di Luca Fumagalli
Gli scrittori francesi che, tra XIX e XX secolo, riportarono in auge il romanzo cattolico, dal punto di vista artistico, per la maggior parte, erano inguaribili snob. Ai loro occhi, infatti, gli oggetti della devozione popolare parevano ridicoli, tant’è che Bloy, Huysmans, Baumann e molti altri stilarono pagine su pagine in cui rustici dipinti raffiguranti il Cristo crocifisso e Sacri Cuori un po’ naif venivano descritti con orrore. Huysmans era addirittura convinto che tale bruttezza, oltre a disonorare la Chiesa, fosse al limite del satanico.
In Inghilterra, nello stesso periodo, gli artefici del revival letterario cattolico mostrarono un’attitudine completamente differente. Anche lì non mancarono certo i fustigatori del cattivo gusto, ma l’atteggiamento prevalente fu piuttosto quello di valorizzare l’arte sacra popolare (senza per questo dovere rinunciare all’amore per i grandi maestri del passato). D’altronde la convivenza con l’iconoclastia protestante – e con il disprezzo per il culto dei santi – fu decisiva per fomentare tale orientamento.
Frederick Rolfe “Baron Corvo” si mostrò “francese” nel midollo quando, in romanzi come Adriano VII, difese l’essenza elitaria del bello, che solo in pochi sono in grado di cogliere e gustare. Ma in questo caso, come in molti altri, Rolfe fu un’eccezione più che una regola.
Esemplare della tendenza dominante nelle isole britanniche fu invece l’opera di Maurice Baring. Nel romanzo C l’eroina, Beatrice Fitzclare, difende a spada tratta il valore della messa, indipendentemente da dove essa venga celebrata, se in un’umile parrocchia di campagna o in una maestosa cattedrale. Ma Beatrice va oltre: dato che il divino è irriducibile in termini umani, forse l’arte popolare, umile, semplice come quella di un bambino, potrebbe paradossalmente offrire una migliore rappresentazione dell’intima natura del cattolicesimo. Sulla stessa linea di pensiero si situa anche la descrizione della cappella privata contenuta in Daphne Adeane.
In una scena di One Poor Scruple in cui Mrs Wilfrid Ward fa il verso al celebre brano del Doran Gray, l’esteta Mark Fields assiste con sgomento a una benedizione in una chiesetta, scioccato dalla bruttezza della suppellettile sacra che lo circonda. L’intento dell’autrice, naturalmente, è ironico. Se da una parte mina a screditare l’atteggiamento spocchioso del suo personaggio, dall’altra esalta la fede semplice – e quindi più autentica – dei Riversdale, un’antica famiglia “recusant” che vive in campagna. Nel prosieguo della vicenda anche Fields, dandy convertitosi alla Chiesa di Roma solo perché attratto dal fasto liturgico, scoprirà infine che la religione non è affare di palato ma di cuore.
L’estetica del pacchiano – aggettivo che ricorre sovente negli scritti cattolici del tempo, il più delle volte in termini d’approvazione – è la cifra che caratterizza buona parte della letteratura “papista” inglese d’inizio Novecento. Se Ronald Firbank ne abusò deliberatamente per creare il mondo ecclesiastico, tutto grottesco e kitcsh, di Sulle eccentricità del cardinal Pirelli, in The Sentimentalists mons. Robert Hugh Benson presenta uno dei protagonisti, il sacerdote Richard Yolland, proprio a partire dagli oggetti sacri che adornano la sua stanza (similmente a quanto avviene per la tata Hawkins in Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh). I ninnoli devozionali, ancora una volta, sono simbolo di una fede schietta, genuina, e perciò viva, lontana dall’aridità di un protestantesimo che ha smarrito il valore della preghiera.
Il gesuita Gerard Manley Hopkins, in una lettera indirizzata al padre, che lo accusava di essersi convertito solo per la magnificenza dei riti, scrisse sarcasticamente che il bello lo si poteva trovare facilmente pure a Canterbury, ma che il cattivo gusto era un’esclusiva di Roma.
Anche il giovane John Gray, poeta decadente amico di Wilde e successivamente sacerdote in Scozia, divenne cattolico dopo che assistette alla messa in una squallida chiesa di periferia: Cristo doveva essere senza dubbio l’autentica risposta alle inquietudini dell’esistenza se la Sua maestà poteva manifestarsi in un simile luogo.
“Il bello del brutto” è un paradosso chestertoniano che ben riassume il giudizio complessivo espresso dal moderno romanzo cattolico inglese sugli oggetti devozionali e, più in generale, sull’arte sacra popolare. Questo approccio è lo specchio fedele di una minoranza fiera di essere tale, che dopo secoli di persecuzioni ancora rivendicava con orgoglio un passato di catacombe e martiri. Del resto, parafrasando Benson, è nelle tenebre che la luce risplende con maggiore intensità.
Fonte: R. GRIFFITHS, The Pen and the Cross, Continuum, Londra, 2010.