
di Massimo Micaletti
In un mio precedente articolo1 ho fatto cenno a quelli che stanno correndo ai ripari cercando di convincerci che la legge appena approvata nello Stato di New York non sia una liberalizzazione dell’infanticidio prenatale: sono pochini, a dire il vero, perché il testo di legge parla da sé e solo chi non lo ha letto o lo ha letto senza avere una minima conoscenza della bioetica e della evoluzione normativa in questo campo potrebbe dire che l’aborto al nono mese a New York sia solo per i casi di emergenza. Nel medesimo articolo ho fatto anche riferimento alle motivazioni, al bisogno compulsivo della nostra cultura attuale di coprire l’orrore: ci piace definirci “società dell’informazione” ma vero è che troppo spesso l’informazione serve a mettere il mostro sotto il tappeto, specie su questi temi.
Ah, a proposito: lo sapevate, sì, che non solo a New York è possibile abortire fino al nono mese? Solo per restare negli USA, è consentito di fatto a piacimento in Alaska, Colorado, New Hampshire, New Jersey, Nuovo Messico, Oregon e Vermont oltre alla città di Washington mentre in Georgia, Louisiana, Mississippi, South Carolina, Texas, Utah, e West Virginia è consentito nel caso in cui il feto presenti “anormalità mortali”, come a dire che siccome morirà lo ammazziamo (vi ricorda nulla?).
Ciò detto, il tentativo di “Open” – è a questo che mi riferisco – di dare una visione incompleta e non corretta della realtà andrebbe preso per quel che è, ossia un’improvvisata di chi cerca di mettere una pezza ad un fatto che, ahimé, è troppo disturbante: solo che stavolta il mostro è troppo grosso e sotto al tappeto non ci sta.
Prendiamo le mosse dal secondo pezzo di Open, quello in cui l’articolista ribadisce la sua versione dei fatti2. Già l’esordio zoppica, perché, nel ricapitolare i punti del Reproductive Act di Cuomo censisce:
- “ha abrogato il termine della 24esima settimana per quanto concerne il ricorso all’aborto terapeutico e non volontario, in caso di rischi per la vita o per la salute della donna o di assenza di vitalità fetale;
- ha esteso anche al personale sanitario non medico ma autorizzato la possibilità di effettuare trattamenti abortivi;
- ha modificato il codice penale andando a depenalizzare il reato di aborto e specificando che il reato di omicidio attiene solo alla soppressione di una persona, che per essere considerata tale deve essere nata e viva, escludendo dunque i feti”.
Ora, già da questa sintesi appare evidente, quanto al secondo punto (“personale non medico ma autorizzato”) che c’è poco da star tranquilli: non dice nulla sul punto, Open, ma di fatto questa legge legalizza le tanto temute mammane. S’era detto e strepitato tanto, infatti, che la legalizzazione dell’aborto avrebbe messo le madri solo e soltanto nelle mani di personale medico preparato, ma ora vediamo che Cuomo consegna le madri e i loro figli a “personale non medico ma autorizzato”. Come mai? Se ci pensiamo, da un punto di vista strettamente chirurgico è ben più complicato e rischioso far fuori un feto di tre chili che uno di seicento grammi (tanto pesa, più o meno, un feto alla 24° settimana): tutto lascerebbe pensare che l’opera di un medico sia richiesta con ancor maggiore urgenza che nell’aborto entro le ventiquattro settimane, invece Cuomo chiama in causa personale non medico. La spiegazione è abbastanza semplice: per le cliniche abortive, soprattutto quelle private (Planned Parenthood in primis) è sempre più difficile e costoso reperire medici che accettino di fare a pezzi i feti: personale non medico ma con una semplice autorizzazione costa meno ed è più facilmente reperibile tra gli strati meno ricchi della popolazione, che non possono permettersi un’istruzione medica. E, dato che l’aborto in USA è un fenomeno che riguarda soprattutto le minoranze etniche ed i meno abbienti, tirate voi le somme sugli scenari che si aprono di qui a qualche mese. Bel regalo per Planned Parenthood, da sempre vicina ai democrats in cui Cuomo milita; e la cosiddetta “salute della donna” potrà pur correre qualche rischio in più.
Ancora. Sarebbe rassicurante a questi effetti che la norma Cuomo prevede che il personale “non medico” sia “autorizzato”. Ma di quale autorizzazione parla? Se andiamo a leggere il testo – solitamente, il fact checking inizia così e non finisce lì – vediamo che la norma (article 25-A) dice testualmente che il personale deve essere “A health care pratictioner licensed, certified, or authorized under title eight of the education law”. Se andiamo a vedere il titolo VIII della Education Law, non esiste la figura specifica dell’Health care pratictioner, o meglio esistono diverse figure che vi si possono ricondurre: dall’infermiere, all’ostetrica, al fisioterapista: l’Act è invece molto generico, proprio per facilitare l’assunzione ed il coinvolgimento nella procedura di tecnici delle più diverse estrazioni dell’ambito sanitario. Quindi, ben poco c’è da star tranquilli anche dal punto di vista della buona tutela della donna.
