citazione a cura di Luca Fumagalli
Termina con questo brano il nostro viaggio tra le pagine migliori de “I necromanti”, romanzo del 1909 scritto da mons. Robert Hugh Benson e dedicato ai pericoli per l’anima connessi allo spiritismo e alle pratiche magiche.
Laurie è tornato a casa il giorno prima di Pasqua. Il suo aspetto è paurosamente mutato mostrando le tracce di quella possessione demoniaca che solo Cathcart aveva avuto il coraggio di denunciare. Durante la notte, Maggie, sola can lui, deve combattere una faticosa e terribile battaglia per allontanare il male dall’anima dell’amato fratello.
Per il primo istante lei rimase lì in piedi, immobile; era una specie di dichiarazione di guerra. In una o due delle sue frammentarie prove, di sopra, aveva previsto di dire qualcosa di convenzionale per cominciare. Ma la realtà spazzò via le convenzioni dal novero delle strade percorribili. La sua pausa silenziosa là era significativa come l’acquattarsi di un cane da caccia; e lei sapeva che sarebbe stata riconosciuta come tale dall’altro che stava lì. C’era in lui quel rapido, muto allarmarsi che lei si era aspettata: metà insolente, metà timido, come di una belva feroce che aspetta un colpo.
Avanzò quindi con un passo in diagonale verso una sedia, vi si sedette con un movimento rapido, quasi minaccioso, e rimase là continuando a guardare.
Ed ecco cosa vide:
C’era lo sfondo consueto, il muro con pannelli scuri, l’incisione e lo scaffale di libri a portata di mano; il fuoco era alla sua destra, e il divano di fronte. Sul divano sedeva la figura del ragazzo che lei conosceva tanto bene.
Portava lo stesso abito con cui aveva viaggiato; non si era nemmeno cambiato le scarpe, che erano un po’ schizzate di fango londinese. Notò queste cose nei minuti che seguirono, anche se manteneva gli occhi sul viso di lui.
Il viso stesso andava al di là delle sue capacità di analisi. Lineamento per lineamento erano le fattezze, la bocca, gli occhi e i capelli di Laurie; ma il suo risultato non era Laurie. Uno che era simile la stava guardando da una di quelle finestre dell’anima – analizzandola con cautela, dubbiosamente, e con sospetto.
Era la faccia di un nemico in attesa. E lei si sedette e rimase a guardarla.
Doveva essere trascorso un buon minuto quando lei attaccò a parlare. La faccia aveva abbassato gli occhi dopo il primo sguardo duraturo, come per rilassarsi, ed era rimasta immobile, a osservare il fuoco in una sorta di scoraggiamento. Ma sotto, lei lo percepiva chiaramente, c’era la stessa allarmata ostilità; e quando lei parlò gli occhi si risollevarono con rapida e furtiva attenzione. La bestia semi-intelligente era sollevata, ma non del tutto rassicurata.
«Laurie?» disse lei.
Le labbra si mossero lievemente in risposta; poi di nuovo la faccia guardò in basso verso il fuoco; le mani ciondolavano quasi impotenti tra le ginocchia.
C’era un’apparenza di debolezza in quell’atteggiamento che la stupiva e la incoraggiava; sembrava che le vicende non fossero ancora del tutto consumate. Però provava un senso di nausea a quella vista…
«Laurie?» disse di nuovo all’improvviso.
Di nuovo le labbra si mossero come per parlare rapidamente, e gli occhi si sollevarono verso di lei rapidi e sospettosi.
«Che c’è?» disse la bocca; e le mani ancora ciondolavano.
«Laurie», disse lei con fermezza, piegando tutta la propria volontà al servizio delle parole, «stai proprio male. Te ne rendi conto?»
Ancora il contorcersi privo di suoni delle labbra, e ancora una piccola frase convenzionale, «Va tutto bene».
La voce era innaturale – un po’ roca, e del tutto atona. Era come la voce proveniente da dietro una maschera.
«No», disse Maggie con cautela, «non va bene. Ascolta, Laurie. Ti dico che non stai per niente bene; e sono venuta per aiutarti come posso. Tu farai del tuo meglio? Sto parlando a te, Laurie… a te».
Ogni volta che rispondeva, prima le labbra si contraevano come se parlassero velocemente – come uno che parla da dietro una finestra; ma stavolta balbettò un poco sulle vocali.
«Io… io… sto bene».
Maggie si fece più vicina, con le mani strettamente giunte, e i suoi occhi fissarono fermamente quel volto sconcertante.
«Laurie; è a te che sto parlando… Riesci a sentirmi? Mi capisci, tu?»
Di nuovo gli occhi si sollevarono rapidi e sospettosi; e le mani di lei si intrecciarono ancor più strette mentre lottava contro la nausea crescente. Prima prese un profondo respiro; poi tenne un breve discorso che aveva in parte provato di sopra. Quando parlò lui la guardò nuovamente.
«Laurie», disse, «voglio che tu mi ascolti molto attentamente, e ti fidi di me. So cosa ti è successo; e penso lo sappia anche tu. Non sei in grado di lottare – di combatterlo tu stesso… Aggrappati più stretto che puoi a me – mentalmente, voglio dire. Mi capisci?”
Per un attimo pensò di essere stata recepita: lui la guardò così schiettamente con quegli strani occhi interrogativi. Poi diede uno strattone lievissimo come se un filo fosse stato tirato all’improvviso, e di nuovo guardò in basso verso il fuoco…
«Sto… sto… sto bene», disse.
Era orribile vedere quell’assenza di movimento dal suo corpo. Sedeva lì nello stesso modo probabilmente fin da quando era entrato nella stanza. Gli occhi si muovevano, ma la sua testa quasi per niente; e le mani penzolavano inerti.
