Nota di Radio Spada: con molto piacere ci apprestiamo a pubblicare questa traduzione di una canzone di crociata di Folchetto di Marsiglia a cura dell’amico Federico Clavesana, un nobile amico di Radio Spada che in questi anni ha impreziosito questo sito con componimenti propri ed altrui. Eccovi tangibilmente quella viva comunità di ingegni e di spiriti cattolici, quel mutuo scambio di cultura e  informazione che caratterizza Radio Spada.

Buona lettura! (Piergiorgio Seveso)

Il testo che si propone è una bellissima canzone di crociata del trovatore provenzale Folquet de Marselha (1155 circa – 1231), che si qualifica come uno dei suoi ultimi componimenti. Al fine di sfatare i miti che vogliono talora una coincidenza di vedute tra l’arte trobadorica occitana e l’eresia catara e albigese, che pur si sviluppa negli stessi territori e in un periodo concomitante, è opportuno riscoprire alcuni brani dell’attività degli antichi trovatori che mostrano una visione differente, come per esempio il genere delle cosiddette cansos de crozada. Folquet de Marselha, da questo punto di vista, è un esempio di primo piano nel mostrare come l’arte poetica del trobar poteva coniugarsi con la fede cattolica. Folquet, figlio di un mercante di origine genovese, dopo essere divenuto uno dei più celebri trovatori ed aver composti altrissime canzoni come quella qui proposta, decide di vestire agli abiti ecclesiastici, divendendo prima abate di Thoronet e poi vescovo di Tolosa. Come vescovo, in particolare, lotterà insieme a san Domenico contro l’eresia catara, per la qual cosa sarà ricordato da Dante nel suo Paradiso.  Partecipò anche al Concilio di Sens, nel 1223, e fu tra i fondatori dell’Università di Tolosa. La chiusa finale, diretta ad un amico del trovatore che Folquet invoglia alla crociata, è caratterizzata dal senhal  “Aziman” con tutta probabilità riferito al trovatore guerriero Bertran de Born.

Hueimais no·y conosc razo
Ab que nos puscam cobrir,
Si ja Dieu volem servir,
Pos tant enquer nostre pro
Que son dan en volc sufrir:
Que·l Sepulcre perdet premeiramen
Et ar sufre qu’ Espanha·s vai perden,
Per so quar lai trobavam ochaiso
Mas sai sivals no temem mar ni ven!
Las quom nos pot plus fort aver somos,
Si doncx no fos tornatz murir per nos.

De si mezeis nos fes do
Quant venc nostres tortz delir,
E fes so say agrazir
Quant si·ns det per rezenso!
Donx qui vol viur’ ab morir
Er don per Dieu sa vid’ e la prezen,
Qu’el la donet e la rendet moren!
C’atressi deu hom morir no sap quo!
Ay quan mal viu qui no·n a espaven
Que·l nostre viures don em cobeitos
Sabem qu’es mals et aquel murir bos.

Aujatz en qual error so
Las gens ni que poiran dir
Que·l cors, qu’om no pot gandir
De mort per aver que·y do,
Vol quex gardar e blandir,
E de l’arma non a nulh espaven
Qu’om pot gardar de mort e de turmen!
Pes quex de cor s’ieu dic vertat o no
E pueys aura d’anar mellor talen!
E ja no·i gart paubreira nuls hom pros:
Sol que comens, que Dieus es piatos.

Cor sivals pot n’aver bo:
D’aitan poira s’en garnir
Que l’als pot Dieus tot complir
E nostre reys d’Arago!
Qu’el no crey saubes fallir
A nulh home que·y an ab cor valen,
Tant pauc vezem que falh’ a l’autra gen!
Non deu a Dieu ges far pejurazo,
Qu’elh l’onrara si·l serv honradamen,
Qu’ogan, si·s vol, n’er coronatz sa jos
Ho sus e·l cel: l’us no·ylh falh d’aquestz dos.

