di Luca Fumagalli

Settima puntata. Per chi si fosse perso le altre puntate della rubrica basta digitare “Evelyn Waugh concilio” sul motore di ricerca del sito di Radio Spada.
«Trovo che la nuova liturgia sia una tentazione contro la fede, la speranza e la carità, ma, a Dio piacendo, non sarò mai un apostata». Così scriveva Evelyn Waugh a mons. McReavy in un’epistola datata 15 aprile 1965. Troppe le riforme che si erano succedute in un anno (un arco brevissimo di tempo), e lo scrittore – divenuto nel frattempo il capofila dei “tradizionalisti” britannici – aveva raggiunto il limite della sopportazione.
D’altronde anche la sua battaglia pubblica contro i cambiamenti liturgici aveva sortito scarsi risultati, scontrandosi con un muro insormontabile: non solo la stampa cattolica si era schierata in blocco a favore di un ipotetico Novus Ordo, ma persino Heenan, arcivescovo di Westminster e primate inglese, aveva assunto un atteggiamento un po’ troppo ambiguo. Questi, infatti, se da una parte si dimostrava solidale nei confronti di Waugh e dei conservatori, dall’altra continuava a minimizzare la portata delle innovazioni, sostenendo che non avrebbero intaccato o diminuito in alcun modo la Fede (in questo il romanziere fu decisamente più lungimirante del suo amico prelato).
Nel suo diario, durante la Pasqua del 1965, Waugh prendeva amaramente atto di come le speranze di una retromarcia fossero ormai irrimediabilmente sfumate: «Prego Dio di non apostatare, ma ora vado in chiesa solo come un atto di dovere e di obbedienza».
Tuttavia, se la guerra si era risolta in una sconfitta, tanto valeva perdere con onore. Sempre nel 1965, Waugh, per così dire, sparò gli ultimi colpi. In una lettera del 24 aprile indirizzata al direttore del«Tablet» scrisse con toni provocatori: «I sapientoni giustificano il continuo processo di cambiamento della liturgia dicendo che aiuterà i laici a “partecipare” alla messa. Potrebbero allora spiegarci, per cortesia, come questo obiettivo desiderabile è favorito dalla perentoria proibizione odierna di inginocchiarsi all’incarnatus durante il credo?».
In una seconda missiva, più lunga e meglio argomenta, datata 31 luglio, Waugh reiterava invece i soliti dubbi sulla bontà delle innovazioni e sul pericolo di spaccare la cattolicità. La chiusa riecheggia il sarcasmo tipico del romanziere: «Forse saremo gli ultimi convertiti di questo secolo […] Tutto quello che noi chiediamo è che in ogni chiesa, dove possibile, vi sia una messa nei giorni obbligatori celebrata come avveniva al tempo di Pio IX».
Waugh scrisse altre tre lettere al direttore del «Tablet»: la lunga ombra del Novus Ordo avanzava, ma lui non aveva ancora smesso di dire la sua…
Diciamo allora che Il Signore ha ascoltato la preghiera di Waugh: non lo ha indotto nella tentazione, ma lo ha liberato dal male, di una ‘messa’ che aveva ben capito significava apostasia dalla fede cattolica.. Un caso residuo di cattolico inglese ‘ recusant’… I cattolici ‘conformist’ , come Heenan, si sa, ‘tengono famiglia’, e bisogna capirli…