Nota di Radio Spada; si conclude oggi, Sabato delle quattro tempora di Pentecoste (festa di San Filippo Neri), questa rubrica radiospadista dedicata all’esercizio del cattolicesimo militare e ai grandi condottieri cattolici. L’organizzazione della rubrica che ha richiesto circa tre mesi di lavoro (e della concomitante “esposizione” all’Università Cattolica del Sacro Cuore) è stata a cura di Carlo “Charlie” Banyangumuka, Mattia Spaggiari e Piergiorgio Seveso. A conclusione di quest’ultima puntata un brano del conte Joseph de Maistre. A voi tutti, amati lettori, dall’intera redazione di Radio Spada gli auguri migliori. Buona lettura!
Carmine Crocco
Umile caprajo nato nel 1830 a Rionero in Vulture, dopo la militanza giovanile prima nell’esercito borbonico e poi nelle fila garibaldine, abbracciò la causa legittimista e, grazie all’appoggio prestatogli dal bretone Langlais e dallo spagnuolo Borges, si adoperò per restaurar sul trono lo spodestato Francesco II; divenne il capo di ben 43 delle numerose bande di briganti che punteggiavano il Mezzogiorno d’Italia negli anni immediatamente successivi all’unificazione. Tra il 1861 ed il 1864 col suo seguito di circa 2500 uomini seminò il terrore tra il Vulture, l’Irpinia e la Capitanata tra saccheggi, assalti, rapimenti, omicidj (di cui 67 di sua propria mano) e vere e proprie azioni di guerriglia; grande stratega, quando ormai sulla sua testa pendeva una taglia di 20000 lire fu solo il tradimento del suo luogotenente Zi’ Beppe a vanificar la sua impeccabile organizzazione e ad indurlo a chieder protezione al Papa; ed invece Pio IX lo fece arrestare – anche se poi cercò invano di farlo fuggire in Francia – e condannare all’ergastolo, che scontò all’isola d’Elba, ove compose le sue memorie: d’altronde negli ultimi mesi aveva incominciato a far causa a sé ed era divenuto un alleato troppo scomodo sia per il Re delle Due Sicilie sia per il Pontefice. È divenuto il simbolo della resistenza meridionale all’invasione dei liberali piemontesi.
La Guerra nelle parole di Joseph de Maistre
Si potrebbe credere o temere, se l’esperienza non c’insegnasse il contrario, che il mestiere della guerra tenda a degradare, a rendere feroce o almeno insensibile colui che lo esercita: invece lo migliora. In genere il militare onesto è l’uomo più onesto che esista; e, come dicevo poco fa, ho sempre stimato molto il buon senso militare, che io preferisco di gran lunga alle circonlocuzioni degli uomini d’affari. Nella vita quotidiana i militari si rivelano più amabili, più docili e, per quel che mi è parso, spesso perfino più cortesi degli altri uomini. Durante le tempeste politiche si dimostrano di solito intrepidi difensori delle massime antiche, e i sofismi più smaglianti crollano quasi sempre di fronte alla loro rettitudine. […] Per i militari religione ed onore sono legati a tal punto che, quand’anche la religione dovesse rimproverarli aspramente del loro cattivo comportamento, non si rifiuterebbero di sguainare la spada per difenderla, se essa ne avesse bisogno. Si parla molto della corruzione degli eserciti, che è senz’altro grande: ma di solito il soldato non trova i vizî sul campo, ve li porta. Un popolo morale e austero dà sempre eccellenti soldati, terribili solo sul campo di battaglia. La virtù e la stessa pietà si alleano perfettamente col coraggio militare: non solo non indeboliscono il guerriero, ma lo esaltano. Il cilicio non imbarazzava di certo San Luigi. Voltaire stesso ha ammesso in buona fede che un esercito pronto a morire per obbedire a Dio è invincibile. E, come saprete, Racine racconta nelle sue lettere che, quando nel 1692 era al seguito dell’esercito di Luigi xiv, in qualità di storiografo di Francia, non assistette mai alla Messa al campo senza vedere qualche moschettiere comunicarsi con grande devozione. Leggete nelle opere spirituali di Fénelon la lettera che scrisse a un ufficiale suo amico. Quest’uomo, disperato per non essere potuto entrare nell’esercito come avrebbe desiderato, guidato probabilmente da Fénelon stesso sulle vie della più alta perfezione, giunse all’«amor puro» e alla «morte mistica». Voi pensate che l’anima tenera e amorosa del “Cigno di Cambrai” abbia cercato di confortare l’amico descrivendogli le scene di massacri ai quali non avrebbe dovuto partecipare? che gli abbia detto: «In fondo dovreste essere felice: non sarete costretto a vedere gli orrori della guerra e lo spaventoso spettacolo dei crimini che essa porta con sé»? Egli invece si astiene dal servirsi di simili argomenti da donnette, ma lo consola e, anzi, si addolora con lui. Vede in quella privazione una disgrazia opprimente, una croce amara che servirà a staccarlo dal mondo. E che dire di quell’altro ufficiale al quale Madame Guyon scriveva di non preoccuparsi se talvolta gli fosse capitato di perdere la Messa nei giorni feriali, «soprattutto se si trovava nell’esercito»? Eppure gli autori di questi aneddoti vivevano in un secolo discretamente