Nota di Radio Spada : Continuiamo con la pubblicazione a puntate delle “Considerazioni sull’Ordo Missae di Paolo VI” del Professore Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira, una delle voci più eminenti nell’ambito della Tradizione Cattolica, da poco spentasi. L’autore, scandagliando le rubriche del rito montiano del 1969, evidenzia come le soppressioni, le modifiche e le novità  minino la distinzione sostanziale fra il sacerdote e i fedeli e sviliscano la sacralità della Messa e il rispetto supremo dovuto a Gesù Sacramento. 

 

FONTE: Inter multiplices Una Vox, NOVUS ORDO MISSÆ. Studio critico di Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira

PUNTATE PRECEDENTI:
“Considerazioni sull’Ordo Missae di Paolo VI” di Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira. Introduzione
“Considerazioni sull’Ordo Missae di Paolo VI” (da Silveira). Capitolo Primo (parr. A-D)
“Considerazioni sull’Ordo Missae di Paolo VI” (da Silveira). Capitolo Primo (parr. E-H)
“Considerazioni sull’Ordo Missae di Paolo VI” (da Silveira). Capitolo Secondo
“Considerazioni sull’Ordo Missae di Paolo VI” (da Silveira). Capitolo Terzo (parr. A-B)
“Considerazioni sull’Ordo Missae di Paolo VI” (da Silveira). Capitolo Terzo (parr. C-D)

 

Monsignor Delpini (attuale Arcivescovo di Milano) concelebra la “messa” coi giovani a Brasilia durante la GMG del 2013

 

E) Il rito della comunione
Nel rito della comunione, l’”Ordo” di san Pio V evidenzia assai chiaramente la distinzione tra il sacerdote e il popolo.

Così, per esempio, il sacerdote si prepara alla comunione con le sue preghiere personali, dette in prima persona singolare e distinte da quelle che precedono la comunione dei fedeli. Egli riceve Nostro Signore sotto le due specie, mentre i fedeli si comunicano solo con il pane. Mentre il sacerdote riceve il Sangue di Cristo, l’accolito recita il Confiteor, dopo di ché il celebrante dà l’assoluzione al popolo, con un atto che esprime chiaramente la sua missione sacerdotale. E qui gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Nell’”Ordo” del 1969, molti di questi segni che distinguono il celebrante dal popolo sono stati soppressi. Sono state introdotte nuove preghiere e nuovi riti che tendono a confondere il sacerdozio del celebrante con quello dei fedeli.
I casi in cui si permetteva ai fedeli di comunicarsi sotto le due specie sono stati enormemente ampliati.
Il Confiteor e l’assoluzione che precedono la comunione dei fedeli sono stati aboliti.
Il numero di preghiere preparatorie alla comunione dette dal solo sacerdote, in prima persona singolare, sono state sostanzialmente diminuite: mentre nel messale romano tradizionale se ne contano nove, nel nuovo “Ordo” ce ne sono solo più quattro (64); di queste quattro, il celebrante ne dice realmente solo tre per ogni messa (65). E questo numero è ancora considerato eccessivo dai progressisti, che avrebbero desiderato rendere la posizione del sacerdote il più possibile identica a quella dei fedeli: questo almeno è ciò che scrivono, per esempio, i commentatori della B.A.C. (66):
“Per ciò che concerne queste preghiere private del celebrante, bisogna ricordarsi che esse furono prodotte dalla devozione del Medio Evo; in generale, considerata soprattutto l’epoca in cui sono apparse, esse sono degli sdoppiamenti decadenti. Per questa ragione, durante l’elaborazione della riforma, ci sono state forti pressioni, soprattutto da parte dei migliori liturgisti, per giungere ad una soppressione totale di queste preghiere private obbligatorie: noi crediamo che si sia trattato di un progresso per la liturgia. In effetti, se per i fedeli non esistono preghiere private prescritte, perché il celebrante è limitato da formule fisse di preghiere private? Se lo si vuole obbligare a recitare delle formule fisse è forse perché lo si considera meno capace dei fedeli a prepararsi personalmente, per esempio, alla comunione? (67).
“È possibile, ed è da sperare, che con il progresso della cultura liturgica, queste preghiere tenderanno a scomparire. In effetti, esse sono sensibilmente diminuite, ed è questo uno degli aspetti migliori dell’”Institutio” e della riforma che ne è derivata” (68).

