di Mattia Spaggiari
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Hallelujah, comparsa nel 1984 nell’album Various positions, è senza dubbio il più celebre brano del cantautore ebreo-canadese Leonard Cohen (1934-2016): si tratta d’una canzone dall’indubbio fascino che sicuramente la maggior parte di voi avrà avuto modo d’ascoltare più d’una volta, ma che soprattutto ci è stata più volte propinata durante concerti pasquali o natalizî, se non addirittura in chiesa, dove viene talora spacciata per brano liturgico o paraliturgico. Premesso che io non sono né un esperto né tantomeno un appassionato di pop o di rock, sia pure – come in questo caso – “d’autore”, l’utilizzo di questo brano alla stregua di musica sacra mi ha spinto a saggiarne più approfonditamente il contenuto, insospettito innanzitutto dalle convinzioni religiose dell’autore, ebreo osservante (anche se dalla vita sentimentale assai turbolenta), ma affascinato a tal punto dal Buddhismo da trascorrere diversi anni in un monastero.
Incominciamo dunque l’analisi del testo: prenderemo in considerazione le strofe che più frequentemente sono state eseguite nelle innumerevoli esibizioni, anche perché la maggior parte di queste fu canonizzata dalla cover di John Cale, la versione certamente più celebre del nostro brano. Cohen infatti scrisse più di ottanta strofe nell’arco di almeno quattro anni e poi per decennî continuò a modificare la canzone, non ritenendosi mai soddisfatto del risultato raggiunto. Prima di cominciare l’analisi è opportuno rimarcare come il tempo prescelto sia il 6/8, caratteristico dei cori gospel, il che contribuisce notevolmente a conferire al brano un’aura di sacralità.
I STROFA

Now I’ve heard there was a secret chord

Ho sentito che c’era un accordo segreto

That David played, and it pleased the Lord.

che Davide suonava ed era gradito al Signore.

But you don’t really care for music, do you?

Ma a Te non interessa veramente la musica, vero?

It goes like this: the fourth, the fifth,

Fa più o meno così: il quarto, il quinto,

The minor fall, the major lift

la discesa del minore, la salita del maggiore,

The baffled king composing Hallelujah

mentre il Re, frastornato, compone l’Hallelujah.

Hallelujah (x4)

Hallelujah

Nei primi due versi Cohen si riferisce probabilmente alla musica che Davide suonò sull’arpa per placare lo spirito maligno che aveva preso possesso del Re Saul in seguito alla sua ribellione contro Dio (1Sam xvi, 21-22); o forse ha in mente i Salmi, ed in particolare il Miserere, opzione che, come si vedrà, parrebbe giustificata dalle strofe successive. Cohen si immedesima nel Re Davide, o sarebbe meglio dire che Davide rivive in lui: in quanto unto del Signore, Davide diviene esempio paradigmatico del rapporto d’alleanza tra Dio e gli uomini che tra tutti Egli presceglie, cioè, come ancor oggi gli Ebrei falsamente ritengono, tutti gli Israeliti che osservano la sua Legge, dunque anche il nostro autore; tuttavia questo rapporto d’alleanza viene incrinato per entrambi a causa del peccato cui non riescono a sottrarsi; ma parimenti entrambi riescono colla musica ad esprimere la bellezza del Signore: dopotutto è proprio la sua abilità di citarista che Dio sfrutta provvidenzialmente per introdurre il suo amato Davide alla Corte del Re e condurlo così verso il suo destino di gloria. Ma nel terzo verso risorge in Cohen il dubbio che dopotutto la musica non sia gran cosa e non possa veramente risolvere l’antifrasi tra peccato ed Alleanza che scandisce tutta la canzone. Sempre qui comincia però anche un’anfibologia destinata a protrarsi per tutta la canzone: a chi si sta rivolgendo qui l’autore? a Dio oppure alla sua donna? Se da un lato il sottinteso è che ciò che interessa veramente alla sua donna è il sesso e non la musica, dall’altro Dio sembra aver più a cuore il rispetto della Sua Legge che l’arte e non fu certo per le sue abilità canore che scelse Davide, ma per quelle di Sovrano. Segue una descrizione degli accordi che fanno da base al brano: Cohen costruisce qui una climax ascendente attorno all’accordo di dominante, per cui, dal momento che la tonalità della canzone è do maggiore, avremo che l’accordo costruito sul quarto grado della scala, cioè sulla sottodominante, sarà di fa maggiore, sul quinto avremo il dominante di sol maggiore, sul sesto il sopradominante di la minore; dunque si ritorna daccapo con un altro fa maggiore; tuttavia l’accordo minore si trova ad essere il più acuto di questo crescendo, ma nonostante ciò viene chiamato “ fall” (“caduta”) mentre al contrario la seguente “ lift” (“salita”) dell’accordo maggiore corrisponde ad una diminuzione d’altezza; si noti poi che mentre risuona l’ultimo accordo di fa maggiore, la melodia principale continua imperterrita a salire. Se si aggiunge che fin dall’inizio la canzone si fonda sull’alteranza di accordi di do maggiore e la minore, risulterà chiara la volontà di suggerire un’antitesi: si tratta delle due Hallelujah di cui si parlerà dopo, quella sacra e quella profana, la cui sintesi non può venire che dallo slancio vitalistico suggerito dal crescendo della scala di do maggiore, la quale nel suo euforico incedere contempla anche il la minore, s’intreccia con esso in modo inestricabile, ma alla fine lo integra nel complessivo andamento maggiore in una sintesi quasi hegeliana, simboleggiata appunto dalla musica, la più pura espressione della vita universale. Non per nulla il Re Davide, alias Cohen, si dice “frastornato”: egli stesso è imbarazzato davanti a quest’antitesi che lo porta a domandarsi come possa, peccatore com’è, essere strumento del Signore e modulare sull’arpa una musica simile, che per lui rimane misteriosa. Forse è proprio per questo motivo che Cohen stesso faticò a trovare una versione definitiva di questa canzone, che per lui rimase sempre, come ebbe occasione di dichiarare, un enigma.
II STROFA

