citazione a cura di Luca Fumagalli

Continua con questo brano la rubrica, intitolata significativamente “Cronache dell’Anticristo”, che raccoglie una serie di stralci tratti da Il Padrone del mondo (1907), il più famoso romanzo di mons. R. H. Benson, ancora drammaticamente attuale.

La trama del libro è piuttosto semplice. Alla fine del XX secolo l’uomo ha raggiunto gli estremi confini del progresso materiale e intellettuale, ma con il trionfo dell’umanitarismo laico il cristianesimo è quasi scomparso e la completa secolarizzazione della società è ormai dietro l’angolo. due protagonisti de “Il Padrone del mondo” sono Julian Felsenburgh – socialista e massone dall’oscuro passato, che governa l’intero Occidente grazie alle brillanti doti di oratore e alla personalità magnetica – e Percy Franklin, uno degli ultimi sacerdoti rimasti fedeli alla Chiesa. Il terzo polo narrativo è costituito dai coniugi Mabel e Oliver Brand, militanti politici e accaniti sostenitori del progresso. 

Padre Franklin è addetto alla cattedrale di Westminster ed è responsabile della compilazione quotidiana delle lettere informative indirizzate al cardinale Martin a Roma. Una sera, durante una cena in arcivescovado, parla con alcuni confratelli del pericolo costituito dalla massoneria che continua a sottrarre fedeli alla Chiesa e dell’indiscutibile fascino di  Felsenburgh, un uomo eccezionale il cui passato è avvolto nel mistero.

Quella sera, al refettorio dei preti, si faceva un gran parlare della diffusione della framassoneria. Il fenomeno si stava verificando ormai da parecchi anni e i cattolici riconoscevano bene il pericolo che li minacciava, dal momento che la professione massonica e la fede cattolica erano state dichiarate incompatibili da qualche secolo per la risoluta condanna inflitta dalla Chiesa alla massoneria[1]. Ognuno doveva decidersi tra quest’ultima e la sua fede religiosa.

Molti fatti straordinari vennero alla luce durante l’ultimo secolo. Il primo fu l’assalto organizzato contro la Chiesa francese; quello che i cattolici avevano sempre sospettato divenne certezza grazie alle rivelazioni del 1928, quando padre Gerolamo, domenicano ed ex massone, rese noti tanti misteri sui liberi muratori. I cattolici avevano avuto indubbiamente ragione e la massoneria, per lo meno negli alti gradi, fu ritenuta responsabile in tutto il mondo dell’insolito movimento contro la religione. Alla fine, però, padre Gerolamo era morto nel suo letto e tutto aveva avuto fine. Le splendide donazioni in Francia e in Italia a ospedali, orfanotrofi e altri istituti di beneficenza avevano fatto dileguare i sospetti, in modo che, per cinquant’anni e più, la massoneria aveva potuto passare, agli occhi dell’opinione pubblica, per una vasta società filantropica. Ora i dubbi cominciavano di nuovo.

«Mi è stato detto che Felsenburgh è massone», osservò monsignor Macintosh, l’amministratore della cattedrale. «Gran maestro, o giù di lì».

«Ma Felsenburgh chi è?» domandò un giovane prete.

Il monsignore strinse le labbra e tentennò il capo. Era uno di quegli umili individui così fieri della propria ignoranza come altri potevano essere della propria scienza; si vantava perfino di non aver letto opera alcuna che non portasse Imprimatur [2], perché, come soleva ripetere, un sacerdote doveva proporsi come fine la conservazione della sua fede e non l’acquisto della scienza mondana. Percy, in più d’una occasione, gli aveva quasi invidiato questa convinzione!

«Felsenburgh è un mistero», disse un altro, padre Blackmore, «ma pare aver destato la commozione generale: oggi sulla banchina si vendeva la sua biografia».

«Tre giorni fa ho incontrato un senatore d’America», soggiunse qui Percy, «e mi ha detto che anche là di Felsenburgh non conoscono altro che la meravigliosa eloquenza. È apparso un anno fa sulla scena del mondo e già sembra trascinarlo tutto dietro di sé con un metodo veramente originale; è altresì un grande linguista, e per questo lo hanno mandato a Irkutsk».

«Bene! Per ritornare ai massoni», continuò il monsignore, «la faccenda è davvero seria: nell’ultimo mese quattro miei penitenti hanno lasciato la Chiesa per abbracciare la massoneria».

«L’arruolamento delle donne è stato un vero colpo di genio», mormorò padre Blackmore, mescendosi un bicchiere di chiaretto.

«È strano che abbiano esitato così a lungo per farlo», osservò Percy.

Altri due preti, a conferma di quanto era stato detto, dissero di aver perso anche loro dei penitenti a causa della massoneria. Si diceva che fosse imminente la pubblicazione di una Pastorale sulla questione.

