di Luca Fumagalli
Per qualche mese la Fede di Nicholas Wiseman vacillò pericolosamente. Al tempo, novello sacerdote, troppe letture lo avevano stordito, gettando un’ombra sinistra su quella religione che, da fanciullo, aveva accolto amorevolmente. Anziché disperare, scelse la strada della sottomissione fiduciosa e della preghiera: da tanto tormento ne uscì rinnovato. Se non ci fosse stata quella lunga notte dell’anima, molto probabilmente Wiseman non sarebbe mai diventato la guida della sparuta minoranza che, a metà Ottocento, diede il via alla rinascita cattolica in Inghilterra.
Nicholas Patrick Stephen Wiseman era nato a Siviglia il 2 agosto del 1802 da genitori irlandesi. Il nonno, infatti, aveva lasciato Waterford, nell’Irlanda sud-orientale, per stabilirsi in Spagna come commerciante, e la sua impresa era stata coronata dal successo.
Nel 1904, alla morte di James, il capofamiglia, i Wiseman tornarono nelle isole britanniche e Nicholas venne mandato a studiare al Cuthbert’s College di Ushaw, a poche miglia di distanza da Durham. Il Cuthbert’s era uno dei due seminari – con annessa scuola – che erano stati fondati in Inghilterra dopo la chiusura del collegio di Douai, durante la rivoluzione francese. Wiseman ebbe così modo di conoscere da vicino il microcosmo dei vecchi cattolici, cioè di tutti quegli uomini e quelle donne che erano rimasti fedeli alla Chiesa di Roma a dispetto della Riforma e delle persecuzioni. Per la gioia della madre, una volta terminati gli studi, si preparò a entrare in seminario.
Nel 1818 raggiunse il Collegio Inglese di Roma, recentemente riaperto dopo i disordini dell’Epoca napoleonica, dove Wiseman sarebbe rimasto per vent’anni. Divenne un grande ammiratore della città dei papi e volle conoscerne tutte le chiese, i ruderi, le viuzze e i monumenti. Dopo essere stato ordinato sacerdote, nel 1825, e aver dimostrato una buona attitudine per la teologia, Wiseman si dedicò allo studio delle lingue orientali, la sua vera passione. La pubblicazione, due anni più tardi, di Horae Syriacae fu l’esito di un impegno solerte, a tratti estenuante. Il libro, uno studio sulle versioni siriache del Vecchio testamento, gli garantì un posto di distinzione nel mondo accademico e gli aprì la strada, nel 1828, al rettorato del Collegio (il suo vice era l’ex compagno di scuola George Errington, discendente di un’antica famiglia cattolica dello Yorkshire).
Fu a questo punto, più precisamente nel 1830, che presso Wiseman giunse un ecclesiastico convertito di recente, George Spencer. Ardente, ascetico e quanto mai generoso, Spencer pensava che la conversione dell’Inghilterra fosse ormai a portata di mano e infiammò il prelato irlandese con la sua Fede. Per Wiseman fu come un fulmine a ciel sereno. Capì che i suoi giorni da studioso erano finiti e che era giunto il tempo di riporre i libri nello scaffale: d’ora in avanti la missione inglese sarebbe stata la sua unica preoccupazione.
Sull’onda dell’entusiasmo, si offrì come agente a Roma dei vicari apostolici che allora governavano l’Inghilterra (ancora priva di diocesi), e nel 1836 fondò insieme a Daniel O’Connell il periodico «The Dublin Review». La creazione in patria di un’università cattolica fu, al contrario, un fallimento che non mancò di compromettere i rapporti con la maggior parte dei vicari, i quali mal sopportavano l’eccessivo ardore di Wiseman.
Le cose cambiarono nettamente nel 1840, quando quest’ultimo venne nominato vescovo ausiliario e preside del collegio di Oscott. Grazie al suo sostegno, il primo gruppo di convertiti illustri – che comprendeva, tra gli altri, il noto architetto Augustus Welby Pugin – formò un piccolo sodalizio compatto, legato da vincoli famigliari a quella parte di antichi cattolici in cordiali rapporti con la curia papale. Wiseman cercò nei dieci anni successivi di dare forma a una comunità ancora troppo sonnolenta e sfilacciata. Prese contatti pure col Movimento di Oxford e, non a caso, fu proprio lui, nel 1845, ad accogliere John Henry Newman, teologo e futuro cardinale, nella Chiesa cattolica.
