di Luca Fumagalli

In anni e anni di studio raramente mi è capitato di imbattermi in un saggio così avvincente. Finis Austriae (Il Cerchio, 2018), oltre a narrare con eleganza un tema ahimè poco frequentato come quello della caduta del glorioso Impero austro-ungarico, vanta un fascino unico ed è in grado di coinvolgere il lettore in un meraviglioso viaggio nel passato, alla scoperta di quella culla della cultura mitteleuropea che era la Vienna di inizio Novecento. D’altronde la fine dell’Austria non fu solo la fine di un impero, ma è, in qualche modo, un simbolo della fine dell’Europa. Il «mondo di ieri» tanto amato da Zweig giace da più di un secolo sotto le macerie del primo conflitto mondiale; fortunatamente, però, le sue voci continuano a parlare nell’eco eterno della grande cultura.
Difatti quello più impressiona scorrendo le pagine del poderoso volume firmato da Giuseppe Baiocchi – corredato da moltissime fotografie – è scoprire come, nei confini dell’Impero, siano nate alcune delle voci più autorevoli della letteratura, della filosofia, della musica, dell’arte e della scienza del XX secolo. Si finisce così per imbattersi in nomi altisonanti quali quelli di Kafka, Klimt, Loose, von Hofmannsthal, Wittgenstein, Mahler, Freud e molti altri ancora, le cui parabole biografiche sono tutte inserite nella cornice storica degli eventi che portarono al lento ma inesorabile disfacimento della potenza austriaca.
Ampio spazio viene dato pure alle questioni più schiettamente politiche. In questo senso Finis Austrie procede per capitoli di varia lunghezza, tutti egualmente interessanti: dopo una panoramica sociologica sui popoli che componevano l’Impero multietnico per eccellenza, si giunge alla Grande Guerra e al tentativo fatto da Carlo I nel 1921 di ottenere la corona magiara, fino al drammatico epilogo, consumatosi nei giorni dall’Anschluss hitleriano. Né mancano affondi sul Tirolo, il “caso Mayerling” – il suicidio del principe ereditario Rudolf –, il mancato progetto coloniale e altre questioni collaterali che contribuiscono a offrire al lettore uno sguardo complesso e mai banale sui fatti accaduti, lontano anni luce da certe mitologie dal retrogusto fastidiosamente irredentista con cui, purtroppo, sono cresciuti da sempre migliaia e migliaia di studenti italiani.
Se, come si suole ripetere, la storia è maestra di vita, il vero punto di forza del libro di Baiocchi risiede tuttavia nella riflessione sull’attuale krisis europea, che mostra parecchi punti di contatto con quello svuotamento del soggetto che si era già verificato all’interno della Monarchia duale, uno smarrimento identitario, culturale e spirituale dai risvolti potenzialmente drammatici. Un secolo dopo i fatti narrati nel volume, lo spettro della finis Europae sembra materializzarsi all’interno di una più ampia decadenza istituzionale mondiale. L’asservimento totale dell’uomo alla tecnica è un pericolo sempre più inquietante che, per evitare gli errori del passato, va scongiurato recuperando la ridici di una nuova cittadinanza europea, da ricercare al di là di un’unificazione economico-statale.
Il libro: Giuseppe Baiocchi, Finis Autriae. Sul tramonto dell’Europa, San Marino, Il Cerchio, 2018, 438 pagine, 38 Euro