di Luca Fumagalli
Quinto articolo della rubrica “Evelyn Waugh: lettere sul Concilio”. Per chi si fosse perso le puntate precedenti:
https://www.radiospada.org/2018/11/evelyn-waugh-lettere-dal-concilio-salviamo-il-latino/
Il 7 agosto 1964 Evelyn Waugh scrisse una lettera di fuoco al direttore del «Catholic Herald», una testata che fino a quel momento si era schierata senza mezzi termini con l’ala “progressista” del Concilio Vaticano II. Come sempre, i temi affrontati dallo scrittore inglese sono molteplici: si va dalla critica rivolta ai peana trionfalistici dei novatori alla liturgica descritta come opera d’arte, dalla differenza capziosa tra cattolicesimo e romanità all’inganno portato avanti da chi pretende che “l’età giovannea” sia diversa da quella di Pio XII (Waugh non aveva perdonato a Papa Pacelli la riforma della liturgia della Settimana Santa, datata 1955).
L’aspetto più interessante dello scritto, però, è l’appassionata difesa dei cosiddetti “conservatori”: «Padre Sheerin sostiene che il conservatorismo cattolico sia il prodotto di una politica difensiva necessaria nello scorso secolo contro il secolarismo nazional-massonico dell’epoca. Lo pregherei di considerare che la funzione della Chiesa in ogni tempo è stata conservatrice, ovvero di trasmettere un credo ereditato dai predecessori, non diminuito né contaminato. […] Il conservatorismo non è una nuova influenza nella Chiesa. […] Per tutta la sua vita la Chiesa è stata coinvolta in una guerra attiva contro i nemici esterni e i traditori interni».
Qualche giorno dopo, il 16 agosto, Waugh scrisse all’arcivescovo di Westminster, John Carmel Heenan, denunciando come un buon numero di fedeli, sempre più preoccupati da quello che stava accadendo al Concilio, dopo aver letto il testo apparso sul «Catholic Herald» lo avesse pregato di porsi alla guida di una sorta di gruppo di pressione conservatore, organizzando magari una petizione da consegnare allo stesso arcivescovo. Lo scrittore chiude la missiva con il solito sarcasmo: «È forse troppo chiedere che tutte le parrocchie debbano avere due Messe, una “pop” per i giovani e una “trad” per gli anziani?».
Da questa prima mossa di Waugh nacque tra lui ed Heenan un vivace botta e risposta, compendiato in tre lettere, datate rispettivamente 20, 25 e 28 agosto. L’arcivescovo, che ringraziava Waugh per quanto scritto sul «Catholic Herald», cercava tuttavia di stemperare i toni. A suo avviso la riforma liturgica non sarebbe stata così drammatica, e scaricava sui sedicenti “intellettuali” la colpa di ogni fraintendimento ed esagerazione: «Penso che i leader del nuovo pensiero (se non è una parola troppo dura) non siano i giovani ma i cattolici “intellettuali”. È così che si chiamano tra loro e credono davvero di esserlo. Chiunque abbia un diploma ora è un intellettuale. […] Ci guardano come dei campagnoli con la mitra e cercano una guida nel clero continentale (che è stato ampiamente abbandonato dai lavoratori) o nei loro passati insegnanti (che, naturalmente, mancano di esperienza pastorale). La gerarchia è in una posizione difficile. Non abbiamo perso il rispetto dei cattolici ordinari, ma il costante baccano degli intellettuali e le loro […] lettere e i loro articoli sulle riviste cattoliche possono col tempo turbare il semplice fedele».
Il pericolo di tutto questo, come intuisce brillantemente Waugh, è quello di un nuovo anticlericalismo che, al contrario di quello tradizionale – avversario ma comunque rispettoso dei preti –, «minimizza il carattere sacramentale dei sacerdoti e suggerire che i laici siano al loro stesso livello». Ecco perché si fa un gran parlare di sacerdozio universale. La conseguenza? Semplice: «La Messa non è più il Santo sacrificio ma la cena in cui il sacerdote è il cameriere. Il vescovo, ipotizzo, è il caposala e il Papa l’anfitrione».
Mentre lo scrittore e l’arcivescovo si confrontavano per corrispondenza, non potevano sapere che i loro più segreti timori sarebbero presto diventati realtà …
bellissimo quel prete cameriere, il vescovo caposala e il papa anfitrione. Ma grazie, di questo ristorante o trattoria, non so che farmene. Forse perché sa troppo di bettola…(o luogo di malaffare…)