di Giuliano Zoroddu
Primo punto del programma di ogni pontificato dalla seconda metà del secolo XV in poi fu la Crociata contro gli Ottomani i quali, come una morsa, stringevano la Cristianità sia greca sia latina a Oriente e a Mezzogiorno.
A contrastare l’avanzata di Murad II (1421-1451) in Ungheria si adoperò Eugenio IV (1431-1447) nel 1442, bandendo una grandiosa Crociata che però fini tragicamente: trentamila prodi Cristiani furono travolti da centoventimila Turchi a Varna in Bulgaria il 10 novembre 1444 e lo stesso Legato Papale, Cardinale Giuliano Cesarini, morì combattendo.
Zelo religioso ed umanista a un tempo mosse Niccolò V (1447-1455) e Pio II (1458-1464). Il primo tutto fece per aiutare l’ultimo Basileus Costintino XI Paleologo (1449-1453) durante la resistenza di Costantinopoli e per recuperarla dopo che il 29 maggio 1453 Maometto II (1451-1481) ne entrò ferocemente in possesso. Il secondo, di fronte al comportamento dei principi cristiani maggiormente impegnati nell’usurpare i diritti della Chiesa che nel combattere l’Infedele, si portò ad Ancona nel progetto, poi incompiuto, di guidare egli stesso il passagium.
E tra i due, il pontificato di Callisto III Borgia (1455-1458), che si impegnò con giuramento solenne davanti a Dio, “di perseguitare colla guerra ed in tutti i modi … i Turchi nemici del nome Cristiano”. Sotto il suo regno, oltre alla guerra marittima portata avanti dalla flotta pontificia del Cardinale Scarampi Mezzarota (1401-1465), si compì la liberazione di Belgrado (22 luglio 1456) quando l’esercito crociato, condotto dai tre Giovanni – il santo francescano Giovanni da Capestrano (1386-1456), l’eroico reggente d’Ungheria Giovanni Hunyadi (1407-1456) e il Cardinale Giovanni di Carvajal (1399/1400-1469) – mise in fuga il terrorizzato esercito di Maometto II.
È così, barcamenandosi tra le sempre più turbolente vicende della politica italiana ed internazionale, il Papato, sebbene concentrato a garantire la necessaria indipendenza della Sede Apostolica, non perse di vista il pericolo ottomano.
Così Sisto IV (1471-1484) bandì due Crociate (1472, 1480) e, congiuntamente alle truppe napoletane, liberò Otranto ancora grondante del sangue degli Ottocento Martiri. Parimenti Innocenzo VIII (1484-1492), sotto il cui pontificato fu tra l’altro portata a termine la Reconquistadella Spagna, tenne a freno Bayazid II (1481-1512), minacciando a più riprese di liberare il fratello Djem, catturato dai Cavalieri di Rodi ed ostaggio della Santa Sede, che gli contendeva il trono.
Tuttavia poiché il pericolo turco pendeva sempre sui destini d’Europa, tanto più che anche l’Egitto era caduto sotto il giogo della Sublime Porta e i corsari la facevano da padroni nel Mediterraneo, la necessità di una Crociata fu anche oggetto di discussione nelle sessioni del Lateranense V, che Giulio II (1503-1513), già impegnato sui campi di battaglia contro i Francesi, aveva aperto il 3 maggio 1512 per contrapporre un concilio ecumenico legittimo al conciliabolo pisano che, al soldo di Luigi XII di Francia, presumeva di deporlo.
La pace cristiana e la conseguente guerra al Turco già veniva invocata da Egidio da Viterbo, il quale chiudendo la sua ben nota prolusione pregava appassionatamente gli Apostoli Pietro e Paolo di provvedere “a che si rappacifichino i principi cristiani e le armi dei nostri re si dirigano contro Maometto, pubblico nemico di Cristo”[1].
E la questione si ripropose negli interventi di prelati e ambasciatori sessione dopo sessione fino alla dodicesima ed ultima del 16 marzo 1517, quando finalmente Leone X (1513-1521), succeduto a Giulio II, “sacro approbante Concilio”, indiceva la Crociata:
«Immeritatamente costituiti, secondo la parola del Profeta, al di sopra delle genti e dei regni, adempiamo decentemente al dovere del Nostro ufficio quando […] reprimiamo i Turchi e gli altri infedeli che premono ad Oriente e a Mezzogiorno, i quali, con cecità pertinacissima, disprezzano la via della vera luce e della vera salvezza, attaccano la croce vivificante su cui il nostro Salvatore ha voluto morire perché morendo potesse distruggere la morte, e con il mistero ineffabile della sua vita santissima riparasse la nostra vita, e si fanno nemici odiosi di Dio e acerrimi persecutori della religione cristiana; e, muniti di difese non solo spirituali ma anche temporali, sotto la guida e col favore di Dio, ci opponiamo ai loro continui e crudeli attacchi. Giulio II, Nostro predecessore di felice memoria, con il consiglio e l’approvazione dei venerabili fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, nel cui novero eravamo allora anche Noi, lodevolmente, legittimamente, per ragionevoli motivi e con la cooperazione dello Spirito Santo convocò il sacro e generale Concilio Lateranense, e di esso celebrò cinque sessioni e ne indisse la sesta. Uscito dalla scena umana il detto nostro predecessore Giulio, Noi, che anche quando eravamo costituiti in un grado inferiore, sempre desiderammo di cuore di vedere celebrato il concilio generale, considerandolo vitale per