La comunione del sacerdote non si effettua più con un rito proprio, diverso da quello dei fedeli, piuttosto il sacerdote è solo il primo di tutti a comunicarsi (69). Questa modifica conferma l’impressione data dal nuovo “Ordo” che il sacerdote non è nulla di più che il presidente dell’assemblea.

Il nuovo rito del bacio della pace, introdotto tra gli atti preparatori alla comunione, merita un’attenzione particolare. Il sacerdote dice: “Scambiatevi un segno di pace” (70), e i presenti si salutano gli uni con gli altri: stringendosi la mano, abbracciandosi o facendo un altro gesto di saluto, a seconda della decisione delle Conferenze Episcopali, “secondo l’indole e le usanze delle popolazioni” (71).
Inutile sottolineare come tale pratica, in un mondo come il nostro, sensuale e desacralizzato, possa condurre a degli abusi. Da questo punto di vista, non si può fare un paragone tra il “rito della pace” introdotto dal nuovo “Ordo” e le cerimonie analoghe delle liturgie orientali e della Chiesa originaria. Tuttavia, non è questo l’aspetto che noi vogliamo maggiormente sottolineare di questa innovazione.
Vogliamo invece richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che il saluto stabilito dall’”Ordo” di Paolo VI non parte dal sacerdote, ma è ciascuno dei presenti a darlo al suo vicino. Spiegano i commentatori della B.A.C.:
“Notate che, secondo la nuova rubrica, ciascuno dà il bacio della pace al suo vicino, che glielo rende, senza attendere che esso parta dall’altare, come si usava un tempo. È stata così restaurata un’usanza più antica e la durata di questo saluto è stata ridotta” (72).
In un altro passo, gli stessi commentatori della B.A.C. riconoscono che questo modo di procedere ha una spiegazione più profonda, che quella di un puro arcaicismo o di un semplice desiderio di brevità:
“Non è necessario né desiderabile che il saluto della pace venga dal celebrante, tutti i fedeli devono darselo vicendevolmente, ciascuno alla sua destra e alla sua sinistra. La pace cristiana è un effetto dello Spirito Santo che risiede in ogni fedele” (73).
Questa affermazione è molto grave. Indubbiamente, lo Spirito Santo dimora in tutte le anime in stato di grazia; Egli le conduce verso l’amore di Dio e del prossimo. Tuttavia, bisogna ricordarsi bene che si va alla messa per ricevere delle grazie speciali, non in virtù dell’azione comune dello Spirito Santo nelle anime, ma piuttosto in virtù del sacrificio di Cristo, che viene realmente rinnovato sull’altare mediante il ministero del sacerdote. Sostenendo che questo saluto non ha bisogno di partire dal sacerdote perché lo Spirito Santo “è in tutti i fedeli”, i commentatori della B.A.C. insinuano ancora una volta che il sacerdozio del celebrante non è essenzialmente diverso da quello dei fedeli (74).
Inoltre, la “pace” espressa nel nuovo rito non è chiaramente presentata come il risultato della riconciliazione tra il cielo e la terra, prodotta dal sacrificio redentore di Gesù Cristo; piuttosto essa sembra venire dai fedeli, come il risultato di una semplice solidarietà fraterna e umana che accomuna tutti i presenti.

Come abbiamo già fatto notare in un passo precedente, la parte della preghiera Perceptio Corporis tui, che contiene un atto d’umiltà (75), è stata soppressa. Inoltre le preghiere Quod ore sumpsimus (76) e Corpus tuum Domine, che esprimono così bene le nozioni di umiltà e di compunzione per i peccati, e che, senza la grazia, non ci può essere perseveranza nella virtù, sono state ugualmente soppresse (77). Sono state eliminate anche numerose invocazioni alla SS.ma Trinità (78), alcune genuflessioni (79), alcuni segni di croce (80), dei baci di riverenza e degli inchini (81), così come il riferimento alla Madonna ed ai Santi nella preghiera Libera nos, quæsumus (82).

 

F) Altre modifiche nelle rubriche
Oltre alle modifiche che abbiamo già annotato, nelle rubriche della messa sono state introdotte numerose alterazioni. Senza alcuna pretesa di presentare uno studio completo, ne indicheremo ora alcune (83).