Your faith was strong but you needed proof;

La tua fede era forte, ma avevi bisogno d’una prova;

You saw her bathing on the roof

la vedesti fare il bagno dal tetto,

Her beauty and the moonlight overthrew you

la sua bellezza ed il chiaro di luna ti vinsero.

She tied you to a kitchen chair,

Ella ti legò ad una sedia da cucina,

She broke your throne, and she cut your hair

ruppe il tuo trono e tagliò i tuoi capelli

And from your lips she drew the Hallelujah

e dalle tue labbra tirò fuori l’Hallelujah.

Hallelujah (x4)

Hallelujah

Davide è senza dubbio un uomo di Dio, ma, messo alla prova, cede alla bellezza del mondo e pecca mortalmente. Allora la sua figura si fonde con quella di Sansone, sia pure un Sansone aggiornato al xx secolo, anch’egli vivo attraverso l’autore. L’uno come l’altro, vinto dalla lussuria, perde la forza che gli veniva dall’Alleanza con Dio (nel caso di Sansone dalla sua condizione di nazireo) ed incomincia un percorso di tormento esistenziale in cui si può vedere l’eco dei lunghi periodi di depressione attraversati da Cohen. Ed ecco che all’ultimo verso, coll’allusione al bacio di Betsabea e di Dalila, per la prima volta ci troviamo di fronte ad un passo apertamente blasfemo: si mettono sullo stesso piano il godimento – per giunta gravemente peccaminoso – dei sensi con la purezza dell’ Hallelujah sacra, locuzione ebraica che significa “lodate Dio”. Tutta la canzone si configura dunque come rendimento di grazie, ma non solamente per la giustizia, la bellezza, la santità di Dio e per quanto Egli si degna quotidianamente di concederci in funzione della Salvezza, ma anche ed insieme per l’ebbrezza del mondo, la quale però non viene da Dio, ma dal demonio. Si tratta d’un errore tipico degli Ebrei, che non vivono la loro fede – come Cristo ci ha insegnato – nell’amore e dunque nell’anelito ad uscire da questo mondo per congiungersi eternamente con Dio, ma come promessa di beni di questo mondo ed attesa d’un compimento terreno della storia fatto di potere, abbondanza e prosperità. Al limite il Buddhismo può aver insegnato a Cohen la necessità distacco dai beni materiali – e grazie al Qoelet egli può anche avere appreso a giustificare e relativizzare tale distacco inserendolo nell’alveo della fedeltà all’Alleanza – ma non l’ha certo condotto sulla via dell’amore, che nessuna meditazione umana potrà mai insegnare. Per gli Ebrei l’antifrasi della Croce rimane nient’altro che scandalo, nell’ottusa convinzione che nessuna morte possa condurre alla vita.
III STROFA

Baby, I’ve been here before.

