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Seconda parte: https://www.radiospada.org/2018/10/racconto-devoto-la-palma-di-lambaesis-seconda-parte/
Terza parte: https://www.radiospada.org/2018/10/racconto-devoto-la-palma-di-lambaesis-terza-parte/
Quarta parte: https://www.radiospada.org/2018/10/racconto-devoto-la-palma-di-lambaesis-quarta-parte/
Quinta parte: https://www.radiospada.org/2018/11/racconto-devoto-la-palma-di-lambaesis-quinta-parte/
Sesta parte: https://www.radiospada.org/2018/11/racconto-devoto-la-palma-di-lambaesis-sesta-parte/
di Charlie Banyangumuka
Cap VI “Sarete Miei testimoni”
Inizio estate del 304
Il vento soffiava leggero su Lambaesis e portava con sè un’insolita quantità di polvere.
“Muovetevi! Centuria in formazione!” Il comando di Macrone giunse dalle retrovie perentorio. Era una mattinata calda di inizio estate e le loriche non facilitavano la situazione; lungo le gambe rivoli di sudore, e non solo. Defendente estrasse la spatha, la guardò brillare e la rinfoderò sospirando: il giorno era deciso, si sarebbe data battaglia. I Getuli era tornati alla carica per un’ennesima scorreria. La lezione impartitagli dall’Augusto Massimiano anni prima non era bastata; i Figli del Deserto non avevano imparato a temere Roma. Per sicurezza, il praefectus legionis aveva deciso di schierare due coorti in un eccesso di prudenza. Prima che l’Augusto dovesse personalmente intervenire, voleva che “quella marmaglia fetida” sparisse dalla faccia della Terra. Non poteva certo farsi sottrarre il comando della Tertia Legio Piissima Augusta in un teatro, come quello della Numida, tutto sommato pacifico. Per questo, e per altri motivi, sul campo erano schierate due coorti, dodici centurie in tutto. Le centurie erano state disposte a scaglie sulla pianura che mostrava una piccola rivetta a non più di duecentocinquanta passi dallo schieramento romano; da lì sarebbero comparsi i Getuli. Defendente si guardò attorno: la centuria pareva uno schieramento compatto e risoluto, quasi meccanico. Un mortale muro di acciaio contro il quale doveva infrangersi la speranza dei nemici, oltre che i loro attacchi: “Teso ragazzo?” la voce familiare di Afro giunse dalla terza fila, due posti a destra dietro di lui “Più o meno” sospirò il giovane “Dopotutto, è la mia prima battaglia in campo aperto” “Ragazzo non ti preoccupare, anch’io la prima volta ero teso quanto te” “Hai ragione” intervenne Ambusto “Hai versato quintali di piscio”. L’intera centuria rise di gusto, compreso Defendente. Improvvisamente nell’aria iniziarono ad udirsi urla e canti, prima sommessi e poi via via più forti e distinti “Stanno arrivando” sentenziò il Magister Latrunculorum. Un nodo alla gola prese Defendente che iniziò a tremare visibilmente. Comparve un cavaliere sulla cima della rivetta, seguito da altri dieci. Il drappello di predoni si avvicinò alla centuria. Una freccia sibilò accanto all’orecchio del giovane legionario andando a frantumarsi contro lo scudo di Ambusto. La seconda andò invece a segno colpendo esattamente il legionario davanti a lui; Defendente lo afferrò per il bordo dell’armatura e trascinò indietro quel poveretto che urlava e perdeva sangue. Si trovò così in prima fila. Dalla rivetta comparvero i Getuli: chi a cavallo, chi a dorso di dromedari e non pochi appiedati. Quella moltitudine ululante avanzò nella sua folle corsa verso le lame romane. Due mesi,erano passati due mesi dall’imboscata ma Defendente non aveva dimenticato la loro ferocia. Cominciò a piangere, a pregare e anche a fare altro. Di nuovo. Non voleva crepare così, per colpa di qualche predone da strapazzo. Un ultimo sguardo alla volta celeste “Padre d’Amore, sii mio scudo” i Getuli cozzarono contro la centuria.