Il monsignore tentennò il capo come in segno di cattivo presagio, e disse:

“Ci vuole ben altro!»

Percy ricordò che la Chiesa aveva già detto l’ultima parola alcuni secoli prima scomunicando i membri di tutte le società segrete e, con simile provvedimento, aveva fatto quanto era in suo potere.

«Salvo il rammentare senza tregua tale proibizione ai suoi figli», soggiunse il monsignore. «Domenica prossima dedicherò la mia predica a questo argomento!»

Rientrato in camera, Percy riprese le note che aveva cominciato a stendere per la lettera, poiché gli sembrava opportuno aggiungere qualche altra osservazione sulla massoneria nella lettera al cardinale protettore. Quindi aprì le sue lettere private, cominciando da quella che riconobbe provenire dallo stesso cardinale.

Coincidenza strana, tra le domande che il cardinale Martin gli rivolgeva nella lettera, ne trovò una proprio sull’argomento: «Che cosa si dice della massoneria? Corre voce che Felsenburgh sia massone. Raccolga più notizie che può su di lui. Mi mandi qualche sua biografia americana o inglese. Continuano ancora le apostasie dei cattolici per abbracciare la massoneria?»

Lesse anche le altre domande: erano soprattutto in relazione alle note da lui precedentemente inviate, ma vi si faceva solo due o tre volte il nome di Felsenburgh.

Posò la lettera e si mise a pensare.

Che cosa strana che il nome di quell’uomo fosse sulla bocca di tutti, sebbene su di lui si sapesse poco o nulla! Percy aveva acquistato per curiosità tre fotografie che pretendevano di riprodurre le vere fattezze di quel singolare personaggio: forse una delle tre era autentica. Le estrasse da un casellario e se le sistemò davanti. La prima rappresentava un omaccione feroce, barbuto come un cosacco e con gli occhi stralunati. Era chiaramente spuria: non doveva essere altro che il prodotto della grossolana immaginazione che dava una forma un uomo che esercitava tanto potere sull’Oriente.

La seconda mostrava una faccia piuttosto grassa, con gli occhi piccoli e il pizzo sul mento; questa poteva essere autentica, da momento che dietro era firmata da una ditta di New York.

Osservò infine la terza. Questa presentava un viso oblungo, completamente sbarbato, con un paio di occhiali sul naso; era senza dubbio un viso intelligente, ma poco energico, mentre Felsenburgh doveva essere di un’energia straordinaria.

Percy era incline a credere che la più verosimile fosse la seconda, ma non si poteva dire nulla di certo al riguardo. Le rimise confusamente al loro posto, quindi, appoggiati i gomiti sul tavolo, si mise a pensare. Richiamò alla mente le notizie su Felsenburgh fornitegli dal senatore americano Varhaus, ma neppure queste erano tali da spiegare i fatti.

Felsenburgh, secondo quanto si diceva comunemente, non seguiva i tradizionali metodi della politica moderna: non sorvegliava la stampa, non reprimeva né sosteneva alcuno, non aveva subalterni fissi ed era estraneo dalle clientele. Insomma non gli si poteva rimproverare alcun particolare difetto tra quelli comuni agli uomini politici; sembrava anzi che la sua originalità consistesse nell’avere in quel momento le mani pulite e un passato immacolato, addirittura più del suo fascino. Si poteva dire il tipo del cavaliere antico: puro, schietto, seducente come un candido fanciullo. Aveva stupito i popoli sorgendo come una visione dalle fosche acque sconvolte del socialismo americano […].

Si guardò attorno, pensò che il mondo circostante fosse stanco e sfibrato; nessun uomo gli ispirava fiducia, nessuno era in grado di agire in modo tale da poter essere preso in considerazione. Non voleva certo criticare i suoi colleghi di sacerdozio… ma per l’ennesima volta non poteva fare a meno di constatare che non erano uomini adatti a fronteggiare la situazione. Non che personalmente si stimasse da più! Riconosceva anzi la propria incompletezza, di cui purtroppo aveva avuto prova nelle sue relazioni con padre Francis e tanti altri che negli ultimi dieci anni si erano rivolti a lui nelle loro crisi spirituali.

Anche l’arcivescovo, un santo come pochi altri, con tutta la sua fede bambina, era forse uomo da guidare i cattolici inglesi e confondere i loro nemici?

No! Questo mondo aveva chiuso le porte ai grandi uomini! Che cosa si poteva fare? Nascose il viso tra le mani.

[1]  Il 28 aprile 1738 papa Clemente XII pubblica la lettera apostolica In eminenti apostolatus specula, il primo di numerosi documenti pontifici a condannare le associazioni di stampo massonico.

[2] L’approvazione dall’autorità ecclesiastica.