Le genuflessioni, sia del sacerdote sia dei fedeli, sono state quasi tutte eliminate. Salvo in alcuni casi particolari, come la presenza all’altare del SS.mo Sacramento, sono rimaste solo tre genuflessioni del sacerdote (n°233) e una dei fedeli (n° 21). Per quel che riguarda la genuflessione dei fedeli al momento della consacrazione, l’”Institutio” dice:
“Si inginocchiano [i fedeli] poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli” (n° 21).
L’enunciazione di queste ragioni restrittive, che il buon senso fa comprendere e che sono quindi superflue, non costituisce forse un invito ai fedeli a non inginocchiarsi nemmeno alla consacrazione? È in questo senso che i commentatori della B.A.C. le interpretano, dicendo che, secondo il loro punto di vista, il fatto che l’assemblea sia numerosa è sufficiente per sopprimere la genuflessione (84).
Seguendo la stessa linea, l’opuscolo edito da Vosez ad uso dei fedeli (brasiliani) per seguire la messa, il cui testo è stato preparato dal Segretariato nazionale della Liturgia della Conferenza episcopale del Brasile, indica puramente e semplicemente che alla consacrazione i fedeli possono sia inginocchiarsi sia rimanere in piedi (85).
Constatiamo, dunque, che le nuove rubriche eliminano quasi totalmente le genuflessioni dal rito latino: quest’atteggiamento fisico così appropriato per indicare l’adorazione, l’umiltà, la penitenza e lo spirito di supplica (86)!

Innumerevoli prescrizioni, con cui la messa tradizionale circonda le specie eucaristiche, sono state soppresse. Ognuna di esse esprime il rispetto dovuto a Nostro Signore nel SS.mo Sacramento, e alla più piccola particella consacrata che avrebbe potuto andare perduta o essere trattata inavvertitamente in modo indegno.
Allo stesso modo non si procede più alla cerimonia della purificazione del luogo in cui è caduto un frammento d’Ostia (“Institutio“, n° 239).
Dopo la comunione, le dita del sacerdote non devono più essere purificate nel calice, ma è sufficiente che:
“Ogni volta che qualche frammento di ostia rimane attaccato alle dita, […], il sacerdote asterge le dita sulla patena, oppure, se necessario, lava le dita stesse.” (“Institutio“, n°237).
È stato soppresso l’obbligo per il sacerdote di tenere unite le estremità degli indici e dei pollici da dopo la consacrazione fino alla purificazione, rubrica che, nell’”Ordo” romano, vuole soprattutto esprimere la venerazione suprema con cui le specie consacrate devono essere toccate.
Non è più prescritta la purificazione dei vasi sacri sull’altare; la si può fare dopo la messa e “se possibile” sulla credenza (“Institutio“, nn. 238 e 120).

Salvo il caso dell’altare fisso, l’uso della pietra d’altare consacrata per la celebrazione della messa non è più obbligatorio (“Institutio“, n° 265). Notiamo che quest’ultima disposizione tende di per sé ad agevolare le celebrazioni di messe nelle case private, ove si può dare alla messa l’apparenza esteriore di semplice banchetto.

Il diacono può prendere parte alle funzioni sacre senza indossare la dalmatica, e il suddiacono senza la tunica, dunque col solo camice (“Institutio“, n° 81). Quando ci sono più concelebranti, essi possono non indossare la pianeta se non ve ne sono in numero sufficiente o se si presentano altre difficoltà; in tal caso sarà sufficiente che la indossi il celebrante principale (“Institutio” n° 161).

L’”Institutio” definisce che, in considerazione della “natura di segno”, non solo il vino, ma anche il pane si presentino “veramente come cibo” (87), ragione per cui conviene che il pane eucaristico “sia fatto in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni dei fedeli” (n° 283).
I commentatori della B.A.C. obbediscono dunque più che bene alle disposizioni dell’”Institutio” quando presentano, con molti particolari, il modo di confezionare una pagnotta da 20 g. e di 12 mm. di spessore (88).