E ja non pretz fol resso
Lo reys castellas, ni·s vir
Per perdre, qu’anz deu grazir
A Dieu que·lh mostr’ e·l somo
Qu’en lui si vol enantir!
Et autr’ esfortz ses Dieu torn’ e nien!
Qu’aissi valra sos rics pretz per un cen
Si acuelh Dieu hueimais a companho!
Qu’elh no vol re mas reconoyssemen:
Sol que vas Dieu no sia ergulhos,
Mout er sos pretz honratz et enveios.

Vida e pretz qu’om vol de folla gen
On plus aut son cazon leugeiramen!
Bastiscam doncx en ferma peazo,
E·l pretz que·s te quan l’autre van cazen:
Que totz sos pretz, sos gaugz e sos laus fos
En pensar fort quant a Dieus fait per nos.

Belhs Azimans, Dieus vezem que·us aten
Que·us volria gazanhar francamen!
Qu’onrat vos te tan que a mi sap bo!
No·l fassatz doncx camjar son bon talen,
Ans camjatz vos, que mais val per un cen
Qu’om s’afranh’ ans que forsatz caia jos.

Traduzione

1) Ormai non conosco ragione con la quale ci possiamo nascondere, se noi vogliamo servire Dio, poiché tanto Egli vuole il nostro bene che per esso ha voluto soffrire il proprio danno; che il Sepulcro ha perso in un primo momento, e soffrirà perché la Spagna si va perdendo, poiché là avevamo un’occasione, ma qui almeno non soffriamo né mare né vento! Poveri noi, come poteva smuoverci con più forza se dunque non fosse tornato a morire per noi!

2) Ci ha fatto dono di Sé medesimo quando venne ad annullare i nostri torti, e qui lo ha fatto ben gradire quando si consegnè per la redenzione; dunque chi vuole morire vivendo, faccia dono della sua vita a Dio e gliela presenti, poiché Egli la donò e la rese morendo, e allo stesso modo ognuno deve morire e non sa come. Ah, come vive male chi non ne ha cura! Le nostre vite di cui siamo avidi sappiamo che sono male mentre quel morire è buono.

3) Ascoltate in quale errore sono le genti e cosa potranno dire! Che il corpo, che non si può salvare dalla morte per quanti averi si donino, ognuno vuole salvaguardare e blandire, e dell’anima non ha nessuna preoccupazione , anche se la può salvare dalla morte e dal tormento: ciascuno pensi in cuor suo se dico la verità o no e poi avrà più voglia di partire; e nessun uomo valente guardi alla povertà: è sufficiente che inizi, perché Dio è pietoso.

4) Il cuore almeno può averlo buono: di tanto si potrà guarnire, perché per il resto ogni cosa può compiere Dio, insieme al nostro Re d’Aragona; perché egli non credo possa mai commettere alcuna mancanza nei confronti nessun uomo che vada con cuore valoroso, e allo stesso modo vediamo che non commette mancanze nei confronti delle altre genti; non deve fare spergiuri a Dio, che lo onorerà se egli lo serve onoratamente, perché quest’anno, se si vuole, sarà incoronato quaggiù o su nel cielo: non mancherà l’una di queste due cose.

5) E il Re castigliano non badi alle ragioni sciocche e non si distolga per ciò che ha perso, ché anzi deve ringraziare Dio che lo smuove e che gli mostra che attraverso di lui si vuole esaltare; e ogni sforzo senza Dio ritorna a niente; e così varranno le sue buone qualità una per cento se ormai accoglie Dio quale suo compagno; ché Egli non vuole mai nulla tranne il riconoscimento: se non sarà orgoglioso nei confronti di Dio il suo pregio sarà molto onorato ed invidiato.

6) La vita e il pregio che si vogliono dalla gente folle, tanto più sono alti tanto più di leggero cadono; costruiamo dunque su solide fondamenta, sul pregio che ci sostiene quando gli altri cadono: che tutti i suoi pregi, le sue gioie e le sue lodi siano nel pensare fortemente a quello che Dio ha fatto per noi.

7) Bell’Aziman, vediamo che Dio vi attende, tanto vi vuole guadagnare francamente, e che tanto vi ritiene onorato che a me fa piacere; non fategli quindi cambiare il suo desiderio, anzi cambiate voi, perché vale più del doppio pentirsi prima di essere costretti a cadere.