Nota: Radio Spada è da sempre interessata alla riscoperta dell’inesauribile giacimento di tesori politico-culturali dell’intransigentismo, dell’integrismo e anche genericamente del clericalismo di lingua italiana.anche per creare un anti-canone della letteratura italiana, una vera e propria antologia alternativa a quella dei “vincitori” che si legge nelle nostre scuole. Vi ripropone oggi questo pregevole e intenso inno sacro eucaristico di don Giuseppe Borghi (1790-1847), appassionato dantista e grecista, che salda mirabimente l’estro poetico con la devozione eucaristica, vero centro e motore di qualunque azione radiospadista. Buona lettura!!! (Piergiorgio Seveso)

Accorrete al gran mistero
Genti e Lingue; Iddio v’invita;
Al celeste refrigero,
Alla mensa della vita:
Voi nutriti negli affanni,
Nei sospetti, negl’ inganni,
Fia perenne. Fia compita
L’allegrezza del Signor.

Per ritorre i condannati
Agli artigli del Superbo,
Dalla luce dei Beati
Abbassossi all’ uomo il Verbo:
Rimembrando a che venìa
Feagli Amor per la sua via
Meno indegno, meno acerbo
Il soggiorno del dolor.

Nella notte che i flagelli,
Che precesse l’ultim’ore,
Convivando coi fratelli,
Alzò gli occhi al Genitore:
Sulla fronte, nell’accento
Manifesto era il portento;
Come dentro stesse il core
Chi ben ama intenderà.

Franse il pane, il vino infuse
Quivi ai dodici raccolti:
Tacean l’ anime confuse,
Da lui sol pendeano i volti:
Ma invitandoli a gustarne.
Questa, el disse, è la mia carne.
Questo è il sangue che per molti,
Che per voi si verserà.

Deh, Signor, chi fia l’eletto
Che, seduto infra i redenti,
Dell’angelico banchetto
In tua vece gli alimenti?
Al drappello venerando
Sonò chiaro il tuo comando:
Cosi fate, e vi rammenti
Nel bel rito ognor di me.

Dunque uscite, alzate il canto,
Sacerdoti in bianche vesti:
Come sposo all’ara il Santo
Vien dai talami celesti:
Egli è il pascolo verace;
Egli è l’arra della pace:
I miracoli son questi
Dell’amore e della fe.

L’uomo antico in noi si muti,
Si rilevi, si conforti
Alla speme dei caduti.
Alla gioja dei risorti.
Benedetta la parola,
Ch’apre il cielo, e l’ostia immola,
II Dio vero, il pan dei forti,
La ricchezza di lassù.

Finché tutto in lui si posi
Erra il core irrequieto:
Vieni, o core, ai gaudj ascosi
Segui l’agno mansueto:
Del Signor ne’ santuari
Vieni, appressati agli altari;
Al Signor che in noi fa lieto
Il vigor di gioventù.

Vieni: l’are son feconde,
Imbandita è la gran Cena;
Ne’ sospiri si confonde
La divota cantilena;
Coi turiboli immortali
Stanno gli Angeli sull’ali;
Come il ciel, la terra è piena
Dell’osanna trionfal.

O soave testamento
Dell’Amante sempiterno,
Ineffabil Sacramento,
Pegno a noi del premio!
Credo, adoro. S’ io non veggo,
Ti favello, ti posseggo:
La mia fede, il gaudio interno
Più che il senso, o Dio, mi vai.

Per la forza ch’ uom ti face
Col tenor dei sacri carmi,
Dammi, o Santo, la tua pace,
Il tuo zel, l’ingegno, e l’armi:
Ne’ rei casi mi sostieni,
Mi rattempra ne’ sereni;
Non sdegnar di visitarmi
Nell’estremo de’ miei dì.

O fratelli, al cor s’osservi;
Basta il cor, se sia pudico:
Non v’han regi, non v’han servi,
Non v’ha ricco, non mendico.
Accorrete alla pienezza
D’ogni ben, d’ ogni grandezza:
È degli uomini l’amico
Quei che in cibo all’uom s’offri.

Ei lassù nel tuo consiglio
Mite, o Padre, a noi ti prega:
Tu, se’l puoi, t’ascondi al figlio.
Tu mercè per noi gli nega!
Quest’aspetto, questa voce
Ebbe allor che sulla Croce
Degl’iniqui la congrega
Congiurando l’innalzò.

Monda, oh monda i servi tuoi
Che desian l’eterea manna:
Sii con lor, nè alcun fra noi
Mangi, o Dio, la sua condanna!
Col nemico fia sepolto
Chi, fingendo affetti e volto ,
Del Signor che non s’inganna
I conviti profanò.