Nota di Radio Spada: tra i nostri scrittori abbiamo certamente degli specialisti.  Se Massimo Micaletti è attento studioso delle questioni bioetiche, se Pietro Ferrari è fine politologo e polemista economico, se Giuliano Zoroddu è un “sacro scrittore” molto erudito, se Alessandro Luciani è un apologeta a tutto campo, se Luca Fumagalli spazia tra letteratura anglosassone antica e moderna e le arti visive, se Simone Gambini è un inesausto cultore delle sub culture pop contemporanee, Mattia Spaggiari apre per Radio Spada gli confinati campi della letteratura tedesca. Anche qui troviamo spunti interessanti per la battaglia culturale e religiosa cattolica integrale che conduce il nostro blog. Questo lungo articolo viene pubblicato in tre puntate il 28 agosto, il 29 agosto ed il 30 agosto 2018. Pur continuando a seguire le polemiche quotidiane di gazzettieri ed ecclesiologici, Radio Spada continua con voi lettori questo dialogo fruttoso e vivificante. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso)

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Il Principe di Homburg si apre invece con una visione notturna: nel giardino del castello di Fehrbellin, la notte prima della battaglia decisiva tra gli eserciti di Brandeburgo e Svezia, una delle battaglie che, al termine della Guerra dei trent’anni, contribuì decisivamente alla crescita della potenza prussiana, il Principe di Homburg siede assopito ai piedi di una quercia, intrecciandosi una corona d’alloro; all’improvviso dalla scalinata del castello, le torce in mano, esce, insieme al Principe Elettore, la corte brandeburghese al gran completo, dai cui discorsi di comprende come Homburg si sia attardato durante un inseguimento per riposare e, incantato dalla luna, sia rimasto sonnambulo ad aggirarsi nel giardino, mancando l’appuntamento con il suo esercito. Allora l’Elettore gli strappa di mano la corona, vi avvolge intorno il suo collare principesco e lo porge a sua nipote Natalia, perché essa ne cinga il capo del Principe; ma appena prima che ciò si compia, tutta la corte rientra in fretta nel palazzo, nonostante Homburg invochi il Sovrano chiamandolo suo padre, l’Elettrice sua madre e Natalia sua sposa; e le porte si chiudono rumorosamente alle parole dell’Elettore: «Torna nel nulla, signor principe di Homburg, nel nulla, nel nulla! Se non ti dispiace, ci rivedremo sul campo di battaglia. Non è in sogno che si conquistano certe cose.» Il Principe crede perciò d’aver sognato: eppure tra le sue mani rimane un guanto della bella Natalia. Il giorno dopo, nella sala del castello in cui si stanno impartendo gli ordini per la battaglia, insieme all’Elettore, la sua consorte ed i generali, è presente anche Natalia, a guardar la quale il Principe si distrae dalla voce del Feldmaresciallo Dörfling, col risultato che non comprende bene gli ordini. Lasciando cadere il guanto, fa in modo che Natalia lo veda e lo venga a cercare, per aver così la prova della verità della visione di quella notte e dell’identità della giovane, che prima d’allora non aveva mai veduta. Sul campo di battaglia Homburg, secondo i piani prestabiliti, per attaccare dovrebbe attendere uno squillo di tromba, ma visto il proprio esercito in difficoltà, decide di anticipare i tempi, e grazie alla sua iniziativa la battaglia è vinta. Poco dopo arriva però la notizia della morte del Principe Elettore, udita la quale Homburg si precipita da Natalia per consolarla ed in quell’occasione i due si dichiarano il loro reciproco amore e si fidanzano. Subito dopo giunge la smentita: l’Elettore è vivo ed anzi fa arrestare Homburg per aver disobbedito agli ordini. In prigione egli riceve la notizia che la corte marziale l’ha giudicato reo di morte, ma egli non teme, certo della grazia da parte dell’Elettore: gli ha fatto vincere la battaglia, come può egli volerlo morto? dovrebbe proprio essere senza cuore. Tuttavia