Nota di Radio Spada: per l’angolo della poesia inedita pubblichiamo questa poesia del nostro collaboratore Mattia Spaggiari che idealmente risponde a “Ode to the west wind” di Percy Bysshe Shelley. Tra due giorni, nella festa di San Tommaso d’Aquino (7 marzo 2018), sarà pubblicato il ricco apparato critico di questa poesia curato dall’autore.
Sorger ti vidi co’ raggi pietosi
che di Pasargade l’aureo giaciglio
su gl’albicanti deserti scabrosi
fan scintillar di sì vano smeriglio;
e coll’aurora che speme mendace
rosea bisbiglia sul roscido ciglio
a l’orgogliosa colonna che tace
qual gramo lutto dirotta fa Petra;
quelle le spiche cui arida face
fosti, e fûr quelle le schiere ch’a l’etra
vile e protervo vocasti del Nilo
– flotta famelica –, d’empia faretra
giaccion gli strali in quell’onda ch’asilo
celere fêsti al fatidico stilo.
Scioglier ti vidi in sul lido lavinio
candide nevi al Libeccio indurate
e consolar col sovran vaticinio
– sante di lagrime – zolle sacrate
non al trojano ma a Sposo divino;
tu di tra Scilla e le Sirti infocate
forte pugnasti col Noto meschino
e cogl’indomiti tori di Scizia:
solo a stornar da l’approdo latino
l’esuli prore ch’armata giustizia
sparger dovean su l’armate contrade?
o per disciôrre in deriva propizia
blandi que’ lacci che, scarche le biade,
Creta di Paolo opponea a la pietade?
Sveller ti vidi ne’ gorghi d’abisso
gl’ermi dirupi di Calpe rimota:
tutto era ‘l mare da’ vortici scisso,
pesto era ‘l ciel da la fumida rota
de la procella ch’in cocchio sferzando
turba di nebbie adunava divota.
Né le Bilance quell’aere nefando
placano a l’angiol che l’arce difende,
mentre tu avventi l’aguzzo tuo brando
contro al nimico ch’a guerra l’incende:
son navi tirie, son navi cilicie,
son de’ rubelli le stolide tende:
disperazion rubiconda l’illice
avido al labaro di Meretrice.
Tu che umiliasti tiranni potenti
che confondesti – in delirio ghermiti –
tumidi serti su scettri cruenti,
misericorde se’ ultor! Ché anco a’ miti
prodigo tanto di lagrime? Il crine
ergersi orrendo di Giobbe a gl’incliti
palpiti io sento; a le piaghe supine
che su la vigna divelta a vibrare
gracile ‘l corvo trafigge le brine.
Nel plenilunio or mi prostro a le rare
larve trionfanti d’Elia in su le crode:
quivi son l’orme de’ santi, qui l’are:
ove di buccine l’alta melode?
Chi più t’onora? Nessuno più t’ode?
T’ode ‘l mio core! S’ei più non rattiene
che la speranza nel grido tuo fioco,
fa’ traboccar ne l’attorte sue vene
cipri col nardo, l’incenso col croco!
Già del tuo servo la chioma scompigli,
già l’incoroni di rorido foco,
già tu del cielo fra’ fulgidi gigli
l’erta gl’additi ch’in porto n’adduce:
schiude la Destra, discioglie i cordigli
de la Sua clamide ‘l provido Duce;
scelto corsiere al Campion d’Israele
corri tra’ dardi ch’in subita luce
scernon la pula – silenzio Gabriele
t’intima innante a la Sposa fedele.
GUDAFRIÞUS SKYÞUS
(edizione a cura di Piergiorgio Seveso)
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