di Luca Fumagalli

Nona e ultima puntata. Per chi si fosse perso le altre puntate della rubrica basta digitare “Evelyn Waugh concilio” sul motore di ricerca del sito di Radio Spada.
Nel 1966 Evelyn Waugh sentiva che la fine era ormai vicina. Tutto quello in cui lo scrittore aveva sempre creduto era stato spazzato via dal Concilio Vaticano II. Grazie all’ottusa connivenza della maggioranza, pochi vescovi “progressisti” – coadiuvati da furbi periti che lavoravano nell’ombra – in una manciata d’anni erano riusciti a trasformare irrimediabilmente il volto della Chiesa. Roma non era più la casa ospitale che, decenni addietro, aveva accolto a braccia aperte Waugh e, con lui, migliaia di convertiti inglesi.
«Negli ultimi due anni sono diventato molto vecchio», scriveva il 9 marzo a Lady Diana Mosley, «il Concilio Vaticano II mi ha devastato». Il 30 marzo, sempre in una lettera a Lady Mosley, Waugh rincarava la dose: «La Pasqua ha sempre significato molto per me. Prima di Papa Giovanni e del suo Concilio – hanno distrutto la bellezza della liturgia. […] Ora mi aggrappo tenacemente alla Fede senza gioia alcuna. Andare a Messa è per me solamente un dovere. Non vivrò per vedere la restaurazione. È ancora peggio in altri paesi».
Waugh morì improvvisamente il 10 aprile del 1966, la domenica di Pasqua, dopo aver assistito a una messa in latino celebrata dal gesuita Philip Caraman. Difficile dire se fu un caso o un intervento della provvidenza. La figlia Margaret, da quanto scrisse in un’epistola a Lady Diana Cooper, sembrava propendere per la seconda ipotesi: «Non essere troppo affranta per papà. Penso sia stato una sorta di meraviglioso miracolo. Lo sai quanto desiderasse ardentemente morire, ed è scomparso la domenica di Pasqua, quando tutta la liturgia è basata sulla morte e la resurrezione, dopo aver assistito alla messa in latino e aver ricevuto la Santa comunione esattamente come voleva. Sono sicura che durante la messa abbia chiesto di morire. Sono davvero, davvero felice per lui». Dello stesso parere la moglie Laura: «Credo che pregasse di morire già da molto tempo e per lui non sarebbe potuto accadere in modo più bello e felice».
Padre Caraman tenne la predica durante la messa da requiem, celebrata presso la cattedrale di Westminster il 21 aprile, alla presenza di numerosi nomi noti del panorama culturale britannico e del cardinale Heenan (che, nel frattempo, aveva preso le distanze dal radicalismo “tradizionalista” di Waugh per venire in qualche modo a patti con Paolo VI. Tra l’altro fu soprattutto merito della sua ponderata attività diplomatica se si arrivò, nel 1971, al celebre “indulto di Agatha Christie”).
La breve omelia di Caraman fu quasi completamente dedicata al profondo amore di Waugh per la liturgia romana, sigillo di verità e di universalità: «È stato detto giustamente da un suo amico cattolico che il tabernacolo e la lampada del santuario erano per lui i simboli di una Chiesa immutata in un mondo in rovina». La morte improvvisa, ancorché dolorosa, forse recava davvero con sé il segno di una preferenza divina nei confronti di uno degli ultimi cavalieri della Tradizione: «Cristo ha organizzato la sua dipartita come segno di gratitudine verso un servo fedele».
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