il suo amico Conte Hohenzollern demolisce le sue speranze: l’Elettore ha già firmato la sentenza ed è pronto a farla eseguire all’alba di domani. Il Conte ventila l’ipotesi che a dettare al Principe la decisione di far condannare l’amico sia stata anche la volontà di dare Natalia in isposa al Re di Svezia per concludere al più presto la pace. Al che Homburg decide di domandare la grazia all’Elettrice, su cui sa d’avere un maggiore ascendente, ma durante il tragitto egli vede coi suoi occhi la fossa che stanno scavando per lui e va nel panico; egli si presenta alla Principessa – e a Natalia che siede vicino a lei –  annaspante come un animale e disposto a tutto pur di vivere, ma ella si dichiara impotente di fronte alla volontà di Dio. Allora Homburg: «Rinuncio a ogni diritto alla felicità. Quanto a Natalia – non dimenticati di dirglielo – non ne ho più nessun desiderio, nel mio cuore si è spenta ogni tenerezza che provavo per lei. È di nuovo libera come il capriolo in piena landa, come se io non fossi mai esistito. Può concedere la sua mano e la sua parola a chi vuole; fosse anche re Carlo Gustavo di Svezia, bene, ha la mia approvazione. Mi ritirerò nelle mie terre sul Reno, e là voglio costruire e demolire con fatica e sudore; e seminare e mietere come se lo facessi per la moglie e i figli, ma ne godrò io solo; e dopo il raccolto seminerò ancora, percorrendo e ripercorrendo il cerchio della vita finché tramonterà e si spegnerà nella notte.» E alzatosi in piedi e voltosi verso Natalia: «Tu piangi, povera fanciulla. Oggi il sole illumina la sepoltura di tutte le tue speranze. Sono stato io quello che il tuo cuore ha scelto, e ti guardo negli occhi, schietti come l’oro, capisco che tu non sarai mai di un altro. Ma io, sciagurato, che cosa posso inventare per consolarti? Dammi retta, va’ da tua cugina Thurn, sul Meno, al pensionato per signorine nobili, cerca sui monti un ragazzo biondo, ricciuto come me, pagalo a peso d’oro e d’argento, stringilo al tuo petto e insegnali a balbettare: ‘Mamma!’. E quando sarà più grande, fagli vedere come si chiudono gli occhi ai moribondi. Questa è l’unica felicità che l’avvenire ti riserva.» Al che Natalia, alzandosi e poggiando la sua mano su quella di lui: «Va’, giovane eroe, torna nel tuo carcere, e lungo la strada guarda ancora una volta, senza sgomento, la fossa che hanno scavato per te. Non è minimamente più buia né più larga di quella che mille volte ti ha prospettato ogni battaglia. Io frattanto, fedele a te sino alla morte, cercherò di dire allo zio una parola che ti possa salvare. Chissà che non riesca a toccare il suo cuore e a liberarti dalle tue pene!» Homburg allora contemplandola e giungendole le mani colle sue: «Fanciulla, se tu avessi due ali alle spalle, davvero io ti crederei un angelo. Oh Dio, ma ho sentito bene? Tu parleresti in mio favore? Bambina cara, dove hai nascosto finora la faretra delle parole, tu che ora osi affrontare il sovrano in una circostanza come questa? O luce di speranza, che tutt’a un tratto mi rianima!» Ed ella: «Sarà Dio a porgermi le frecce che vanno a segno! Ma se il principe non potrà, non potrà in nessun modo cambiare la sentenza del tribunale, ebbene, tu la accetterai da valoroso. Chi da vivo ha vinto mille volte, saprà vincere anche nella morte.» E così Natalia corre dall’Elettore a supplicarlo di conceder la grazia al suo amato: «Ai tuoi piedi, nella polvere, com’è giusto, voglio supplicarti di graziare mio cugino Homburg! Non ti chiedo la sua vita per me. Il mio cuore lo desidera, e te lo confessa. Ma non è per me che chiedo la sua salvezza. Sposi pure la donna che vuole. Voglio solo che viva, caro zio, per se stesso, indipendente, come un fiore che mi piace. Questo imploro da te, mio signore e amico supremo, e so che mi esaudirai. […] Oh, non vorrai respingere con un calcio questo suo errore… biondo, con gli occhi celesti, che il tuo perdono dovrebbe sollevare da terra prima ancora che abbia balbettato: ‘Scusami!’ Basta la madre che lo ha messo al mondo per far sì che tu lo stringa al cuore e gli dica: ‘Su, non piangere. Tu mi sei caro come la stessa fedeltà.’ Durante la battaglia, non fu lo zelo per la tua gloria che lo spinse a infrangere la barriera della legge? E dopo che, ahimè, la sua foga giovanile l’ebbe infranta, non calpestò la testa del drago con forza virile? La storia non pretende da te che tu prima lo incoroni perché ha vinto, poi lo decapiti. Sarebbe talmente sublime, caro zio, da poterlo quasi definire disumano! E Dio, finora, non ha creato nessuno più mite di te.» L’Elettore sarebbe anche disposto a conceder la grazia, ma non può opporsi a suo piacimento alla sentenza del tribunale competente solo perché il condannato è un suo congiunto, fidanzato con sua nipote e perché si è mostrato generoso, insomma in nome del sentimento. Senza il rigore della legge, la patria, rosa dall’arbitrio d’un tiranno, non potrebbe sostentarsi. Ma quando Natalia gli dipinge lo stato miserevole in cui il cugino Homburg s’era presentato a lei e all’Elettrice, pronto a rinnegare ogni più sacro valore e affetto pur di salvarsi la vita, totalmente spogliato d’ogni dignità, allora l’Elettore ha un’idea: che egli sia risparmiato, se ritiene d’aver subita un’ingiustizia. La nipote si precipita allora dall’amato colla lettera con cui l’Elettore gli concede la grazia, ma Homburg si rende conto di non esser vittima di nessuna ingiustizia e che invece la sua punizione è giusta poiché egli ha volontariamente infranto la legge, non importa quale sia stato il frutto di codesta trasgressione. «Se, nobile d’animo come sei – cerca di convincerlo la fanciulla – non te la senti di opporti alla sentenza del tribunale, se non l’annulli facendo ciò che l’Elettore ti chiede in questa lettera, ebbene, ti assicuro che, come stanno le cose, lui ti rispondeva in modo altrettanto sublime e, pur con grande compassione, domani farà eseguire la sentenza.» «Non importa» le risponde Homburg. «Non importa?» «Lui agisca come la legge gli consente; a me tocca agire come devo.» «Prendi questo bacio! Anche se ora dodici pallottole ti facessero cadere nella polvere, non potrei farci niente: griderei di gioia, piangerei e direi: ‘Così mi piaci.’ Però, se tu segui il tuo cuore, anch’io avrò il diritto di seguire il mio.» E pertanto Natalia farà un ultimo disperato tentativo cercando mobilitare buona parte dello stato maggiore perché interceda per lui presso il Principe Elettore; inutilmente: Homburg stesso si proclama davanti a tutti loro risoluto a scontare il fio della sua colpa. È ancora notte quando il Principe, gli occhi bendati, viene portato nel giardino di Fehrbellin per la fucilazione. «Ora, immortalità, sei tutta mia! Attraverso questa benda che mi copre gli occhi, tu mi abbagli col fulgore di mille soli. Sulle spalle mi crescono le ali e il mio spirito si libra negli spazi silenziosi dell’etere. Come una nave spinta dall’alito del vento vede sparire in lontananza il brulichio del porto, così tramonta per me ogni forma di vita. Per un attimo distinguo ancora colori e figure, poi sotto di me tutto diventa nebbia.» Mentre Homburg è ancora bendato, come all’inizio del dramma, si spalanca il portone del castello e la corte, le torce in mano, scende dallo scalone. Quando il Principe viene sbendato, dinanzi ai suoi occhi può mirare lo spettacolo dell’Elettore che intreccia il suo collare alla corona d’alloro e lo porge a Natalia; costei ne cinge il capo vittorioso dell’amato e, presa la sua mano, la pone sul suo cuore. Homburg, vinto da tanta felicità, sviene, ed in tutta risposta l’Elettore lo fa svegliare a salve di cannone. Rinvenuto, mentre la corte e gli ufficiali lo acclamano, il Principe domanda al colonnello Kottwitz: «No, ma dite: è un sogno?» «Un sogno: che altro?»