L’impatto fu devastante e per poco non venne travolto. Solo lo scudo, e una controspinta di Ambusto, evitarono un disastroso inizio. Subito un getulo lo confrontò: Defendente non si fece intimorire e, dopo aver evitato un colpo alla testa, tagliò di netto la gola del predone che si mise ad urlare gorgogliando sangue. Per tutta risposta, il ragazzo gli rifilò un calcio che lo fece stramazzare al suolo. Un secondo gli venne incontro ma un plumbatum fischiò alla sua destra cavando l’occhio del malcapitato “Usa quei maledetti Martiobarbuli!”. Defendente non se lo fece ripetere: ne estrasse uno dal bordo dello scudo, lo palleggiò con le dita e lo scagliò verso un getulo. Il colpo andò a segno ma, contrariamente alle aspettative, il proiettile si conficcò nella coscia. Lesto, Defendente ne approfittò e con un colpo di punta perforò il petto dell’odiato nemico. In un momento di furia omicida, iniziò progressivamente ad allonatanarsi dallo schieramento. Venne fronteggiato da due nemici: allontanato il primo con lo scudo, si gettò a peso morto sul secondo e, rovesciatolo, gli piantò la spada nel cuore. Il Getulo urlò iniziando a sputare sangue che finì anche sul volto di Defendente il quale, ancora stordito dal nemico agonizzante, non ne vide un terzo che provò a tagliargli la testa in due. Inspiegabilmente quello mancò il bersaglio scheggiando l’elmo. Riavutosi bruscamente, estrasse un altro plumbatum e, prima ancora che il berbero potesse rendersene conto si ritrovò la punta del proiettile in gola. Volendolo finire, Defendente estrasse la spatha dal torace del nemico ai suoi piedi e, mollato lo scudo, con ambedue le mani vibrò un colpo che recise il collo del barbaro. Sentì una mano serrargli la spalla e si girò con l’intenzione di colpire ma un’altra mano fermò il suo braccio con una stretta. Defendente vide la figura torreggiante di Macrone:” Se mi avessi colpito, questa sera saresti stato giustiziato” disse rimanendo serio. Il ragazzo abbassò lo sguardo e tornò in sè. Notò un Getulo con turbante ed arco che stava falciando non pochi legionari. Raccolto lo scutum, Defendente si mise a correre verso quell’arciere che, notatolo, iniziò a saettarlo costringendo il ragazzo a parare un paio di frecce con lo scudo: nel tragitto ebbe occasione di combattere altri getuli e uno di questi gli sfilò la galera con un colpo di mazza. Superati gli ostacoli, si trovò a venti passi dall’arciere che tese l’arco e poi lo abbassò. Il berbero guardò quel legionario coi capelli neri e lo riconobbe. Nel momento in cui si levò il turbante, anche Defendente lo riconobbe; l’arciere che aveva guidato l’imboscata: “Maledetto bastardo” disse in Tamazigh “non ho dimenticato ciò che hai fatto ai nostri” “Prima che il sole sorga domani” disse quello estraendo una falcata “la tua testa verrà infilzata su una lancia” i due, nel furore della battaglia, inziarono a duellare rabbiosamente. Ciascuno voleva prevalere sull’odiato nemico e volarono non pochi fendenti; lo scutum di Defendente si ruppe in più punti e, in capo a pochi istanti, fu costretto a gettarlo via. Il figlio del Deserto provò a ferirlo con un colpo forzato ma una parata ed un veloce contrattacco di Defendente lo costrinsero alla prudenza. Il giovane legionario si fece avanti per concludere quel duello che durava ormai da troppo tempo; riuscì a ferirlo alla gamba destra e, col secondo affondo, impugnata la spatha con due mani, la conficcò nel ventre del getulo trapassandolo. Il berbero urlò di dolore ma, invece che stramazzare al suolo, con le residue energie e il residuo odio con un fendente colpì il legionario in pieno petto, recidendo la carne all’altezza del cuore.
