citazione a cura di Luca Fumagalli
Continua con questo brano la pubblicazione di una serie di stralci tratti da L’alba di tutto (1911), romanzo utopico di R. H. Benson che racconta la storia di monsignor Masterman, cappellano del cardinale inglese Bellairs. L’uomo si risveglia dopo un lungo coma e scopre un mondo profondamente mutato in cui la Chiesa è diventata la guida indiscussa dell’umanità.
Accompagnati dal monaco Adrian Bennet, Masterman e Jarvis visitano Lourdes e hanno la fortuna di assistere a due guarigioni miracolose, frequentissime da quando la scienza si è arresa all’evidenza della loro natura eccezionale. Prima di ripartire, il protagonista medita sugli eventi straordinari di cui è stato testimone, consolato inoltre dall’inedita sintonia che si è venuta a creare tra scienza e fede.
Era l’ora della processione serale e della Benedizione dei Malati.
Per tutto il giorno l’uomo che aveva perso la memoria era andato avanti e indietro coi suoi compagni, ognuno col piccolo distintivo che dava loro accesso ovunque; avevano pranzato col Dr. Meurot[1] in persona.
Se Monsignor Masterman era rimasto impressionato dal potere sociale del Cattolicesimo a Versailles, e dalla sua realtà religiosa a Roma, era diecimila volte più impressionato dal suo coraggio scientifico qui a Lourdes. Perché qui la religione sembrava essere scesa in un’arena fin qui riservata (come lui s’immaginava) al gioco delle forze della fisica. Aveva messo da parte le sue pretese profetiche, le asserzioni, relativamente non supportate, della propria divinità; aveva gettato via le sue toghe da stato e autorità e stava qui competendo ad armi pari con i maestri della legge naturale – non solo, era anche accettata da essi come loro maestra. Perché sembrava che non si tirasse indietro su niente. Essa accettava tutti quelli che venivano da lei desiderando il suo aiuto; non faceva distinzioni arbitrarie per coprire le sue stesse incapacità.
Il suo unico desiderio pratico era curare i malati; il suo unico interesse teorico fissare sempre più precisamente, poco a poco, l’esatta linea dove finiva la natura e cominciava il soprannaturale. E, se l’evidenza umana valeva qualcosa – se i volumi di radiografìe e testimonianze giurate valevano qualcosa, essa aveva stabilito mille volte durante il precedente mezzo secolo che sotto la sua egida, e solo sotto la sua, erano al lavoro forze di guarigione e di recupero a cui nessuna scienza puramente mentale poteva fornire alcun parallelo. Tutte le antiche dispute di un secolo prima sembravano finite. Non c’era più alcuna discussione riguardo ai fatti principali. Tutto ciò che rimaneva ora da fare per questa immensa organizzazione di esperti internazionali era definire sempre più da vicino e precisamente dove stesse il confine tra i due mondi. Tutte le guarigioni che potevano essere anche lontanamente eguagliate nei laboratori mentali venivano liquidate come non evidentemente soprannaturali; tutte quelle che non potevano essere così eguagliate erano registrate, nel più piccolo dettaglio, sotto testimonianza giurata dei medici che avevano esaminato i pazienti, immediatamente prima e immediatamente dopo la guarigione stessa. In una serie di biblioteche adiacenti al Luogo, monsignor Masterman, sotto la guida di dom Adrian Bennett, aveva speso un paio d’ore questo pomeriggio esaminando i più singolari dati e fotografie lì conservati. Fu sorpreso di trovare che fin dalla fine del diciannovesimo secolo avevano avuto luogo guarigioni per le quali i più moderni scienziati non potevano trovare spiegazione naturale.
Dieci minuti fa aveva preso il suo posto nella processione del Santissimo Sacramento, con l’ultima parola del monaco ancora in testa.
«È durante la processione stessa», aveva detto «che il lavoro si compie. Lasciamo da parte ogni deliberata consapevolezza quando suona l’Angelus, e ci abbandoniamo alla fede».
[…]
L’uomo che aveva perso la memoria aveva accumulato impressioni su impressioni durante le ultime quarantott’ore. C’era innanzitutto il caso della ragazza tedesca. Era stata visitata dagli stessi dottori che avevano certificato il suo stato mezz’ora prima della guarigione, e il risultato era stato telegrafato in tutto il mondo civilizzato. La frattura era stata completamente riparata; e, anche se era ancora debole per la lunga malattia, la ragazza guadagnava forza ogni ora. Poi c’era il caso del russo. Anche lui aveva riavuto la sua vista, anche se non istantaneamente; gli era tornata per gradi. Un’ora fa era stato dichiarato guarito e aveva superato i consueti test nelle sale visita. Ma questi casi, ed altri simili che il prete aveva indagato, erano solo una parte del peso totale delle impressioni che monsignor Masterman aveva ricevuto. Aveva visto qui coi suoi occhi una relazione tra scienza e fede – una cooperazione tra di esse, con le esigenze di ognuno debitamente soppesate e rispettate da entrambe – il che gli metteva davanti Naturale e Soprannaturale in una luce completamente nuova. Come aveva detto Mr. Manners[2] a Westminster una o due settimane prima, le due sembravano essersi incontrate infine, ognuna procedendo da direzioni diverse, su una piattaforma sulla quale potevano lavorare fianco a fianco. I fatti non venivano più negati da alcuna delle parti. La scienza ammetteva i misteri della fede; la fede riconosceva le conquiste della scienza. Ognuna garantiva che l’altra possedesse una sfera d’azione perfettamente legittima, in cui i metodi appropriati a quella sfera erano tassativi e definitivi. Lo scienziato accettava il fatto che la Religione avesse il diritto di parlare di questioni che andavano oltre i dati scientifici; il teologo non denunciava più come fraudolente o insincere le pretese degli scienziati di esercitare poteri che furono alla fine riconosciuti come naturali. Nessuno dei due aveva necessità di attestare la sua posizione attaccando quella dell’altro, e i due d’accordo, senza pregiudizio o collera, lavoravano insieme per definire ancor di più quel sempre più stretto margine di terra tra i due mondi che ancora nel presente rimaneva inesplorato. La suggestione, ad esempio, agendo sulle reciproche relazioni tra corpo e mente, era riconosciuta dal teologo come forza sufficiente a produrre fenomeni che in tempi più antichi aveva proclamato come evidentemente soprannaturali. E, dall’altra parte, lo scienziato non faceva più selvaggi atti di fede nella natura, attribuendole conquiste che non poteva neanche per un istante riprodurre deliberatamente con un esperimento. In una parola, lo scienziato ripeteva: «Credo in Dio»; e il teologo: «Riconosco la Natura».
Il monsignore sedeva in disparte, silenzioso, mentre gli altri parlavano.
A Roma aveva pensato di aver raggiunto la convinzione interiore; aveva ora capito a Lourdes che la sua convinzione non era andata così in profondità come credeva. Aveva appreso a Versailles che la Chiesa poteva riconciliare le nazioni; alla fine aveva visto a Lourdes che poteva sciogliere le filosofie.
E proprio questa scoperta lo rese più timoroso. Perché cominciò a chiedersi se non ci fossero ulteriori scoperte da fare.
[1] Responsabile del Bureau des Constatations Médicales, ente che si occupa di valutare l’effettiva natura miracolosa delle guarigioni.
[2] Economista inglese e membro del governo. É amico del cardinale Bellairs con cui si consulta in occasione di importanti scelte politiche.
(Brano tratto da R. H. BENSON, L’alba di tutto, Verona, Fede & Cultura, 2010)