Sul terzo punto, ossia che una persona “per essere considerata tale deve essere nata e viva, escludendo dunque i feti”, la leggerezza con cui viene trattato questo inciso è abbastanza agghiacciante: spendo solo un paio di righe. Nulla, nulla cambia in un essere umano dal secondo prima al secondo dopo la nascita: le sue facoltà, i suoi sensi, tutta la sua persona è identica prima e dopo il parto. E’ un dato oggettivo, nessuno dotato di buona fede e ragione potrebbe metterlo in discussione. Lo stesso può dirsi – almeno – andando indietro fino all’ottavo mese di gestazione; andando ancora indietro, diventa più difficile averne plastica evidenza ma basta un minimo di intelligenza (intesa proprio come capacità di vedere nelle cose ed oltre le cose) e di informazioni mediche di base per comprendere che anche a si, cinque o quattro mesi di gestazione non manca già nulla salva la possibilità di sopravvivere al d fuori del grembo materno. Restiamo però oltre le ventiquattro settimane: ora, chiedo all’articolista ed a chi la pensa come lei, se sia una norma civile quella che decreta che alcuni esseri umani sono persone ed altri no sulla base di un criterio assolutamente folle e fallace come l’essere o il non essere ancora nati, quando la biologia e la medicina ci dicono che nella realtà non cambia nulla. E’ esattamente come dire che ognuno di noi è persona ma solo dopo le otto del mattino, perché dalla mezzanotte alle 7:59 non lo è e chiunque può macellarlo.
Su questo profilo non esiste alcun valido argomento a difesa dell’Act di Cuomo3 – sempre che si voglia restare in un contesto umano e non belluino – tanto è vero che la stessa articolista si limita a spiegare questo passo della norma, ma non ha alcuna tesi a giustificazione se non dire, palesemente contro il vero, che: “La nuova legge, attraverso l’abrogazione del reato di aborto, va invece a far ricadere l’atto non più nella sfera penale ma in quella della salute pubblica, in linea con molti altri Stati. Le donne che dunque si ritroveranno ad avere gravi e comprovati problemi di salute nell’ambito della gravidanza – o che si trovino nella condizione di portare nel grembo un feto privo di vita o impossibilitato a sopravvivere al di fuori dell’utero materno, potranno ricorrere all’aborto terapeutico anche nel terzo trimestre di gravidanza senza rischiare l’incriminazione per omicidio”. Perché dico che è contro il vero? Perché non è vero! Non è vero che il Reproductive Act ridefinisca l’omicidio solo quanto alla sfera della salute.
Nell’articolo 25-A del Reproductive Act c’è una ridefinizione del concetto di persona – che, appunto, deve essere nata e viva per considerarsi tale – che viene espressamente estesa alle norme penali: per esser più chiari, non si tratta (come scrive l’articolista) di una nozione circoscritta al solo ambito sanitario, quasi a legalizzare l’omicidio prenatale solo nel caso in cui esso sia momento necessario di una prassi medica. Basta leggere la norma, di grazia, per constatare che la ridefinizione riguarda le fattispecie di omicidio, omicidio premeditato, violenza, strage, percosse e tutti quegli altri reati dai quali può derivare la morte del concepito (o anche la morte del concepito: sicché chi ucciderà una donna al nono mese di gravidanza risponderà di un solo omicidio e non di due): cosa abbia a che vedere questo colla “salute pubblica” che l’articolista chiama in causa, francamente, non si comprende. È chiaramente una norma di portata generale e non limitata alla vicenda sanitaria dell’aborto. Il testo di legge è limpido: in claris non fit interpretatio. Si tratta del resto di una coerente e piena applicazione delle implicazioni etiche e giuridiche dell’aborto, alla prima settimana come al nono mese: esisti solo se sei nato, altrimenti sei carne da peso.