Defendente cadde in ginocchio a terra urlando, più che per il dolore, per la sopresa di essere stato ferito. E lo squarciò all’altezza del cuore significava morte certa. Estrasse la spada dal nemico ormai cadavere e cominciò a correre a tentoni verso la rivetta. Non aveva ancora vent’anni e stava morendo, lontano da casa, in quella sperduta piana a meridione di Lambaesis. Il sangue scorrreva lento ma inesorabile. Si trovò oltre la rivetta ma cadde giù rotolando. Si issò, ponendo la schiena sulle rocce: la spatha gli era caduta qualche passò in là “Tanto” pensò “non mi serve più”. Si rese conto di una figura che gli si stava facendo prossima. Defendente a tratti chiudeva gli occhi e a tratti li riapriva ma non riusciva a mettere a fuoco la figura: l’unica cosa che notò era la tunica, tipica dei medici dell’accampamento: “Sei un cerusico?” domandò in latino con flebile voce :” Più o meno” disse l’uomo sorridendo “E allora chi sei? ” “Defendente, guardami” “Come sai il mio nome?”. Provò ad aprire gli occhi e finalmente vide con più chiarezza: veste bianca, capelli lunghi, barba curata a due punte. Ferite a mani e piedi per togliere ogni dubbio. Notò anche che la tunica sul fianco era squarciata ed arrossata. Stentava a crederci: tramite zio Oreste aveva potuto leggere i Vangeli e altri fatti riguardanti il Maestro. Per anni aveva chiesto di vederlo, per anni aveva domandato di incontrarlo. Qualche volta si era chiesto se si curasse di lui ed eccolo lì, sorridente davanti a lui. In un’altra occasione si sarebbe spaventato ma non c’era tempo per timore e tremore. Specie se Dio in persona viene a prenderti: “Sto morendo, vero Maestro?” sussurrò con flebile voce “Che domanda stupida, certo che stai morendo” pensò subito dopo. L’Uomo sorrise “No,non stai morendo Defendente. Non è ancora giunto il tuo momento” si inginocchiò davanti a lui e gli posò la mano sulla spalla “Alzati ora”. Il ragazzo guardò la ferità “sono senza forze Maestro, non ce la faccio” “Defendente” i due sguardi si incrociarono “ti fidi di Me?” “Si Maestro” “Allora alzati” detto questo gli strinse i gomiti e lo fece alzare “E questa ferita?” domandò il ragazzo accorgendosi che il dolore stava scomparendo “Guarirà, abbi Fede”. Dalla rivetta cominciarono a scendere Getuli in fuga. Defendente li vide e si accinse ad estrarre la spatha ma si ricordò che gli era caduta “Tieni, ti servirà” l’Uomo gli porse la lama “Ben altre battaglie, però, ti attendono e molto dure. Ma abbi coraggio, io sarò con te in ogni momento come lo sono stato finora; il Mio Amore è per sempre” un vento violento e improvviso investì Defendente. Il ragazzo vide il sangue dellla ferita spazzato via dall’aria “Si tratta di Lui, vero?” “Sì, è Lui” rispose l’Uomo barbuto “Ma quali battaglie mi attendono?” “Sarete Miei testimoni” “Defendente!” la voce di Macrone proveniva da dietro la rivetta. Il ragazzo si voltò “Ora va’” “Grazie Ma-” si voltò e non vide più nessuno. Sorrise, rinfoderò la spatha e risalì la rivetta. Si trovò di fronte l’intero contubernio “Sei vivo!” Afro lo abbracciò “Ti abbiamo visto correre qui” Defendente guardò la piana antistante e contemplò la fine della battaglia “Abbiamo vinto e…” Ambusto divenne bianco in volto vedendo la ferita del giovane amico. L’intero Mare si preoccupò visibilmente “Non datevi pena” commentò il ferito.