di Luca Fumagalli
Naturalmente, parlando di magia, non bisogna dimenticare che il primo grande mago è il buon vecchio G. K. Chesterton. Quando si sfogliano le sue opere, è impossibile non rimanere vittima di una specie di sortilegio, come se le pagine avessero la forza di appiccare un fuoco nel cuore di chi legge. E infine, dopo aver chiuso il libro, qualcosa è cambiato: la realtà appare sotto una veste inedita, si fa meraviglia, riacquistando colore e consistenza. Ciò che era accessorio diventa improvvisamente essenziale; ciò che prima bastava ora non è più sufficiente; ciò che era scontato e banale si tramuta in un invitante mistero.
Ecco perché Chesterton è un mago, perché ogni suo lavoro contiene una rivelazione che è in grado di convertire il lettore. Come in un incontro pugilistico, prima lo scrittore inglese stordisce con i suoi geniali paradossi, poi, quando la guardia è scoperta, assesta un ultimo colpo che manda irrimediabilmente al tappeto. La differenza è che Chesterton non fa perdere i sensi, al contrario, li accende. Sgretola con l’arma dell’ironia le più ataviche certezze, tutti quei pregiudizi che offuscano lo sguardo, per invitarci a stare davanti alla realtà con mente lucida e, soprattutto, con un cuore libero.
Così è anche Magia, spettacolo teatrale del 1913 appena ripubblicato in volume dal sodalizio culturale “Schegge Riunite” (con due ottimi contributi di Marco Sermarini e Annalisa Teggi).
A quanto pare la pièce – sottotitolata Una commedia fantastica – fu originata da una divertente lettera “minatoria” di G. B. Shaw datata 1908. In essa il celebre drammaturgo minacciava di distruggere la reputazione di Chesterton se quest’ultimo non avesse scritto qualcosa di teatralmente serio. Shaw, infatti, credeva che il suo amico-nemico fosse sprecato come giornalista e lo invitava perciò a cimentarsi con un’opera maggiormente degna di lui. Dovettero passare cinque anni, ma alla fine la commedia fu pronta. Debuttò in autunno a Londra con una buona accoglienza di pubblico; Shaw ne fu entusiasta così come George Moore, uno dei più accaniti oppositori filosofici di Chesterton. Quarantacinque anni dopo Ingmar Bergman arrivò a tradurre lo spettacolo in un film, The Magician, con Max von Sydow nei panni del protagonista.
Tra realtà e illusione, con quello stile “surreale” tipicamente chestertoniano, la storia si dipana in tre atti, ambientata tutta in un salotto, dove sei personaggi, capitati lì per ragioni diverse, si trovano costretti a confrontarsi con un mago i cui incantesimi paiono tutt’altro che giochetti di prestigio. È solo un cialtrone oppure ha davvero dei poteri? Il quesito è serio e va oltre la curiosità spicciola: in ballo c’è la credibilità del mondo e dell’umanità, il senso stesso della vita, persino l’esistenza di Dio.
Alto e basso, come sempre, in Chesterton si confondono. L’inglese ricaccia nell’abisso gli sciocchi fantasmi del naturalismo, di chi pretende di restituire il dato reale descrivendone, in verità, solo una delle sue molteplici dimensioni. In Magia il sovrannaturale è costantemente presente, ne innerva il testo ed è il motore delle azioni dei personaggi (così simili a noi nei limiti e nei pregi).
Il risultato finale è una commedia brillante e godibile, da leggere tutta d’un fiato; è un invito, tra le altre cose, a riscoprire quel Chesterton drammaturgo troppo spesso colpevolmente messo in secondo piano dalla critica.
Il libro: G. K. Chesterton, Magia. Una commedia fantastica, Schegge Riunite, 2018, 176 pagine, Euro 11,96.
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