«Laurie… bada…» riattaccò lei. Poi s’interruppe.
«Hai pregato, Laurie?… Capisci quel che ti è accaduto? Non sei davvero ammalato – almeno, non proprio, ma…»
Quegli occhi si risollevarono, guardarono, e si riabbassarono.
Era penoso. Per un momento il senso di nausea svanì, ricacciato giù dall’emozione. Accidenti… accidenti, era stato presente per tutto il tempo – Laurie… caro Laurie…
In un unico movimento, rapido e impetuoso, si era gettata in avanti inginocchiandosi, e aveva afferrato le mani penzolanti.
«Laurie! Laurie!» esclamò. «Non hai pregato… Stavi giocando, e il meccanismo ti ha inghiottito. Ma non è troppo tardi! Oh, Dio! Non è troppo tardi. Prega con me! Di’ il Padre Nostro…»
Gli occhi si girarono di nuovo lentamente. Lui aveva dato ben poco segno di reazione quando si era mossa e aveva preso le mani; e ora lei sentì quelle mani muoversi debolmente nelle sue, come quelle di un bimbo addormentato che cerca di staccarsi dalle braccia della mamma.
«Sto… sto… sto…»
Lei gli afferrò le mani con più decisione, guardando dritto in quegli strani pietosi occhi che rivelavano tanto poco, fuorché disagio e un’informe commozione.
«Di’ il Padre Nostro con me. ‘Padre Nostro…’»
Allora le mani di lui si tirarono indietro, con un movimento deciso quanto quello di lei, e gli occhi fiammeggiarono di una luce irreale. Lei rimase aggrappata ai suoi polsi, guardando in su, paralizzata dalla paura alla vista di quel cambiamento, e della furiosa ostilità che divampava sul volto. Le labbra si contrassero in una smorfia, per metà digrignante, per metà sorridente…
«Lascia! Lascia!» sibilò. «Cosa stai…»
«Il Padre Nostro, Laurie… il Padre…»
Quegli si tirò indietro, colpendola sotto il mento col ginocchio. Il divano scivolò all’indietro di trenta centimetri verso il muro, e lui rimase in piedi. Lei restò colpita dal terrore, sotto shock, a guardare la cupa faccia arrossata che fiammeggiava verso di lei.
«Laurie! Laurie!… Non capisci? Di’ una preghiera…» «Come osi?» sussurrò lui; «come osi…»
Lei si alzò di colpo – riassoggettando la volontà all’autocontrollo. Il suo respiro era ancora rapido e affannoso; aspettò che tornasse normale. Per tutto il tempo lui rimase a guardarla con occhi di straordinaria malevolenza.
«Bene, voi sederti tranquillo ad ascoltare?» disse. «Lo farai?»
Lui la fissava ancora, con la bocca chiusa, respirando in maniera accelerata dalle narici. Con un movimento repentino lei si girò e tornò alla sua sedia, si sedette e aspettò.
Lui la guardava ancora; poi, mantenendole gli occhi addosso, coi movimenti di uno sulle difensive, spostò il divano in proprio favore, e vi si sedette. Lei aspettò che la tensione del corpo di lui sembrasse rilassarsi, che le rapide occhiate che le rivolgeva da dietro palpebre cadenti cessassero, e che si rimettesse a guardare il fuoco con le mani penzoloni. Poi riattaccò, con calma e decisione.
«Tua madre non sta bene», disse. «No… ascolta con calma. Che cosa succederà domani? Sto parlando a te, Laurie, a te. Capisci?»
«Sto bene», disse lui cupamente.
Lei lo ignorò.
«Voglio aiutarti, Laurie. Lo sai, vero? Sono Maggie Deronnais. Ricordi?»
«Sì… Maggie Deronnais», disse il ragazzo, guardando il fuoco.
«Sì, sono Maggie. Ti fidi di me, vero, Laurie? Puoi credere a quel che ti dico? Bene, voglio che anche tu combatta. Tu e io assieme. Mi lascerai fare quel che posso?»
Gli occhi si rialzarono, con quel curioso sguardo interrogativo. Maggie pensò di percepire anche qualcos’altro. Radunò le sue forze con calma in silenzio, per qualche istante, sentendo che il cuore le accelerava come i giri di un motore all’avvio. Poi balzò in piedi.
«Ascolta, allora – nel nome di Gesù di Nazareth…»
Quello indietreggiò violentemente, con un movimento così selvaggio che le parole le morirono sulle labbra. Per un momento pensò che stesse per spiccare un balzo. E lui era di nuovo in piedi, digrignando i denti. Ci fu silenzio per un interminabile istante; poi un torrente di parole, offensive e feroci, gorgogliò verso di lei come il ringhio furioso di un cane – una sequenza di bestemmie e oscenità.
Questo fu quanto lei comprese. Ma mantenne la posizione, incapace di parlare, rendendosi conto del profluvio di parole che le turbinava contro da quella madida faccia là di fronte, ma non riuscendo a capire neanche un decimo di quel che udiva.
«…Nel nome di…»
All’istante le parole cessarono; ma il veleno e la malizia del silenzio che seguì furono così opprimenti che lei rimase in silenzio, sentendo che il massimo che poteva fare era mantenere la posizione conquistata. Così i due rimasero. Se le parole erano orribili da udire, il silenzio era mille volte più orribile; era come quando uno affronta l’improvvisa apertura della porta di una fornace e vede la caverna bianca all’interno.
Lui fu il primo a parlare.
«Bada bene», disse.
(Brano tratto da R. H. BENSON, I Necromanti, Verona, Fede & Cultura, 2012)