di Giuliano Zoroddu

Pedro Gonzalez de Mendoza dei marchesi di Santillana nacque a Guadalajara, nel Regno di Castiglia, il 3 maggio 1428. Sotto l’egida dello zio Gutierre Álvarez de Toledo, Arcivescovo di Toledo, iniziò il commino della carriera ecclesiastica. Presso di lui ebbe modo di studiare latino, storia e retorica, discipline nelle quali eccellerà in seguito e alle quali si aggiungerà una brillante conoscenza del diritto civile ed ecclesiastico. Nel 1452 conseguì infatti presso l’Università di Salamanca la laurea in utroque jure.  Con un simile “curriculum” fece il suo ingresso nella corte del re Giovanni II che lo nominò prima suo Cappellano e poi lo propose a Niccolò V come Vescovo di Calahorra. Ricevette l’episcopato il 20 luglio 1454 per l’imposizione delle mani dell’Arcivescovo di Toledo Alfonso Carrillo de Acuña. Il Mendoza incarna pienamente quella figura di uomo di Chiesa colto e fautore della cultura che sa districarsi fra i meandri della gestione dello Stato e non ha nessun problema ad impugnare la spada. Infatti fedele al re Enrico IV di Castiglia, come tutta la sua famiglia, si oppose ai partigiani dell’Infante Alfonso (fratello della futura regina Isabella e fratellastro de re) e fu presente tra le file dell’esercito regio durante la battaglia di Olmedo del 20 agosto 1467. In questo stesso anno passò al vescovato di Siguenza, che mantenne fino alla morte. Al periodo dell’episcopato di Calahorra risale anche la relazione con Mencía de Lemos, dama di compagnia della regina Giovanna d’Aviz, dalla quale il Mendoza ebbe due figli – Rodrigo Díaz de Vivar y Mendoza e Diego Hurtado de Mendoza y Lemos – legittimati più tardi dalla regina Isabella prima e da Innocenzo VIII poi. Un terzo figlio – Juan Hurtado de Mendoza y Tovar -lo ebbe in seguito da Inés de Tovar. Nel 1473 Sisto IV lo creò Cardinale di Santa Romana Chiesa affidandogli la Diaconia di Santa Maria in Domnica, che poi lascerà per assumere il titolo di Santa Croce in Gerusalemme (1478). A lui si devono i restauri di quest’ultima Basilica Romana, durante i quali fu rinvenuto il Titulus in latino, greco ed ebraico che Ponzio Pilato fece affiggere sulla Croce del Salvatore. Nel 1474 fu scelto come Arcivescovo di Siviglia, carica che manterrà fino al 1482 quando siederà sulla Cattedra di Toledo, Primaziale delle Spagne, assumendo anche le funzioni di Legato papale in quei regni. Nel frattempo Enrico IV era morto (11 dicembre 1474) ed era scoppiata la guerra civile per la successione al trono di Castiglia fra Isabella e Juana, figlia di Enrico IV e Giovanna d’Aviz, detta la Beltraneja (si vociferava infatti che in realtà fosse figlia del famoso capitano Beltran de la Cueva). In questa disputa guerreggiata il Gran Cardinale di Spagna – questo l’appellativo col quale era conosciuto – sebbene nel passato avesse parteggiato con tutta la sua famiglia per la legittimità di Juana, si distinse come fautore di Isabella, che egli stesso incoronò a Segovia nel 1474, partecipando attivamente anche alla guerra contro i portoghesi invasori, fautori invece della avversaria che nel frattanto era diventata Regina di Portogallo. Conclusa la guerra civile collaborò coi sovrani Isabella e Ferdinando alla solidificazione del Regno di Castiglia incentivando la istallazione della Inquisizione contro i giudaizzanti, concessa da Sisto IV nel 1478, e la guerra contro il regno musulmano di Granada. A quest’ultima partecipò, finanziando l’esercito e impugnando egli stesso ancora una volta la spada. Sarà finalmente lui il 2 gennaio 1492 ad issare lo stendardo dei Re Cattolici sull’Alhambra, annunziando al mondo il giorno lieto della redenzione di tutta la Spagna dal dominio maomettano dopo quasi 800 anni di guerra di liberazione. Nella medesima città di Granada fece erigere un sontuoso tempio alla Vergine Maria concepita senza peccato originale: da vero Spagnolo fu sempre devotissimo alla Madre di Dio. Nello stesso anno introdusse a Corte come confessore della regina Isabella, un frate francescano che, prima di ritirarsi dal mondo era stato Vicario generale della sua Diocesi di Siguenza: Francisco Jimenez de Cisneros. Lo stesso Mendoza lo indicherà come suo successore nella carica di Arcivescovo di Toledo: alla morte del Cardinale però ci vollero le guardie armate per far accettare al Cisneros il peso della mitria …. ma di questo abbiamo già trattato altrove[1].  Contemporaneamente perorò presso i sovrani i progetti di Cristoforo Colombo: perorazione quanto mai benedetta e benemerita, se consideriamo come l’Ammiraglio «scoprì l’America mentre una grave procella veniva addensandosi sulla Chiesa [la rivoluzione luterana, ndr]: sicché, per quanto è lecito a mente umana di congetturare dagli eventi le vie della divina Provvidenza, l’opera di quest’uomo, gloria della Liguria, sembra fosse particolarmente ordinata da Dio a ristoro dei danni che la cattolicità avrebbe poco dopo patito in Europa»[2]. Intanto i giorni del Gran Cardinale si avvicinano alla conclusione: una malattia ai reni lo condurrà alla morte l’ 11 gennaio 1495 nella nativa Guadalajara, omaggiato dalla visita dei monarchi. «Affermano concordemente gli storici, che essendo questo cardinale mortalmente infermo, si vide sopra la sua camera una splendida croce, la quale non discomparve finché il pio cardinale non rese lo spirito a Dio»[3].  Il suo corpo, traslato a Toledo per mandato testamentario, fu seppellito nel presbiterio della Primaziale, dove attende la resurrezione dei morti. Ad eternarlo, oltre alle gesta ecclesiastiche, diplomatiche e militari, ancora oggi si ergono gloriose opere quali la già menzionata basilica di santa Croce in Gerusalemme, il Colegio Mayor Santa Cruz a Valladolid, l’Ospedale de la Santa Cruz a Toledo. Infine da questa gloria del Cardinalato Romano e della generosa terra di Spagna prende nome il prelibatissimo brandy Cardenal Mendoza Solera Gran Reserva.



[1] Rimandiamo alla scheda biografica di S.E.R. il Cardinale Francisco Jimenez de Cisneros OFM Obs (1436-1517), compilata per questa rubrica.

[2] Leone XIII, Lettera enciclica “Quarto abeunte saeculo”, 16 luglio 1892.

[3] Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, 1847, vol. XLIV, p. 201.


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