Il Principe di Homburg vive in prima persona il contrasto tra legge e sentimento (Gesetz e Gefühl) e, dopo uno sbandamento figlio della paura, riesce a ricomporre in sé tale dissidio, mentre a ricomporlo nel mondo è la saggezza del Principe Elettore. Homburg, che rappresenta il puro sentimento, sogna la gloria (la corona d’alloro), il potere (il collare principesco), l’amore (Natalia), e per questo s’apparta nella notte dalle insidie d’un mondo che, intento a combattere per accumulare beni e ricchezze, presta ossequio alla legge, ma ha rinnegato i veri valori; che cosa rimane al risveglio di tutti i nostri sogni? Solamente un guanto di Natalia, cioè l’amore, cioè quanto della nostra beatitudine di uomini da noi soli dipende, senza che il resto del mondo v’abbia voce in capitolo; l’amore è dunque il pegno d’assoluto che l’eternità concede a noi mortali in questa vita. Homburg ama profondamente la sua Patria ed il suo stesso Sovrano e quando vede che le vicissitudini della battaglia volgono al peggio, non sa trattenersi ed attacca; è proprio questa sua spregiudicatezza, questa sua capacità di dare ascolto al cuore che propizia la vittoria ai brandeburghesi, non la disciplina e l’obbedienza. Egli si fa portavoce del nuovo patriottismo, non più quello dinastico incarnato dall’Elettore, ma di quello su base etnica e culturale che sarà, nel secolo xix, alla radice dell’edificazione degli stati-nazione. Non è un caso se la felicità del Principe pare trovare coronamento subito dopo la battaglia, quando, creduto morto il Principe Elettore, egli si fidanza con Natalia ed è da tutti salutato come vincitore: la legge, simboleggiata dall’Elettore, è per un istante venuta meno, il sentimento ha trionfato ed il mondo pare un cielo; ma è una felicità illusoria. L’Elettore è vivo, la legge c’è e non si può ignorare, nemmeno se la sua violazione porta dei benefici: il fine non giustifica i mezzi. Come in precedenza il cuore aveva guidato Homburg ad agire bene, ora la paura gli fa travisare i valori e ne consegue la scena di terrore in cui egli è disposto a sacrificare tutto alla conservazione della propria vita. Kleist stesso, messo alle corde da uno scetticismo radicale, frutto della scoperta di Kant, si era risolto ad abbandonare tutto per cercare di tornare allo stato di natura coltivando un piccolo appezzamento di terra in Isvizzera, ma la sua vocazione letteraria, insieme alla necessità di incitare i tedeschi, colla penna e colla voce, a resistere all’invasione francese, l’aveva riportato indietro, esattamente come Homburg decide di non sottrarsi al suo dovere, ma di sacrificare se stesso in suo nome. È la lettera dell’Elettore ad aprirgli gli occhi e a consentirgli di riconciliarsi colla legge nel solo modo possibile: amandola disinteressatamente. Ecco la soluzione per riconciliare mente e cuore: la legge non va semplicemente rispettata perché viene dall’autorità, ma va amata perché è essa stessa bene. Ora, la legge morale assoluta prevede che ad una violazione consegua una pena, e tale dev’essere anche il parere del nostro cuore, altrimenti il nostro cuore è fallace; ciò non vuol dire che il Principe avrebbe dovuto sottostare agli ordini e non attaccare, ma solamente che, una volta compiuto il suo nobile gesto, egli dev’essere pronto a pagarne le conseguenze. Solo in questo momento, analizzando criticamente il proprio agire a posteriori, il Principe ritrova la stima di Natalia, la quale fin dall’inizio si fa simbolo vivente di tale conciliazione: ella, disinteressatamente come prescrive Kant, domanda salva la vita dell’amato non per sé, ma per lui stesso, perché viva e fiorisca come un bel fiore, anche se ella non lo coglierà mai: il cuore la spinge a chiedere la grazia fino alla fine, ma non per altro motivo che per aver compreso lo spirito della legge, che in tal caso oltrepassa e contraddice la lettera: in lei sono assolute allo stesso tempo sia le istanze della legge che quelle del sentimento. E fino alla fine è proprio l’Elettore il più strenuo difensore della lettera, la quale sarebbe certo sublime, giacché anch’essa è espressione di giustizia, e d’una giustizia totalmente gratuita e disinteressata: ma ancor più sublime è che la lettera della legge non ne violi lo spirito; che la notte dell’esecuzioni non si spari per