Il 29 settembre 1850 Pio IX ripristinò ufficialmente la gerarchia in Inghilterra con la bolla Universalis Ecclesiae. Al sistema dei vicari apostolici che governavano la Chiesa direttamente in nome del Papa vennero sostituite le diocesi: l’Inghilterra finiva dunque di essere una terra di missione per ridiventare, a pieno titolo, uno dei paesi della cattolicità. Le diocesi, naturalmente, non ricalcavano quelle esistenti prima della Riforma, sia per evidenti problemi pratici che per osservare il divieto imposto da Giorgio IV di utilizzare in ambito ecclesiastico i vecchi titoli. Scomparve il titolo cattolico di arcivescovo di Canterbury e Wiseman assunse la guida dell’arcidiocesi di Westminster, divenendo cardinale e primate della Chiesa cattolica inglese.
Le reazioni delle ali più estremiste dell’anglicanesimo non si fecero attendere: mentre Wiseman pronunciava parole di gioia e conforto per tutti i cattolici dell’Impero, a Londra si svolsero pubbliche manifestazioni e le effigie del nuovo cardinale vennero bruciate per le vie. A livello legislativo l’opposizione parlamentare sfruttò il momento favorevole per approvare un progetto di legge per i titoli ecclesiastici (che, tuttavia, rimase lettera morta). Fortunatamente l’indignazione si calmò in breve tempo e il pubblico interesse sulla faccenda andò a scemare.
La nuova gerarchia si mise subito all’opera e tenne il primo sinodo a Birmingham nel 1852. Wiseman, spirito pugnace, continuò con le conferenze e gli incontri in tutto il paese. Nel 1854 pubblicò anche un romanzo apologetico, Fabiola, scritto negli intervalli di tempo tra un impegno e l’altro. Il libro, ambientato nel IV secolo, narra della conversione di una distinta dama pagana; per quanto non eccelso dal punto di vista letterario, meritò comunque di imporsi come classico della narrativa cattolica, impiegato soprattutto per l’educazione dei fanciulli.
In quegli anni, dopo aver raggiunto l’apogeo, cominciò la parabola calante della vita pastorale del cardinale Wiseman; questi iniziò a scontrarsi con il clero e i vescovi che, memori della mutua indipendenza dei vicari apostolici, rivendicavano una maggior autonomia. A peggiorare le cose, “liberali” e “ultramontani” non perdevano occasione per punzecchiarsi sulle colonne dei giornali (e le contese, con l’apparizione del Sillabo nel 1864, non poterono che inasprirsi).
Per far fronte ai problemi, Wiseman persuase Roma a concedergli un coadiutore, nella persona di George Errington, a cui venne concesso il diritto di successione alla sede di Westminster. Errington aveva seguito Wiseman a Oscott ma, a dispetto della confidenza maturata negli anni, non esisteva questione per cui il cardinale era disposto a delegare totalmente la propria autorità senza diritto di appello; di conseguenza la loro collaborazione fu disastrosa. Errington venne allontanato nel 1858 e Wiseman, sul finire della vita, trovò conforto solo nell’amicizia col suo nuovo consigliere, Henry Edward Manning, un ex ministro anglicano. Manning, futuro arcivescovo di Westminster e cardinale, negli anni successivi avrebbe lasciato un profondissimo segno nella storia del cattolicesimo, distinguendosi per l’attenzione posta alla questione sociale e per la difesa a oltranza del dogma dell’infallibilità pontificia durante il Concilio Vaticano.
Wiseman morì il 15 febbraio del 1865 e con lui si concluse una fase decisiva per la storia della Chiesa inglese. Aveva reso facile la via ai primi convertiti e aveva contribuito a organizzare la neonata gerarchia. C’era qualcosa di ingenuo e di fanciullesco nella sua visione della presunta nuova primavera del cattolicesimo britannico, ma resta indiscutibile che compì un grandissimo lavoro che non sarebbe stato possibile senza la sua lungimiranza. Fu dunque lui, più di chiunque altro, l’uomo che riportò la Chiesa cattolica in Inghilterra.
Fonte: E. E. REYNOLDS, Three Cardinals : Newman, Wiseman, Manning, Burns & Oates, Londra, 1958.
Quest’articolo entra di diritto nelle “Glorie del cardinalato”. Piergiorgio Seveso – presidente di Radio Spada