l’incremento del campo del Signore, ora che siamo stati assunti per il favore della divina clemenza all’apice dell’Apostolato, consideriamo che, col dovere della cura pastorale, che ora Ci è stato affidato si sia aggiunto un obbligo al Nostro onorevole e utile desiderio e abbiamo intrapreso la questione con ardore ed alacrità maggiori. […]Abbiamo anche dichiarato che è e sarà parte del nostro pensiero e intenzione immutabile che, una volta completate le questioni riguardanti la lode di Dio e l’esaltazione della suddetta chiesa, si faccia la santa e grandemente necessaria spedizione contro i nemici della fede cattolica per felicemente trionfare di essi col favore dell’Altissimo. […] Spinti dallo zelo per la fede, con l’approvazione del sacro concilio, decretiamo che la suddetta campagna contro gli Infedeli, da Noi e dal Nostro predecessore Giulio nelle precedenti sessioni proposta e promessa, debba essere intrapresa e portata avanti. Noi stessi, come il detto Nostro predecessore Giulio,l’abbiamo proposta durante le precedenti sessioni e l’abbiamo comunicata e discussa con i rappresentanti dei re e dei principi presso di Noi. Anche papa Niccolò V, Nostro predecessore di una pia memoria, convocò una spedizione generale contro gli Infedeli dopo la calamitosa caduta di Costantinopoli per reprimere la loro furia e vendicare le ingiurie fatte da loro Cristo. Lo imitarono Callisto III e Pio II, Romani Pontefici Nostri predecessori di felice memoria […] E perché essa sortisca un felice esito di continuo effondiamo a Dio onnipotente pie, umili e sincere preghiere ed ordiniamo che lo stesso facciano tutti i cristiani, uomini e donne. Esortiamo Massimiliano, Imperatore eletto, e i re, i principi e governanti cristiani, il cui coraggio Dio ci invita ad eccitare, di ergersi in forza e potenza a difesa della fede cristiana, poiché questo è un dovere che incombe su di essi come personale e necessario, mettendo da parte gli odi reciproci e dimenticando per sempre i dissensi e i conflitti; implorandoli per la bontà misericordiosa del nostro Dio, Gesù Cristo; ricordando loro il suo tremendo giudizio e facendo presente che renderanno conto della difesa e conservazione, anche a costo della propria vita, della Chiesa redenta dal sangue di Cristo»[2].
La bolla non ebbe alcun seguito. Pochi mesi dopo Lutero avrebbe appiccato il fuoco della sua falsa riforma – tra l’altro uno dei suoi errori era proprio: “combattere contro i Turchi è opporsi a Dio, che visita le nostre iniquità per mezzo loro” – e la successione al trono imperiale con tutto il corollario di guerre fra Carlo V e Francesco I di Francia (alleato del Sultano che intanto continuava a saccheggiare il Sud-Italia) avrebbe rallentato il moto anti-turco il quale poi sarebbe ripreso negli anni Trenta toccando l’apice del trionfo a Lepanto (7 ottobre 1571) ed a Vienna (12 settembre 1683), quando grazie a san Pio V (1566-1571) e al beato Innocenzo XI (1676-1689) l’Europa cristiana poté ancora vivere nella libertà di Cristo.
A perpetuare la memoria dello zelo crociato di Leone X – non certo eguagliabile alla santità di un Pio V, ma pur sempre conscio dei suoi doveri di capo supremo della Cristianità, ordine divino incarnato nella società degli uomini – rimane visibile a tutti la evocativa “Battaglia di Ostia” affrescata da Raffaello Sanzio fra il 1514 e il 1515 nella Stanza dell’Incendio di Borgo presso il Palazzo Apostolico Vaticano , nella quale prigionieri Saraceni, sconfitti nella battaglia di Ostia dell’estate dell’849 che vide il trionfo della Lega Campana, vengono umiliati davanti al trono di san Leone IV, patrocinatore della suddetta lega militare italiana contro gli Arabi, rappresentato appunto coi tratti di Leone X.
Tra fallimenti e trionfi, tra eroismo e tradimenti, si manifesta ancora una volta sempre e comunque quella verità storica inconfutabile per cui “sono glorie dei Papi e del loro Principato i barbari respinti od inciviliti; il dispotismo combattuto e frenato; le lettere, le arti, le scienze promosse; le libertà dei Comuni; le imprese contro i Musulmani, quando erano essi i più temuti nemici non solo della religione, ma della civiltà cristiana e della tranquillità dell’Europa”[3].
[1] Mansi, Collectio Conciliorum, XXIII, 676
[2] Ivi, 988-992.
[3] Leone XIII, Epistola “Quantunque le siano”, 15 giugno 1887, ASS, vol. XX (1887), pp. 4-26. Vedi anche Idem, Immortale Dei, 1° novembre 1885: “Il fatto che l’Europa cristiana abbia domato i popoli barbari e li abbia tratti dalla ferocia alla mansuetudine, dalla superstizione alla verità; che abbia vittoriosamente respinto le invasioni dei Maomettani; che abbia tenuto il primato della civiltà; che abbia sempre saputo offrirsi agli altri popoli come guida e maestra per ogni onorevole impresa; che abbia donato veri e molteplici esempi di libertà ai popoli; che abbia con grande sapienza creato numerose istituzioni a sollievo delle umane miserie; per tutto ciò deve senza dubbio molta gratitudine alla religione, che ebbe auspice in tante imprese e che l’aiutò nel portarle a termine“