citazione a cura di Luca Fumagalli
Continua con questo brano la rubrica, intitolata significativamente “Cronache dell’Anticristo”, che raccoglie una serie di stralci tratti da Il Padrone del mondo (1907), il più famoso romanzo di mons. R. H. Benson, ancora drammaticamente attuale.
La trama del libro è piuttosto semplice. Alla fine del XX secolo l’uomo ha raggiunto gli estremi confini del progresso materiale e intellettuale, ma con il trionfo dell’umanitarismo laico il cristianesimo è quasi scomparso e la completa secolarizzazione della società è ormai dietro l’angolo. due protagonisti de “Il Padrone del mondo” sono Julian Felsenburgh – socialista e massone dall’oscuro passato, che governa l’intero Occidente grazie alle brillanti doti di oratore e alla personalità magnetica – e Percy Franklin, uno degli ultimi sacerdoti rimasti fedeli alla Chiesa. Il terzo polo narrativo è costituito dai coniugi Mabel e Oliver Brand, militanti politici e accaniti sostenitori del progresso.
Oliver tiene un comizio a Londra e tra la folla vi è anche Mabel con l’anziana suocera. Il discorso riassume in poche battute l’ideologia del mondo moderno a cui i Brand sono sinceramente devoti: il progresso ha decretato che l’unica vera religione è quella dell’uomo, la divinità del futuro.
L’inno, composto dieci anni prima, era divenuto popolare in Inghilterra. La vecchia signora Brand sollevò automaticamente il foglio che ne conteneva il testo e lesse il primo verso che conosceva molto bene:
Signore, che domini la terra e il mare…
Diede una rapida occhiata agli altri versi, concepiti con ardore e abilità dal punto di vista umanitario. Il loro sentire religioso era tale che anche un cristiano poco accorto avrebbe potuto cantarli senza alcuno scrupolo. Eppure il senso era sufficientemente chiaro: era l’antica credenza secondo cui l’uomo era tutto. Erano state accolte anche alcune frasi di Cristo, come “il regno di Dio è nel cuore dell’uomo” e “la più grande di tutte le virtù è la carità.”
Si volse a Mabel e vide che cantava con tutta l’anima, con lo sguardo fisso sulla figura del marito cento metri più in là, e dai suoi occhi usciva tutto l’ardore del suo spirito; poi anche la madre incominciò a muovere le labbra unendosi al coro di un così vasto muro sonoro.
Terminato l’inno, e prima che ricominciassero gli applausi, lord Pemberton[1] si affacciò al parapetto del palco e con voce sottile e intonata pronunciò due frasi attraverso il flebile zampillio delle fontane lì accanto. Quindi si ritrasse e comparve Oliver.
Le due signore erano troppo lontane per sentire cosa diceva; perciò Mabel, lasciato un foglio nelle mani della madre, ansiosa e sorridente, si sporse in avanti tendendo l’orecchio. Nel frattempo la vecchia signora Brand scorreva il foglio stampato con il discorso di Oliver, pensando che non avrebbe potuto sentirlo direttamente dalla voce del figlio.
Nell’esordio, questi ringraziava tutti i presenti che erano convenuti a onorare il grand’uomo che, dall’alto del suo piedestallo, presiedeva la commemorazione di un così gioioso anniversario. Proseguiva poi con un accenno al passato e paragonava l’Inghilterra di oggi con quella di una volta: cinquant’anni prima, così diceva, la povertà si considerava un’onta, mentre ora non era più così. Il disonore o l’onore non doveva infatti consistere nella povertà in sé, ma unicamente nelle sue cause. Chi non avrebbe dovuto onorare un uomo che si era sacrificato per servire la patria o che era stato sopraffatto da calamità che non aveva potuto superare? Passò dunque in rassegna le riforme approvate cinquant’anni prima quando, una volta per tutte, la nazione aveva consacrato l’onore della povertà e la simpatia dell’uomo verso i diseredati.
[1] Eminente membro del governo inglese.
(Brano tratto da: R. H. BENSON, Il Padrone del mondo, Verona, Fede & Cultura, 2014)
Povertà: Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri…
Con le riforme, e non tra cinquant’anni, credo non resterà pietra su pietra… Tranne le fondazioni di San Pietro come nella visione profetica della beata A. K. Emmerich