il male del mondo, in questo ricorda il sacrificio del Cristo. La colpa di Harvey Dent ricade su di lui, anche se è l’unico vero innocente, e questo per il solo fatto che «lui può sopportarlo. Perché lui non è un eroe, è un guardiano silenzioso che vigila su Gotham, un Cavaliere Oscuro».

Si può dire che, in un certo senso, Cristo è il nostro “Cavaliere Oscuro”, silenzioso e invisibile. Non si aspetta gratitudine ed applausi ma ingiurie e persecuzioni, e nel momento in cui per salvarci ci chiama ad andare a morire con Lui, ad unirci a Lui nella Croce subisce la nostra rivolta ingrata che ci spinge fino a chiedere la Sua di morte.

«Batman deve costituirsi!» gridano i cittadini di Gotham avvinti dalla paura della morte. Non importa se quell’eroe li ha salvati, li ha protetti ed ha dato la sua vita per difenderli, l’amor proprio supera l’amor di Dio: meglio che sia lui a morire che loro. In fondo è “meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11,49-50). Non importa se è venuto per salvarci dalla dannazione, non importa se ci ha mostrato la via del bene, questa strada è troppo dura per noi. Non importa se è stato proprio Lui a liberarmi dai pericoli e mi ha fatto grazia, se questa liberazione richiede da me che debba morire per Lui che sia Crocifisso! Tale è il destino del Giusto, l’unico Innocente.

Abbassando i suoi occhi contratti dal dolore, volgendo il suo sguardo su noi dalla Croce il Cristo dice a te, o Cristiano: «Tu mi darai la caccia, mi condannerai, mi sguinzaglierai dietro i cani. Perché è quello che deve succedere…».

Tuttavia questo intrepido comandante non cessa di aggirarsi nella notte oscura del mondo, vegliando e cercando instancabilmente “una persona intelligente che cerchi Dio” (Sal 53,2), qualcuno che ami il bene e pratichi la giustizia.

Ma ricordati, o cristiano, che “noi predichiamo Cristo crocifisso scandalo per i Giudei, stoltezza per i Pagani” (1Cor 1,23). La Chiesa non ti offre la gloria ma la Croce. Non ti presenta un salvatore trionfante ma un reietto, un “abominio” perseguitato e messo a morte perché era buono. Non un eroe dunque ma un fallito. Perciò, quando i nuovi predicatori si presenteranno a te con il volto ammantato di irenica consolazione offrendoti una nuova immagine del Cristo, un cristo glorioso, trionfante, offerente gioia e serenità a buon mercato tu, “Cristiano, guardali bene in faccia, in silenzio come Martino, e chiedi loro di mostrare il segno dei chiodi[2].


[1] Vita Martini, XXIV; ed. it., pp. 59-61.
[2] J. H. Newman, La Chiesa dei Padri, Jaca Book, Milano 2005, p. 208.