Bimba, sono già stato qui.

I know this room, I’ve walked this floor.

Conosco questa stanza, ho camminato su questo pavimento.

I used to live alone before I knew you.

Vivevo solo prima di conoscerti.

I’ve seen your flag on the marble arch,

Vidi il tuo vessillo sull’arco di marmo,

But (listen) love is not some kind of victory march,

ma -ascolta– l’amore non è una qualche sorta di marcia trionfale,

No, it’s a cold and it’s a very broken Hallelujah!

no, è una fredda e molto spezzata Hallelujah!

Hallelujah (x4)

Hallelujah

In questa strofa ci si immerge pienamente nell’ Hallelujah profana e la storia di Davide e Sansone s’intreccia ai ricordi delle relazioni amorose di Cohen. L’autore sembra vivere un periodo di crisi colla donna, dal momento che – e questo lo sa bene – ogni rapporto che contrasta colla Legge di Dio non può condurre alla felicità, ma solamente alla depressione. Ma a poco a poco, procedendo nell’ascolto, con nostra somma sorpresa ci rendiamo conto che i due aneliti, quello carnale e quello spirituale, non vengono più contrapposti, ma cominciano a coincidere, ed una crisi nell’uno incomincia a significare una crisi nell’altro, e viceversa. Per il momento è dietro il velo della vita sentimentale di Cohen che si cela, tra le righe, il suo rapporto con Dio. Egli entra in una casa dov’era già stato precedentemente, probabilmente torna colla donna amata nel luogo dove aveva vissuto da scapolo; se enigmatico rimane il riferimento all’arco di marmo, dovuto probabilmente ad una memoria personale, è indubbio che quest’immagine evochi col suo fasto la felicità che Cohen si augurava di trovare inaugurando questa relazione; eppure tale amore non si rivela in grado di garantire la pace, ma anzi porta con sé infiniti tormenti, e la gioja che se ne prova è “fredda” e “spezzata”; insomma, l’autore è insoddisfatto come prima di incontrare la donna (donde il ritorno nello stesso appartamento) per il semplice fatto che l’appagamento dei sensi non conduce mai alla felicità – e dal riconoscimento di questa verità emerge l’interesse di Cohen per il Buddhismo. Ma allo stesso tempo si esprime la solitudine causata dall’abbandono dell’Alleanza con Dio: si tratta di tornare a vivere una vita priva d’un autentico significato – come quella prospettata da Qoelet – ritornare nella vecchia casa, lontano dalla Terra promessa. Nonostante ciò il Signore «alzerà un vessillo per le nazioni e raccoglierà gli espulsi di Israele; radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli della terra» (Is xi, 12). Dunque il Signore perdona e vuole ricondurci a Sé, ma nonostante il Suo vessillo sventoli sull’arco di trionfo della storia, la storia è tutt’altro che una marcia trionfale, ma anzi un lento e faticoso cammino fatto d’innumerevoli cadute ed infedeltà. Viene il sospetto che si tratti di una scusa per rimandare il pentimento.
IV STROFA

There was a time you let me know

C’era un tempo in cui mi facevi sapere

What’s really going on below,

cosa veramente succedeva di sotto,

But now you never show it to me, do you?

ma ora non me lo mostri più, non è vero?

I remember when I moved in you,

Mi ricordo quando mi muovevo in Te,

And the holy dove she was moving too,

ed anche la sacra colomba si muoveva,

And every single breath that we drew was Hallelujah!

ed ogni singolo respiro che noi esalavamo era Hallelujah!

Hallelujah (x4)