uccidere, ma sì per festeggiare il vincitore di Fehrbellin: il sentimento si è dimostrato degno inchinandosi alla legge e la legge si è dimostrata umana – anzi, divina – complimentandosi col sentimento, il tutto escludendo categoricamente ogni forma di interesse o di secondi fini che non siano l’ossequio all’ideale di giustizia. I Sovrani stessi non sono più distanti e convenzionali, ma l’Elettore è realmente padre, l’Elettrice madre e la Principessa d’Orange loro nipote addirittura sposa: lo Stato ritorna alla sua antica vocazione paterna. Ora, al tempo in cui fu scritto questo dramma, avvenne effettivamente un caso di questa sorta: alcuni generali attaccarono e vinsero i Francesi di loro proposito, senza alcun ordine dello stato maggiore, e per giunta allo scopo di difendere la Patria tedesca in pericolo, non soltanto il Re di Prussia; il quale Re Federico Guglielmo iii non fu nella realtà altrettanto clemente quanto il suo avo nella tragedia kleistiana e li fece giustiziare tutti. La realtà non tollera la conciliazione auspicata, la quale trova spazio solamente nei sogni. Siamo virtuosi dunque, e amiamo assolutamente la verità senza pretenderne nulla in cambio; il nostro amore sarà la nostra unica ricompensa, il guanto di Natalia, giacché il giusto non agisce per altro motivo che per la propria virtù: essa meriterebbe di essere premiata come nel finale della nostra storia, ma la natura non conosce tale gratitudine. Perché dunque Kleist si suicidò? Innanzitutto perché quest’opera, su cui egli puntava molto, non fece successo e poco dopo il suo giornale, Die Berliner Abendblätter, fu chiuso dalla censura prussiana, per cui egli si vide privato della possibilità di portare giovamento alla società; perché egli capì di non aver più nulla da chiedere a questo mondo, più nulla da apprendere, e che dunque la sua Bildung era terminata; perché la sua cara Henriette, a dire il vero più una preziosa confidente che pensava e sentiva all’unisono con lui che l’oggetto d’un grande amore, scoprì d’esser malata di cancro; per sfondare una volta per tutte la barriera del fenomeno ed andare alla deriva nell’oceano del noumeno. Fu così che, senza che il dissidio si fosse ricomposto, Kleist, sparò alla mente e al cuore, le due belve i cui denti sin dalla più tenera età aveva sentito lacerar la sua carne senza che tra le due fosse mai stata possibile una tregua; e lo fece su quello stesso Wannsee su cui 131 anni dopo si doveva approvare la “soluzione finale” alla questione ebraica – qualunque cosa essa prevedesse, non è mia intenzione entrar nel merito in tale sede: nel 1811 come nel 1942 i sogni titanici degli uomini dovevano mescersi alle acque di quel lago in flutti di sangue. Forse, quando scelse il luogo del suo suicidio, gli tornò alla mente il dipinto di Caspar David Friedrich, Monaco in riva al mare (1810), che così non molto tempo prima aveva commentato: «È magnifico volgere lo sguardo, in una infinita solitudine sulla riva del mare, sotto un cielo grigio, verso uno sconfinato deserto d’acqua. Ciò richiede nondimeno che si sia andati là, che si debba tornare indietro, che si desideri passare dall’altra parte, che non lo si possa fare, che si senta la mancanza di tutto l’occorrente per vivere, eppure si oda la voce della vita nel mormorio della marea, nell’alito dell’aria, nel passaggio delle nuvole, nel grido solitario degli uccelli. Occorrono un’esigenza che il cuore avanza e un sottrarsi, se così posso dire, che fa la natura. Ma ciò è impossibile davanti al quadro, e quello che dovevo trovare nel quadro stesso l’ho trovato solo tra il quadro e me, cioè un’esigenza che il mio cuore avanzava al quadro, e quel sottrarsi che il quadro mi faceva; così sono diventato io stesso il frate cappuccino e il quadro la duna, ma quello che con struggente desiderio dovevo vedere, il mare, mancava del tutto. Nulla può essere più triste e inquietante di questa posizione nel mondo: L’unica scintilla di vita nel vasto dominio della morte, il solitario centro in un orbe solitario. Il quadro, con i suoi due o tre oggetti misteriosi, sta lì come l’Apocalisse, quasi avesse i Pensieri notturni di Young, e poiché, nella sua uniformità e sconfinatezza, non ha altro primo piano che la cornice, è come se a chi lo osserva fossero recise le palpebre.»

 

Continua…