di Ilaria Pisa

La realtà riesce sempre a superare la fantasia. Citiamo un significativo passo da un articolo comparso sul sito della rivista La Civiltà Cattolica (o la inciviltà acattolica, a seconda…) in data odierna, a firma Jean-Claude Hollerich, a giudicare dalla foto un chierico.
Grassettature nostre, e commenti a seguire.

Nelle miniere di carbone, nelle industrie pesanti in Europa lo straniero era sempre visto come un compagno, un collaboratore. Molte amicizie e molti matrimoni mostrano che la differenza culturale e religiosa non conduce necessariamente all’esclusione. Il mondo operaio era aperto alla condivisione e rifletteva così un atteggiamento profondamente cristiano. Il sindacalismo era quindi spesso più universale delle nostre Chiese, che dopo il Vaticano II sono diventate Chiese nazionali.
La maggior parte delle Chiese in Europa hanno Conferenze episcopali nazionali. Certo, questa organizzazione permette ai vescovi di affrontare i problemi reali della loro Chiesa, ma aiuta anche a cementare nell’immaginario cattolico lo Stato-nazione e ci fa perdere una parte della nostra vocazione universale. L’universalità del latino ha ceduto il posto alle lingue nazionali, ma la liturgia nelle lingue nazionali ha dimenticato i valori di apertura e di dialogo del Concilio Vaticano II.
Questo argomento della lingua vernacolare può sorprendere qualche lettore, ma in una Chiesa come quella del Lussemburgo, che annovera tra i fedeli numerosi cattolici immigrati, il problema delle lingue nella liturgia è reale, e in una società fatta di mondi separati noi procediamo con Chiese separate. Certamente ci sono dei movimenti più profetici in Europa, ma, purtroppo, la Chiesa spesso è più un freno che un motore.
La mancanza del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II e un cattolicesimo basato sui riti potrebbero spiegare perché i populismi attirano anche un certo numero di cattolici praticanti. I riti sono un elemento di ordine nella vita quotidiana; i riti e l’ordine, considerati insieme, costituiscono un luogo con un passato immaginario che spesso pretende di rappresentare «l’Occidente cristiano».
Per uscire da questa impasse dobbiamo disfarci di ogni autoreferenzialità ecclesiale. Per questo papa Francesco ci invita a vivere il Vangelo nell’incontro con l’altro, con l’immigrato.

Che pasticcio! Luoghi comuni apodittici, non sequitur logici, e l’immancabile ricicciata di temi bergogliani.

  1. L’autore lamenta che un effetto dell’organizzazione postconciliare in conferenze episcopali sia stato potenziare eccessivamente la “nazione” a scapito della “universalità”. Bene.
  2. Un analogo effetto l’avrebbe avuto l’introduzione della lingua vernacolare nella liturgia. Evviva, diciamo noi, finalmente se ne sono accorti! O no?
  3. No. Alla solita estenuante maniera modernista, l’autore pone un problema e lo molla lì insoluto, senza trarne le conclusioni che non vuole (o non può, o non sa) trarre.
  4. Il problema non sarebbe infatti (anche) la lingua, con ciò che teologicamente comporta – e stiamo parlando solo di una “fettina” del macroproblema della riforma liturgica, è chiaro – ma l’aver obliterato “i valori di apertura e di dialogo” del CV2.
  5. Del resto è proprio il cattolicesimo “ritualista” (= formalista, farisaico, retrivo, ipocrita… il repertorio implicito lo conosciamo molto bene) ad essersi felicemente instradato sulla via dei “populismi”, dacché le povere menti obnubilate dalla ricerca dell’ordine hanno bisogno di slogan semplici, di uomini forti, poveri pecoroni, sembra pensare l’articolista. Esageriamo? Non troppo, forse.
  6. La soluzione? +CONCILIO (e quindi +EUROPA)!
  7. …e, ovviamente, la litania del migrante.

Scorriamo speranzosi fino alle conclusioni, poiché, come in tutti i polpettoni modernisti, non si capisce dove l’autore vada a parare. Magari ha soluzioni da proporre, magari sbagliate, magari discutibili, ma avrà un piano.

No.

Approfittiamo delle elezioni per il Parlamento europeo per costrui­re nuove fondamenta per l’Europa. Perché l’Unione Europea è a favore dell’uomo europeo ed è un fattore di pace nel mondo.
Per la Chiesa, si tratta di accompagnare questi sogni e queste speranze, con una maggiore consapevolezza che essa non esiste per essere servita, ma per servire. Infine, questo impegno è un’opportunità per la nuova evangelizzazione. Non dimentichiamolo: potremo incontrare Dio solo nel mondo reale.

Frittura di aria rifritta, postulati, bestialità sulle finalità “filantropiche” della Sposa di Cristo, un’imperscrutabile pillola di saggezza finale. In che senso “mondo reale”? E in che senso incontreremmo Dio “solo nel mondo reale”? L’articolista non fa la grazia di spiegarcelo, se qualche lettore ha idea ci illumini. Ma forse anche no, la fuffa modernista è come la colonscopia, più si va a fondo e più si sente male.

NOTA BENE: Se avete voglia di Europa leggetevi COSA VOSTRA, che mette al proposito qualche puntino sulle i. E venite al nostro 25 aprile a chiacchierare col suo autore.