Hallelujah

Ed ecco che il rapporto colla donna sfuma sempre più in quello con Dio, tanto da ritornare all’ambiguità di cui sopra, ma stavolta al contrario è la lettera che sembra avvicinarsi di più al dialogo con Dio, mentre solo nei sottintesi possiamo trovare indubbî riferimenti agli amori profani. Con infinita nostalgia si guarda retrospettivamente alla perfezione dell’antica intesa tra i due amanti, la quale però è tutt’uno con l’intesa tra l’autore e Dio. Un tempo Dio guidava Cohen, come Davide e Sansone, sulle Sue vie e gli mostrava il senso della vita e degli avvenimenti terreni, ma ora che si è separato dalla Sua Alleanza cedendo al peccato, si ritrova sperduto per le vie del mondo; tuttavia qui si vuole similmente intendere anche che da qualche tempo i rapporti sessuali colla sua donna sono cessati (si colga al secondo verso la velata allusione alle di lei pudenda). La fusione con Dio per mezzo dello Spirito Santo come coll’amata per mezzo dell’atto sessuale (si colga nell’immagine della colomba una nuova allusione blasfema alle di lei pudenda) porta ad esalare un ulteriore grido di gioja. È per strofe come questa che uno dei più celebri esecutori di questa canzone, Jeff Buckley, ha affermato, certo esagerando, che in essa non c’è nulla di religioso, mentre a ben guardare ciò di cui si parla dall’inizio alla fine è l’orgasmo sessuale. Si noti infine che il verbo, “ draw” è lo stesso usato alla seconda strofa per il bacio di Betsabea: che s’indichi il piacere sensuale con un verbo che normalmente significa “sguainare”, di contesto dunque militare, può suggerire un parallelo quanto mai fuori luogo tra la militanza per Dio (sia Davide che Sansone furono non per nulla grandi comandanti) e la falsa gioja della carne.
V STROFA

Maybe there’s a God above,

Forse c’è un Dio lassù,

As for me, all I’ve ever seemed to learn from love

quanto a me, tutto ciò che pare io abbia mai imparato dall’amore

Is how to shoot at someone who outdrew you.

è come sparare a qualcuno che estrae la pistola più velocemente di te.

Yeah but it’s not a complaint that you hear tonight,

Sì, ma non è un lamento quello che ascoltate stanotte,

It’s not the laughter of someone who claims to have seen the light

non è il riso di qualcuno che pretende d’aver visto la luce:

No it’s a cold and it’s a very lonely Hallelujah.

no, è una fredda e molto solitaria Hallelujah.

Hallelujah (x4)

Hallelujah

Ed ecco che si registra in questa strofa lo scacco esistenziale di Cohen: egli si considera un fallito, un uomo che, immerso nella lotta per l’appagamento del proprio piacere, dalla vita non ha imparato nulla e che al punto in cui si è ridotto è giunto a dubitare di tutto, anche di Dio. Ma – e qui cominciamo a capire la vera natura di questa canzone – nonostante ciò egli non vuole lamentarsi, né fingere ipocritamente di essere in possesso di qualche superiore conoscenza o virtù, illudendo sé stesso prima degli altri: la sua Hallelujah è piuttosto il grido di spontanea esultanza di chi, immerso fino alla gola nella melma del peccato, non ha cessato di proclamare la bellezza della vita, in tutte le sue sfaccettature, virtuose e peccaminose, e pertanto di lodare il suo Creatore. Egli riconosce il suo errore e soffre per esso, ma non riesce a detestarlo ed anzi, poiché non vede il piacere che ne è conseguito in radicale dicotomia col bene promessogli dalla sua fede, proprio per questo ancora ne gode profondamente.
VI STROFA

You say I took the name in vain:

Tu dici che pronunzio il Tuo Nome invano:

I don’t even know the name.

Nemmeno lo conosco il Tuo Nome,

But if I did, well really, what’s it to you?

Ma se Lo conoscessi, – ottimo, che Te ne importerebbe?

There’s a blaze of light in every word

C’è una scintilla di luce in ogni parola,

It doesn’t matter which you heard

non importa quale Tu ascolti,

The holy or the broken Hallelujah

la sacra o la spezzata Hallelujah.

Hallelujah (x4)

Hallelujah

Cohen sa di essere blasfemo, ma tenta di giustificarsi in modo assai ingegnoso. Dal momento che – com’è ovvio per un ebreo, ma non è più vero dopo la venuta del Messiah – tra noi uomini e Dio permane un’incolmabile distanza, l’uomo peccatore come Cohen e come Davide non può comprenderlo e rimane estasiato dinnanzi alla sua stessa musica come dinanzi alle sue imprese che gli pajono eccedere infinitamente le limitate capacità umane; l’autore dunque non ho veramente insultato Dio per il semplice fatto che, non conoscendoLo veramente, non può parlare di Lui. Ora, nella parola per gli antichi risiede l’essenza della cosa, per cui nominare qualcuno significa evocarlo, renderlo presente: proprio dalla sacralità della parola deriva la fissità jeratica del formulario sacro. Allora il cantante, modulando la parola nel modo più sacro e potente di tutti, vale a dire in musica, è la sola persona che, con il suo canto, può cogliere l’essenza del mondo. Di conseguenza Cohen può dire che la luminosità dell’essere risiede nelle parole. Ma se anche conoscesse la vera identità di Dio, non sarebbe un peccato – dice – associarla a quanto egli ha fatto, dal momento che la bellezza del Creatore risplende in tutto il creato, anche nei suoi aspetti più triviali. Qui ovviamente non si tiene adeguatamente conto del peccato originale e si scambia una gioja perversa che viene da Satana per un bene proveniente da Dio.
VII STROFA

I did my best, it wasn’t much

Ho fatto del mio meglio, non è stato molto.