guerriero, mi pare! La realtà è che in questo mondo lo spirito religioso e quello militare si accordano perfettamente. […] Non soltanto la vita militare si allea in genere perfettamente con la moralità dell’uomo, ma, cosa davvero straordinaria, non indebolisce affatto quelle virtù “dolci” che sono agli antipodi del mestiere della armi. I caratteri più dolci amano la guerra, la desiderano e la fanno con passione. Al primo segnale il giovane più amabile, educato all’orrore per la violenza e per il sangue, lascia la casa paterna e corre, armi alla mano , a cercare sul campo di battaglia colui che egli chiama “nemico”, senza neppur sapere che cos’è un nemico. Il giorno prima si sarebbe sentito in colpa se avesse schiacciato per caso il canarino della sorella; il giorno dopo lo vedete salire su un mucchio di cadaveri «per veder più lontano», come diceva Charron. Il sangue che sgorga da ogni parte gli serve da sprone per spargere il suo e quello altrui, ed egli s’infiamma gradatamente fino a raggiungere l’“entusiasmo del massacro”. […] Lo spaventoso spettacolo del massacro non indurisce affatto il vero guerriero. In mezzo al sangue che fa sgorgare colle sue mani egli resta umano, così come la sposa è casta nei trasporti amorosi. La santa umanità riprende i suoi diritti nel momento stesso in cui egli ripone la spada nel fodero; e forse i sentimenti più esaltanti e generosi si trovano nel cuore dei militari. Ricordatevi del secolo d’oro francese. […] Lo Spirito divino che S’era posato particolarmente sull’Europa mitigava persino i flagelli della Giustizia eterna, e la “Guerra europea” sarà sempre ricordata negli annali dell’universo. Ci si uccideva, si bruciava, si distruggeva, si commettevano probabilmente mille e mille crimini inutili; tuttavia si cominciava la guerra nel mese di maggio e la si finiva a dicembre; si dormiva sotto le tende; il soldato combatteva soltanto il soldato. I popoli non erano mai in guerra, e tutto ciò che è debole era considerato sacro nelle lugubri scene di quel flagello devastatore. Era uno spettacolo magnifico vedere tutti i Sovrani d’Europa, trattenuti da non so quale imperiosa moderazione, non chieder mai ai loro popoli, anche nei momenti di maggior pericolo, tutto quello che era possibile ottenere: si servivano dell’uomo e tutti, guidati da una forza invisibile, evitavano di colpire la Sovranità nemica con quei colpi che potevano ricadere su tutte le Sovranità: gloria, onore, lode eterna alla legge dell’amore incessantemente proclamata nel centro d’Europa. Nessuna nazione trionfava sull’altra: l’antica guerra non esisteva più se non nei libri o presso quei popoli «seduti nell’ombra di morte»: una provincia, una città, spesso anche qualche villaggio ponevano fine a guerre accanite cambiando signore. Il mutuo rispetto, la cortesia più raffinata sapevano mostrarsi anche tra il fragore delle armi. La bomba evitava il castello del Re; danze e spettacoli servivano sovente da intermezzo fra una battaglia e l’altra. L’ufficiale nemico, invitato a quelle feste, veniva a parlare, ridendo, della battaglia che si sarebbe combattuta il giorno dopo; nell’orrore della più sanguinosa mischia il morente poteva ascoltare accenti di pietà e formule di cortesia. Ai primi segni di battaglie sorgevano ovunque vasti ospedali: la medicina, la chirurgia, la farmacia vi conducevano i loro numerosi seguaci; fra loro s’innalzava il genio di San Giovanni di Dio e San Vincenzo de’ Paoli, più grande, più forte dell’uomo, costante come la fede, attivo come la speranza, abile come l’amore. Tutte le vittime erano raccolte, medicate, consolate; ogni ferita veniva curata dalla mano della scienza e da quella della carità!… […] Se considerate attentamente il problema, dovrete ammettere che mai il Cristianesimo è stato più sublime, più degno di Dio e adatto agli uomini come durante la guerra.
Enrico II il Pio duca di Slesia
Cardinale Bertrando del Poggetto
Ugo de’ Pagani e Goffredo di Sant’Omero
Eraclio Imperatore di Bisanzio
Baldovino IV Re di Gerusalemme
Carlo Martello, Maggiordomo di palazzo
Matilde di Canossa, viceregina d’Italia
El Cid Campeador signore di Valencia
Principe Giorgio Castriota Skanderbeg
Principe Carlo Filippo di Schwarzenberg
Principe Raimondo Montecuccoli
Don Fernando Alvarez de Toledo, duca d’Alba
Enrico III lo Sfregiato, duca di Guisa
Simone IV di Montfort, duca di Narbona
Daimyo Konishi Yukinaga Agostino
Conte Orlando d’Anglante, paladino di Francia
Luigi Maria de Salgues, marchese di Lescure
Giovanni Tserclaes, conte di Tilly
Feldmaresciallo Giuseppe Radetzky, Governatore del Lombardo-Veneto
Barone Ermanno Kanzler, comandante generale dell’esercito pontificio
Maresciallo Giovanni II Le Meingre detto Boucicault
Sua Eccellenza Don Giovanni d’Austria
Generalissimo Francisco Franco y Bahamonde, Reggente di Spagna
Gugliemo Embriaco detto il “Testa di Maglio”
Giovanni de’ Medici detto Dalla Bande Nere
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