E veniamo al primo punto della costruzione di Open, ossia ove l’articolista sintetizza nei seguenti termini: “ha abrogato il termine della 24esima settimana per quanto concerne il ricorso all’aborto terapeutico e non volontario, in caso di rischi per la vita o per la salute della donna o di assenza di vitalità fetale”. Spiega poi: “Che cosa significa esattamente? In sostanza, il ricorso all’aborto teraputico, e non volontario, è possibile solo quando, secondo il parere del medico basato su fatti concreti e reso in buona fede, la gestante sia in evidente pericolo di vita, la sua salute sia compromessa o il feto non dia più segni di vita”. Ora, solo chi è totalmente a digiuno di bioetica e di nozioni sulla storia dell’aborto legale e delle idee ed ideologie che lo hanno sorretto può affermare che non si tratti di aborto volontario a tutti gli effetti. In effetti, come è noto, per l’OMS sin dal 1946 la salute è definita come “stato dicompleto benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”: in tale categoria viene inteso quale “disagio psichico” non solo il caso della malattia mentale o psicologica, ma anche la sofferenza della donna per non poter portare avanti il progetto di vita che aveva e che la gravidanza inattesa ha scombinato. Perciò, quando si parla di nesso tra aborto e salute non si deve intendere l’aborto solo come teso a scongiurare patologie, ma anche semplicemente a prevenire il disagio della maternità non desiderata. Su questo non c’è alcuna obiezione che tenga, è la medesima ratio dell’arcinota sentenza Roe vs. Wade e di tutte le norme che consentono l’interruzione di gravidanza: se si circoscrivesse l’aborto ai soli casi di patologia medica tale da rendere il prosieguo della gravidanza incompatibile colla vita o colla salute biologica della donna, gli aborti sarebbero una parte molto piccola di quelli che invece vengono praticati e certamente nessuno di questi avverrebbe all’ottavo – nono mese, periodi gestazionali nei quali il feto viene partorito, non abortito. All’ottavo – nono mese di gestazione, infatti, per tutelare vita e salute della mamma basta far nascere il bambino, non serve abortirlo: non esiste alcuna patologia incompatibile colla gravidanza che abbia quale indicazione la soppressione del concepito rispetto al parto.
E del resto, se non fosse aborto libero ed a piacere, credete che le femministe sarebbero così contente? Ecco perché, allorché l’articolista scrive “In sostanza, il ricorso all’aborto terapeutico, e non volontario, è possibile solo quando, secondo il parere del medico basato su fatti concreti e reso in buona fede, la gestante sia in evidente pericolo di vita, la sua salute sia compromessa o il feto non dia più segni di vita” è in errore: perché non considera il concetto di “salute” non è solo la protezione o la cura dalla malattia, ma lo stato di “completo benessere fisico, psichico e sociale” onde la prospettiva di un figlio inatteso ben può minare quello stato di completo benessere e giustificare la soppressione del concepito.
Tanto ciò è vero che nel 1973 – ma questo forse l’articolista non lo sapeva, altrimenti certo non lo avrebbe taciuto – lo stesso giorno della nota sentenza Roe vs Wade fu emessa dalla Corte Suprema un’altra decisione in tema di aborto, la Doe vs. Bolton. In quel caso, la Corte Suprema era chiamata a decidere sulla costituzionalità della legge sull’aborto dello stato della Georgia, che ammetteva l’interruzione di gravidanza solo a seguito del parere una équipe composta da diversi medici e solo e soltanto per cause di patologia medicalmente accertata o per il caso di stupro dopo che la donna avesse provato di aver sporto denuncia e che vi fossero elementi di prova del fatto: ebbene, la Corte ha stabilito espressamente che “Il solo tenuto a decidere sull’aborto è il medico” e che “Il giudizio medico può essere esercitato alla luce di tutti i fattori – fisici, emotivi, psicologici, familiari e dell’età della donna – rilevanti per il benessere del paziente. Tutti questi fattori possono essere posti in correlazione con la salute”. Di talché, già dal 1973, quantomeno in USA, per “salute” si intende qualunque cosa che consenta alla gestante di vivere la vita che si era prefissa.
Cosa ci insegna questa storia? Al di là del merito della questione, che ripugna alla ragione ed alla Fede, ci insegna che la bioetica è un campo complesso, in cui non si può prendere una riga e leggerla isolata da un contesto che è multidisciplinare e che vede l’impegno da decenni di biologi, medici, giuristi, pensatori, teologi. Una legge come il Reproductive Act richiede una lettura a tre dimensioni: testuale, sistematica, prognostica. Chi si improvvisa a commentare un testo di tale portata senza la necessaria competenza finisce per far la figura di quello che insiste a dire che la terra è piatta perché il pavimento di casa sua non è curvo.
Qualcuno ha anche detto che la vera lezione sarebbe che il giornalismo è morto, ma non siamo così drammatici: il vero giornalismo è un’altra cosa. E poi, noi siamo per la vita, sempre. Persino del giornalismo.
Massimo Micaletti
per semplice curiosità, chi sono le tre ehm “gentili signore” della foto? (eh, le 3 Parche, le 3 str…eghe, cosa credevate? dello Scottish Play che porta iella). Spero almeno che la più anziana don sia la madre del tipo
rettifico, Non sia la madre
è Sarah Weddington, l’avvocatessa che a suo tempo ottenne la liberalizzazione dell’aborto con la citata sentenza “Roe vs Wade”: E notare che la donna da lei rappresentata, Norma McCorvey (Roe era un nome di copertura) divenne poi, convertitasi da una vita disordinata, fervente cattolica, svolgendo intensa attività per la vita e contro l’aborto, e inoltre non aveva mai personalmente abortito, aveva dato i figli in adozione.