I couldn’t feel, so I tried to touch

Non riuscivo a sentire, così ho provato a toccare.

I’ve told the truth, I didn’t come to fool you

Ho detto la verità non sono venuto a prenderTi in giro.

And even though it all went wrong,

Ed anche se tutto è andato male,

I’ll stand before the Lord of Song

starò al cospetto del Signore della canzone

With nothing on my tongue but Hallelujah

con nient’altro sulla mia lingua che l’Hallelujah.

Hallelujah, Hallelujah…

Hallelujah, Hallelujah…

È giunto il tempo del bilancio finale, dichiaratamente in perdita. Cohen ha provato a seguire la via del Signore, ma, a causa della sua infedeltà, non ha ottenuto molti risultati. Per lui la sola spiritualità non era sufficiente, aveva bisogno anche della carnalità. Segue al terzo verso un doppio senso blasfemo: il verbo “ fool” da un madrelingua non può non essere associato a “ fool around”, termine volgare per indicare il rapporto sessuale. L’intreccio di sacro e profano tocca qui il suo più audace parossismo. Di solito in questo verso Cohen per omaggiare il suo pubblico inseriva il nome della città in cui si teneva il concerto (i.e. «non sono venuto a Londra solo per prenderTi in giro»). Alla fine della sua vita che cosa potrà egli presentare davanti a Dio? Se Dio è Colui da cui proviene quella gioja per cui il suo cuore esulta e per cui la sua lingua canta l’accordo segreto con cui il Re Davide scacciava i demonî, allora Egli non è altro che il Signore della canzone, cioè di quella musica misteriosa che unisce in mirabile sintesi sacro e profano; e davanti a Lui il peccatore non potrà fare altro che cantare.
In sintesi, Cohen inquadra correttamente le due forze che agiscono nel cuore umano, ma risolve la tensione tra le due non come Nostro Signore ci ha insegnato, bensì tentando con una bizzarra sintesi se non di giustificare, comunque di riqualificare il peccato in quanto assenso alla vita creata da Dio e pertanto buona. Penso sia inutile ribadire che tale cecità è il frutto avvelenato di una mentalità che, come quella ebraica e quella contemporanea dalla prima tanto influenzata, non conosce una vera trascendenza e pertanto non conosce nemmeno il vero amore. Tutto ciò non è nuovo: il panteista Goethe nel Faust era già arrivato a decretare per il suo protagonista la salvezza (una salvezza ovviamente metaforica, corrispettivo d’una realizzazione umana meramente temporale ed intraterrena) come premio per non aver mai smesso di desiderare, e a relegare la dannazione alla cessazione del desiderio e con esso dell’anelito al meglio e dunque della vita stessa; nonostante ciò egli concepiva i desiderî più triviali in continuità colle aspirazioni più elevate dell’uomo (vedasi l’utopia finale) in modo non dissimile alla scala gerarchica dei beni proposta dal Tomismo, non senza suggerire la differenza tra il loro perseguimento semplice ed ordinato, come per Margherita prima dell’incontro con Faust, e titanico e disordinato (ma non per questo – stando a Goethe –  meno nobile), grazie all’intervento di Mefistofele; se però in Goethe manca la fondamentale distinzione tra amor concupiscientiae ed amor benivolentiae, tra Wunsch e Sensucht, essa invece è distintamente avvertita dal religioso Cohen, che tuttavia la stravolge non limitandosi cristianamente a giustificare e circoscrivere il primo in funzione ancillare al secondo ma tentando di dargli dignità in nome di un presunto fondamento vitale che col secondo avrebbe in comune, ignorando come l’essenza dell’amore non sia altro che “pura morte”.
Pur non negando l’indiscutibile valore artistico della canzone, ritengo che tali blasfemie, se anche possono stimolare la riflessione di un fedele accorto e di solidi principî, non possano legittimamente trovare spazio in un luogo di culto, tantomeno laddove ci vengano spacciate per musica sacra.