di Luca Fumagalli

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Sprezzante, sarcastico, disilluso. L’ultimo Guareschi, quello degli anni ’60, è il ritratto di un sconfitto della storia, di un uomo stritolato dagli eventi e costretto ai margini. La vita, splendido ring sul quale l’impavido scrittore si era sempre battuto, gli stava lentamente scivolando fra le dita, mentre il mondo cadeva nel baratro della follia e della meschinità. Neppure la Chiesa, in mezzo alla temperie rivoluzionaria, era in grado di resistere. Il Concilio Vaticano II aveva infatti costituito una sciagura senza precedenti, accelerando – di contro alle previsioni dei novatori – la scristianizzazione della società. L’Italia, con il suo “mondo piccolo”, era ormai ridotta a un caotico nulla, privo di scopo e identità.

Alessandro Gnocchi, giornalista e saggista, forse il più grande studioso guareschiano, consegna ai lettori un agile volume che ripercorre, attraverso il commento di nove articoli apparsi sulle colonne del «Borghese» a partire dal 1963, le tappe cruciali del Guareschi-pensiero prima della scomparsa di quest’ultimo, avvenuta il 22 luglio del 1968. Lettere ai posteri di Giovannino Guareschi (Marsilio, 2018) è un’opera sfiziosa, brillantemente scritta, capace di condurre chi legge dentro la mente e il cuore di uno dei più grandi intellettuali cattolici dello scorso secolo. Un maestro la cui lezione è più che mai attuale.

Dalle “lapirate” alla riforma liturgica, passando per la messa alla berlina degli impudichi redattori del periodico studentesco «La zanzara», nella sua prosa Guareschi scruta e analizza con lucidità a tratti profetica i tratti di una realtà in via di deformazione. Le vignette satiriche si alternano senza soluzione di continuità a pezzi feroci, in cui la bile dell’eterno escluso è temperata, solo a tratti, dall’ironia con cui lo scrittore di Fontanelle si approccia ai suoi finti corrispondenti – in primis il sempreverde don Camillo – o dalla bonaria fragilità dei tanti personaggi che affollano i suoi apologhi.

L’ultimo Guareschi, pur solitario cantore della verità tra i marosi della rivoluzione, non fu tuttavia un uomo disperato. Sapeva bene che, nonostante tutto, una certezza continuava ad esistere ed era la promessa di beatitudine eterna che Cristo aveva fatto ai suoi figli. Salvare il seme divenne dunque – ed è ancora oggi – l’imperativo principe: custodire quell’evidenza che, prima o poi, ritroverà il terreno fertile in cui germogliare e crescere.

Il libro: Alessandro Gnocchi, Lettere ai posteri di Giovannino Guareschi, Marsilio, Milano, 2018, pp. 142, Euro 16.