Le nuove rubriche tendono a diminuire il numero di messe di Requiem.
Come abbiamo visto al n° 316 dell’”Institutio“, il sacerdote, per non tralasciare molte letture bibliche indicate dal lezionario,
“non ricorra troppo spesso alle Messe dei defunti: TUTTE LE MESSE SONO OFFERTE PER I VIVI E PER I DEFUNTI, e dei defunti si fa memoria in ogni preghiera eucaristica” (89).
Indubbiamente è auspicabile che i fedeli facciano dire messe, non solo per i defunti, ma anche per le intenzioni della Chiesa militante. Così è sempre stato. Se, a proposito delle messe di Requiem, si deve correggere un eccesso, è pericoloso farlo in nome del principio secondo cui “tutte le Messe sono offerte per i vivi e per i defunti”; in effetti, tale asserzione non esprime interamente la verità, essa tende a smorzare nei fedeli il santo desiderio di far dire delle messe per determinati defunti e per le anime in generale (cfr. II Macc., XII, 41-46).
Il n° 337 riduce il numero delle messe di Requiem permesso e il n° 340 abolisce l’absolutio super tumulum nelle messe in cui la salma non è fisicamente presente.

Non è più necessario che la croce sia sopra l’altare (nn. 79, 84, 236b, 270).

Nel caso in cui la comunione è data sotto le due specie, i fedeli sono obbligati a riceverla in piedi (nn. 244c, 244d, 245b, 245c, 246b, 247b, 249 b). Per la comunione data solo sotto la specie del pane, la postura dei fedeli non viene indicata (nn. 56 e 117).

Solamente una tovaglia deve coprire l’altare, a differenza delle tre usate in passato (n° 79).

Con l’autorizzazione della Conferenza episcopale, le letture, tranne quella del Vangelo, possono essere lette dalle donne (n° 66). “Gli uffici che si compiono fuori dal presbiterio, possono essere affidati anche alle donne,…]” (n° 70).

Il SS.mo Sacramento dev’essere normalmente posto fuori dall’altare dove si celebra la messa (n°276).

È stata autorizzata la costruzione di chiese e la fabbricazione di oggetti di culto in qualsiasi stile artistico (nn. 254 e 287) (90), e si accorda grande libertà quanto alla forma dei vasi sacri (n° 295).

Infine vogliamo attirare l’attenzione del lettore sul carattere di festa e di indaffaramento che si dà alla nuova messa.
Nel corso della messa, diverse persone esercitano delle speciali funzioni (vedi “Institutio“, nn. 65-73): oltre al sacerdote (o ai sacerdoti, in caso di concelebrazione), al diacono e al suddiacono, vi sono: un commentatore, un lettore (od una lettrice), un salmista, un maestro delle cerimonie, gli uscieri (incaricati di ricevere i fedeli alla porta della chiesa e di condurli ai loro posti), i questuanti, i turiferari, i portatori di ceri, i portatori del messale alla processione d’entrata, della Croce e, se possibile, del pane, del vino e dell’acqua. Possono esserci anche più di un diacono, di un suddiacono, di un commentatore, di un lettore e di un salmista. Come abbiamo visto, alle donne si possono affidare le funzioni al di fuori del santuario (presbyterium) (91). Vi è anche il cantore o maestro di coro (nn. 64 e 78) e la schola cantorum (nn. 64 e 274).
Vi sono due processioni: quella d’entrata, nelle messe ordinarie (“Institutio“, n° 82) e nelle messe concelebrate (n° 162), e quella dell’offertorio (nn. 49 e 50), durante la quale i fedeli portano all’altare il pane, il vino, l’acqua e, se possibile, altri doni per i poveri e per la chiesa.
Vi sono inoltre delle acclamazioni e dei responsori dei fedeli (“Institutio“, n° 15); i canti, ai quali si dà una grande importanza (n° 19); le spiegazioni e gli avvisi (nn. 11 e 18), ecc. In molti punti, si lascia al celebrante una grande libertà nella scelta delle preghiere e dei riti (92).
Al n° 66, l’”Institutio” raccomanda che il lettore sia capace e preparato a questa funzione “Perché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore della sacra Scrittura” (93).
Come si può notare, tutto ciò è fatto per dare alla messa un aspetto d’agape gioiosa, di piacevole commemorazione, e non di sacrificio propiziatorio nel quale il Figlio di Dio s’immola per i peccati e l’ingratitudine degli uomini.
Un’altra significativa espressione di quest’aspetto di spensieratezza e di gradevole banchetto, che si vuol imprimere alla messa, è fornita dal commento della B.A.C. sul n° 280 dell’”Institutio“.
Vi si legge, innanzi tutto, che il “tempio deve essere ben illuminato”; che le luci devono essere poste in modo da creare “un riposo psicologico” e “un’atmosfera gradevole agli occhi”; che la disposizione delle sedie deve essere tale che i fedeli possano vedere bene il santuario e guardarsi reciprocamente; che “nel tempio deve innanzi tutto [sic] regnare la pulizia” (94).
Gli stessi commentatori della B.A.C. proseguono:
“Bisognerà anche stare attenti alla questione degli odori, per evitare che siano sgradevoli […] e profumare discretamente il luogo, prima di dare inizio a lunghe riunioni, con qualcuno dei prodotti che oggi si vendono economicamente e in quantità e che si utilizzano abitualmente in altri luoghi di riunione come i teatri, i cinema, le sale per i concerti o le conferenze, ecc.
“Se è possibile, sarà di grande efficacia pastorale provvedere ad un vestibolo, un’entrata, un portico o qualcosa di simile, arredato con il dovuto conforto, affinché le persone possano incontrarsi entrando e uscendo, possano scambiarsi qualche parola, riposarsi, attardarsi, acquistare una rivista o anche ristorarsi ad un piccolo bar. Questi segni umani, preparano ammirabilmente al segno liturgico e lo prolungano, e danno sia al pastore sia ai partecipanti una buona opportunità d’incontrarsi” (95).

