citazione a cura di Luca Fumagalli

Continua con questo brano la rubrica, intitolata significativamente “Cronache dell’Anticristo”, che raccoglie una serie di stralci tratti da Il Padrone del mondo (1907), il più famoso romanzo di mons. R. H. Benson, ancora drammaticamente attuale.

La trama del libro è piuttosto semplice. Alla fine del XX secolo l’uomo ha raggiunto gli estremi confini del progresso materiale e intellettuale, ma con il trionfo dell’umanitarismo laico il cristianesimo è quasi scomparso e la completa secolarizzazione della società è ormai dietro l’angolo. I due protagonisti de “Il Padrone del mondo” sono Julian Felsenburgh – socialista e massone dall’oscuro passato, che governa l’intero Occidente grazie alle brillanti doti di oratore e alla personalità magnetica – e Percy Franklin, uno degli ultimi sacerdoti rimasti fedeli alla Chiesa. Il terzo polo narrativo è costituito dai coniugi Mabel e Oliver Brand, militanti politici e accaniti sostenitori del progresso. 

 Tornando a casa dopo la preghiera al tempio, mentre riecheggia la notizia della distruzione di Roma, Mabel incrocia una folla assetata di sangue che ha ucciso alcuni cattolici. Raggiunto il suo appartamento, confida al marito i dubbi che la tormentano circa la mancata trasformazione dell’uomo che l’umanitarismo aveva promesso.  Al di là dell’evoluzione e dei progressi tecnologici, l’umanità è rimasta volgare, rozza e violenta.

 

La strada adiacente alla ringhiera che proteggeva l’ingresso al tempio era insolitamente vuota e buia. A destra e a sinistra si profilavano le case, in alto il cielo appariva tinto di rosa; certo la luce pubblica era stata dimenticata, e non si scorgeva alcuna persona viva.

Stava per avviarsi, quando un calpestio improvviso la rese incerta, mentre una bambina le correva incontro an sante e spaventata.

«Eccoli, arrivano! Eccoli!» singhiozzava la bimba con gli occhi rivolti alla giovane signora; quindi si aggrappo alla ringhiera guardandosi alle spalle.

Mabel aprì subito la porta e la bambina, con un salto, andò a sbatterci contro; quindi le si aggrappò alla gonna rannicchiandosi sempre più stretta. Mabel richiuse la porta.

«Che cos’hai bambina? Chi è che sta arrivando?»

La fanciulla nascondeva però la faccia tra le pieghe di quella veste elegante, mentre da fuori giungeva il tumulto delle voci e un calpestio concitato di passi.

Questo avveniva un minuto o due prima che passassero gli araldi di quella macabra processione.

Avanzava una squadra improvvisata di ragazzi che ridevano per il terrore, urlando come invasati e voltandosi indietro a ogni passo, con qualche cane che abbaiava in mezzo a loro, e alcune donne, travolte dalla corrente lungo i marciapiedi.

Alzati gli occhi atterrita, Mabel vide affacciarsi dalla casa opposta il volto di un uomo pallido e ansioso: doveva essere di certo un invalido che si era trascinato alla finestra per curiosità. Un uomo elegantemente vestito di grigio, due donne con dei bambini e un ragazzino dal volto severo le stavano di fianco vicino alla ringhiera, e tutti parlavano senza ascoltare con gli occhi rivolti alla strada, sulla quale il calpestio e le grida crescevano a ogni istante. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma non poteva. Muoveva le labbra, ma non uscivano le parole: sembrava lo spavento in persona! Nonostante la grande tensione interiore, le si aggiravano per la fantasia le immagini più insignificanti: Oliver che faceva colazione, la sua camera finemente tappezzata, l’oscura chiesetta e la bianca immagine che aveva ammirato poco prima!

Il corteo si stava ingigantendo: una frotta di giovani passava a braccetto sulla carreggiata, parlando e urlando come se nulla fosse; dietro di loro, come l’onda in un torrente di pietre, si ingrossava una folla in cui maschi e femmine si distinguevano appena in quell’ammasso confuso di facce, sotto il cielo che diveniva man mano più scuro.

Se non fosse stato per quelle voci, che lei non riusciva a capire tanto erano confuse e assordanti (e aveva riconcentrato i suoi sforzi nella capacità visiva), Mabel avrebbe potuto credere, davanti a quella fulminea e irresistibile veemenza, di trovarsi di fronte a un esercito di spettri che marciava verso una qualche sconosciuta regione del mondo spirituale apertasi all’improvviso, per poi dileguarsi nuovamente nell’oscurità.

La strada, per quanto le era possibile vedere, rigurgitava da ogni parte; il drappello di giovani (non sapeva dire se camminando o correndo) voltava a destra e lo spazio lasciato dietro era una marea di teste e di volti, che incalzava con una violenza tale che, investite le sbarre della ringhiera, le divelse come cespugli di erba e le spazzò via senza lasciar traccia. Intanto la bambina continua va ad aggrapparsi alle vesti di Mabel.

Incominciarono ad apparire, sovrastanti la folla, alcune cose che non si potevano distinguere per mancanza di luce: degli oggetti di forma fantastica, pezzi di stoffa simili a bandiere che, appesi a dei pali, volteggiavano ora a destra, ora a sinistra, come se fossero vivi.

Facce contorte dall’eccitazione la guardavano passando e le lanciavano grida, ma vedeva poco o nulla. Pensava però che cosa potessero essere quegli strani emblemi e aguzzava le pupille attraverso il buio, per rendersi ragione di quegli oggetti lacerati e sbattuti… quasi indovinando e temendo di indovinare.

A un tratto, dalle lampade nascoste sotto le grondaie, uscì fuori la luce, quella luce potente, dolce e familiare generata da un grande motore sotterraneo, che nello sconvolgimento di quel catastrofico giorno avevano tutti dimenticato; in un baleno quell’accolta confusa di ombre e figure si cambiò in una orribile realtà di vita e di morte.

Davanti a lei passava una gran croce, con sopra una figura umana, le cui braccia pendevano dalle mani in chiodate, dondolando a ogni passo e con una fasciatura che svolazzava per la celerità della corsa. Seguiva, infilzato su un palo, il corpo di un fanciullo bianco e sanguinante, con il capo che cadeva sul petto e le braccia che si muovevano ciondoloni. Infine, vestito con una sottana nera e una mantellina, con una berretta in testa, veniva il cadavere di un uomo legato per il collo, che si contorceva come la corda alla quale era appeso.

[…]

Tutto era perduto… La guerra, l’odio e il delitto rimanevano ancora dentro quel corpo da cui lei aveva creduto fossero spariti per sempre… Le chiese incendiate, i cattolici assassinati, la distruzione delle cappelle e dei conventi… Queste parole erompevano dalla sua bocca sconnesse, interrotte da singhiozzi, da immagini di orrore, da lamenti, da rimproveri; e le accompagnava agitando la testa e contorcendo le mani sulle ginocchia di Oliver. Il crollo era totale!

(R. H. BENSON, Il Padrone del mondo, Verona, Fede & Cultura, 2014)