di Augusto Del Noce (Fonte)
[Da Augusto Del Noce, “Il suicidio della rivoluzione”, Rusconi 1992, pp.189-256]
L’influenza gramsciana nell’ultimo quarto di secolo è stata enorme, solo paragonabile a quella della cultura idealistica nel primo; ma i tipi di intellettuale che oggi prevalgono sono quello del “dissacratore” o “demistificatore” e quello dell’”esperto” o del “tecnico”; quale rapporto hanno con la figura gramsciana dell’intellettuale “organico”? Rispondo che sono il frutto della sua decomposizione. All’intellettuale era assegnata da Gramsci una funzione un po’ simile a quella che Marx assegnava al proletariato: quella di chi, liberando se stesso, libera il mondo. La decomposizione lo trasforma in funzionario dell’industria culturale, dipendente da una classe di potere che ha bisogno così dell’intellettuale dissacratore (quale “custode del nichilismo”) come dell’esperto aziendale. Il processo che vi ha portato non è del resto difficile da ricostruire, per via negativa. Come si configura, infatti, questo intellettuale? Messo da parte l’economismo, l’opposizione diventerà quella tra intellettuali tradizionali e intellettuali progressivi.
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Avveniva che questa secolarizzazione del modo di pensare del popolo italiano, rimasto fedele in linea di principio alla “morale cattolica” anche nei tempi del massimo dominio dell’anticlericalismo, si avverasse proprio dopo un trentennio di governo da parte del partito dei cattolici. Che cosa si doveva concluderne? Giungere al giudizio – la cui estrema importanza è superfluo sottolineare – che il vero soggetto della storia italiana nell’ultimo trentennio era stata la “riforma intellettuale e morale” gramsciana che aveva potuto avanzare senza grandi ostacoli; riforma indirizzata, in conseguenza della strategia rivoluzionaria intesa come guerra di posizione, a raggiungere la direzione intellettuale prima del dominio. In conformità di questa distinzione, si doveva arrivare a dire che la direzione era stata esercitata dal partito comunista, che aveva potuto raggiungerla in quanto la sua politica era stata la precisa concrezione pratica del pensiero gramsciano. Attraverso il referendum non veniva semplicemente confermata una legge, ma si illuminava il senso morale e intellettuale del trentennio, come vittoria di Gramsci.