 

G) Conclusione
Con quello che abbiamo considerato, non vediamo come si possa evitare, in tutta coscienza, di concludere che è impossibile accettare i testi del 1969 della nuova messa.
Ci riserviamo, tuttavia, dopo aver esaminato le modifiche introdotte nel 1970 e gli altri aspetti teorici e pratici che incontreremo, di esporre, alla fine di questo studio (96), un apprezzamento circostanziato sull’attitudine da tenere nei confronti della nuova messa.

(su)

NOTE 
(64) Queste nove preghiere sono: Domine Iesu Christe, qui dixisti; Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi; Perceptio corporis; Panem Coelestem; Domine, non sum dignus; Corpus Domini nostri; Quid retribuam; Sanguis Domini nostri; Corpus tuum.
Di queste nove preghiere sono state eliminate: Panem Coelestem, Quid retribuam e Corpus tuum. Una di esse adesso è detta alla prima persona plurale: Domine Iesu Christe, qui dixisti; un’altra è diventata una preghiera comune del sacerdote e dei fedeli, che la recitano simultaneamente: Domine, non sum dignus.
Restano dunque solo quattro preghiere che il sacerdote recita alla prima persona singolare: Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi; Perceptio corporis; Corpus Domini nostri; Sanguis Domini nostri. In realtà, queste quattro preghiere sono ridotte a tre, come indichiamo dopo.
(65) In effetti, il nuovo “Ordo” prescrive che ad ogni messa il sacerdote non debba recitare le preghiere Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi e Perceptio Corporis, ma solo una della due, a sua scelta.
(66) Si tratta del libro Nuevas normas de la misa (vedi pp. 15-16).
(67) È evidente che non si tratta assolutamente della capacità del sacerdote a prepararsi personalmente alla comunione. D’altronde, egli può farlo prima della messa, ed è anche fortemente raccomandato che lo faccia. Qui si tratta piuttosto di un’altra questione: tutto ciò che il celebrante fa durante la messa ha una connotazione pubblica e ufficiale, ad un grado più o meno grande. In virtù del suo carattere sacerdotale e della sua condizione di rappresentante di Gesù Cristo e della Chiesa, anche i suoi atti privati sono inseriti nell’azione sacrificale, come qualcosa di radicalmente differente dagli atti di devozione compiuti dalle persone che assistono alla messa.
Queste verità non possono essere ignorate dai commentatori della B.A.C. e dai sedicenti grandi liturgisti ai quali essi si riferiscono. Noi crediamo che la vera ragione che spinge i commentatori della B.A.C. ad adottare questa posizione si trovi a p. 36, ove segnaliamo come essi confondano il sacerdozio dei laici con quello del prete.
(68) Nueva normas…, pp. 89-90, nota 13.
(69) La sola differenza tra la comunione del sacerdote e quella dei fedeli sta nelle parole dette prima di ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo. Per la sua comunione personale, il sacerdote dice: “Il Corpo di Cristo mi custodisca nella vita eterna” e “Il Sangue di Cristo mi custodisca nella vita eterna”; prima della comunione di ogni fedele egli dice: “Il Corpo di Cristo” e, nel caso di comunione con le due specie, “Il Sangue di Cristo”.
(70) Offerte vobis pacem.
(71) “Institutio”, n° 56b.
(72) Nueva normas…, p. 174.
(73) Nueva normas…, pp. 41-42.
(74) A questo proposito vedi le osservazioni fatte nelle pp. 30 e ss.
Vi sono molti altri passi in cui i commentatori della B.A.C. si riferiscono, in maniera almeno dubbia, alla presenza reale di Dio tra i fedeli. Così, a proposito del canto, dicono: “Si può affermare che il canto comunitario è un segno di vera partecipazione, poiché tutte le voci si uniscono in una sola e grande realtà sonora, che fa sentire l’unità e fa percepire la presenza di Dio” (Nueva normas…, p. 60).
(75) Nota 12, p. 62.
(76) Questa preghiera è stata ristabilita nel 1970 (vedi p. 124).
(77) Note 13 e 14, p. 62.
(78) Nota 17, p. 63.
(79) Vedi pp. 91 e ss.
(80) Nelle pp. 62-63, vedi l’osservazione sulla riduzione dei segni esteriori di adorazione.
(81) Vedi pp. 62-63.
(82) Cfr. pp. 134 e 145.
(83) È evidente che le nuove rubriche alle quali facciamo riferimento in questo capitolo, non meritino tutte le stesse riserve, ma è altrettanto evidente che, nel loro insieme, esse si allontanano enormemente dalla tradizione consacrata dalla messa di san Pio V.
(84) Nuevas normas…, p. 100.
(85) Ordinario da missa, Vozes, Petropolis, 1969, p. 22.
(86) Sulla genuflessione nella sacra Scrittura, vedi: I Re XIX, 18; Esdra IX, 5; Is. XLV, 23,Dan. VI, 11; Matteo XVII, 14 e XXVII, 29; Luca V, 8; Marco I, 40 e XV, 19; Rom. XI, 4 e XIV, 11; Filip. II, 10; Efes. III, 14.
(87) A proposito delle modifiche introdotte nel 1970 in questo paragrafo dell’”Institutio”, vedi ciò che scriviamo a p. 123.
(88) Nuevas normas…, pp. 260-261.
(89) Le maiuscole sono nostre.
(90) I commentatori della B. A. C. arrivano a suggerire che le vecchie chiese, “dal lusso eccessivo”, vengano trasformate in musei, e che gli oggetti sacri, “dalla grande bellezza”, siano “ritirati dal culto e posti nei musei, o impiegati per altri usi liturgici” (Nuevas normas…, pp. 63-64).
(91) “Institutio”, n° 70.
(92) Commentando questo elemento, il vescovo Mons. Clemente Isnard, OSB, Segretario nazionale per la liturgia della Conferenza episcopale del Brasile, scrive: “L’istruzione generale che apre il nuovo messale romano, fissa delle nuove prospettive, molto diverse da quelle che ispiravano il vecchio complesso delle rubriche. Il principio guida è la flessibilità, che permette al celebrante delle possibilità di scelta. QUESTI CESSA DI ESSERE UN SEMPLICE ESECUTORE DELLE RUBRICHE, PER ASSUMERE CON SPONTANEITÀ LA PRESIDENZA DELL’ASSEMBLEA LITURGICA.” (Presentazione del nuovo “Ordo missae“, in Presbiteral, Vozes, Petropolis, p. 5; e Liturgia da missa, Edizioni Paulinas, San Paolo, 1969, p. 3), le maiuscole sono nostre.
(93) È evidente che bisogna augurarsi fortemente che le letture dei testi sacri siano chiare e degne; nondimeno, non possiamo evitare di sottolineare che, nel contesto del nuovo “Ordo”, espressioni come “i fedeli maturino nel loro cuore un soave e vivo amore della sacra Scrittura” , acquistano uno stile protestante. Nelle pp. 125 e ss., esponiamo il concetto luterano sugli effetti delle letture bibliche nello spirito dei fedeli.
(94) Nuevas normas…, p. 258.
(95) Nuevas normas…, p. 259. Fra gli scritti progressisti, sarebbe difficile trovare dei testi che reclamino più chiaramente la trasformazione delle chiese in luoghi profani e desacralizzati. In verità, nel passo citato, la casa di Dio è concepita come una semplice sala da pranzo. In questa ottica, non c’è da stupirsi se la gente preferisce frequentare altre sale da pranzo, più attraenti, lasciando vuote le chiese.
(96) Vedi pp. 335 e ss.